• Denominazione attribuita

    Fondo della Mensa vescovile di Como

  • Descrizione contenuto

    Secondo una prassi affermatasi entro gli anni Settanta del Novecento il fondo è articolato in «Parte antica» e in «Parte moderna».

    La «Parte antica» consta prevalentemente di documentazione in forma notarile attinente la gestione del patrimonio episcopale (e il relativo contenzioso), che durante l’episcopato di Lazzaro Carafino (1626-1665) fu recuperata presso gli eredi degli antichi notai della curia vescovile e rilegata in volumi, ora distinti nelle serie «Volumina magna» (7) e «Volumina parva» (157).

    La «Parte moderna» consiste in documentazione sciolta riguardante l’ordinaria amministrazione della mensa, i rapporti con le autorità civili, le comunità e gli enti sui quali l’episcopio esercitava diritti di natura economica (ospedali di Sondrio, Lugano e Locarno, monastero di Santa Caterina di Locarno, confraternita dell’Immacolata di Lugano), interventi di restauro ai palazzi vescovili di Como, Lugano e Balerna. La sezione annovera inoltre scritture concernenti lo stato patrimoniale della mensa durante la vacanza della cattedra episcopale e connesse questioni ereditarie, la giurisdizione vescovile (significativi, in particolare, quelle sui rapporti col vescovo di Coira e coi Grigioni durante l’episcopato di Giovanni Battista Mugiasca, 1764-1789) e materiale relativo ad enti e luoghi dove la mensa deteneva beni e diritti (si segnala un inventario settecentesco delle proprietà della prepositura di Sant’Orsola in Sorico).
    L’attuale fisionomia della sezione è dovuta agli interventi archivistici condotti tra la metà del XIX secolo e gli anni Trenta del Novecento. Il suo nucleo più consistente risulta organizzato secondo il prospetto contenuto nella «Rubrica» dell’archivio compilata in seguito al riordino del 1849, cioè secondo quattro partizioni, di seguito indicate, corrispondenti alle regioni del territorio diocesano; entro ogni partizione la documentazione fu articolata in «fascicoli», per lo più secondo il contenuto del materiale; nei «fascicoli» concernenti le concessioni, le carte furono sistemate secondo un criterio in parte topografico e in parte onomastico:

    - «Sondrio» (fascicoli I-VI);
    - «Vall’Intelvi» (fascicolo VII);
    - «Valcuvia» (fascicolo VIII);
    - «Como e Borghi» (fascicoli IX – XV).

    Il materiale documentario prodotto dalla metà dell’Ottocento (con numerosi allegati più risalenti), riordinato negli anni Ottanta del XIX secolo e nel primo trentennio del successivo, è ripartito nelle serie:
    - «Valtellina»;
    - «Amministrazione privata del vescovo Carlo Romanò»;
    - «Questioni o composizioni di prestazioni e mutui»;
    - «Investiture feudali, conti, corrispondenze»;
    - «Affrancazioni, vendite, estratti catastali»;
    - «Canton Ticino».

    Consistenza: 131 buste, 165 volumi e registri, 31 pergamene e 48 pergamene di reimpiego, 31 disegni.

  • Consistenza cronologica nel dettaglio

    • VON: fine (ultimo decennio) sec. XI
      pergamene di reimpiego da
    • VON: 1181
      documenti in copia dal
  • Storia delle ubicazioni

    Nonostante registri della mensa siano documentati dal Trecento, fino alla seconda metà del XV secolo la conservazione delle scritture inerenti il patrimonio della Chiesa di Como fu demandata prevalentemente ai notai attivi per l’episcopio, responsabili della redazione e della custodia delle imbreviature, che dopo la loro morte erano trasmesse agli eredi o a colleghi designati dal collegio notarile della città.
    Le prime iniziative vòlte a favorire la concentrazione di scritture della mensa presso il palazzo episcopale datano al governo di Martino Pusterla (1458-1460), quando talvolta si fece obbligo al concessionario di consegnare all’episcopio l’atto di investitura dei beni redatto in pubblica forma; oltre a questi documenti, scritti su fogli membranacei, presso il palazzo vescovile si conservavano anche scritture panoramiche, come i “libri intratarum” attestati nel 1442 e i due “libri fictabilium” che nel 1487 erano custoditi in una “credentia”. Alla formazione di un più ampio deposito documentario concorse il vescovo Filippo Archinti (1595-1621), che fece collocare in “uno archivio di noce grande” le scritture fatte acquistare a proprie spese e “molte altre (…) delli notari et cancellieri episcopali pertinenti alla Chiesa et mensa episcopale et molte altre tanto vecchie come moderne”. Sulla scorta di un rescritto emanato della Sacra congregazione del Concilio, che dispose che presso archivi e cancellerie episcopali fossero custodite anche le scritture attinenti la locazione in enfiteusi dei beni e dei feudi delle mense vescovili (1626), il recupero e la concentrazione di carte più risalenti proseguì su scala più ampia durante l’episcopato di Lazaro Carafino (1626-1665). Il materiale acquisito fu rilegato in volumi, contrassegnati da frontespizi con il timbro del vescovo in carica e l’intestazione del codice; furono realizzati strumenti di corredo che agevolassero la consultazione delle carte da parte dei funzionari della curia e fu disposta la trascrizione di documentazione antica, in forma integrale o in “notula”.
    Con tutta probabilità, alla metà del Settecento parte della documentazione della mensa era conservata insieme a quella riguardante i diversi ambiti del governo diocesano. Una «Rubrica generale», presumibilmente compilata nel corso della riorganizzazione della cancelleria promossa da Giovanni Battista Mugiasca (1764-1789), indica in effetti che imbreviature e protocolli notarili, lettere vescovili, carte del foro ecclesiastico, documentazione visitale, atti riguardanti la provvista beneficiaria, raccolti in volumi e fasci in un “armario”, erano frammisti a mazzi di scritture concernenti diritti e proprietà della Chiesa vescovile; un coevo «Indice delle carte governative che si ritrovano nei mazzi presso il vicario generale» ne documenta le intestazioni, genericamente riferite al contenuto - ad esempio, «Ragioni della mensa vescovile di Como contro lo spedale di Locarno. 1758», «Ospitali di Piuro e Chiavenna», «Scritture attinenti ai feudi della mensa vescovile di Como» «Istrumenti feudali di Gaspare Orchi 1539 al 1540», «Notificazioni de beni della Chiesa, e mensa vescovile di Como». Altro materiale era invece custodito presso il cancelliere della mensa, poiché nel 1796 si dispose che un fascio di carte riguardanti il patrimonio dell’episcopio e conservate presso il vicario generale fosse collocato “nella cancelleria di mensa”.
    Nel 1820, in occasione dell'inventariazione dei beni mobili rinvenuti presso l'episcopio alla morte del vescovo Carlo Rovelli, si accertò che molte scritture della mensa erano state trasferite all’Archivio provinciale notarile, in ottemperanza alla legge napoleonica sul notariato del 1808; la documentazione rimasta nel palazzo vescovile annoverava contratti di investitura, inventari di possessi, “fasci” di scritture, mappe, cabrei e mastri - sistemati senza un evidente criterio nell’«archivio vicino alla cancelleria» e nell’«archivio grande» vicino alla cappella di S. Michele – nonché i codici più antichi – quello contenente i privilegi della Chiesa di Como (ora in Curia vescovile, Diritti antichi della Chiesa comense, 1), «n. 86 libri vecchi del secolo XIV, XV e XVI in cui vengono descritte le investiture di beni della mensa di tutta la diocesi», i due tomi del c.d. Codice delle fibiette (Mensa vescovile, p. a., Volumina parva, 117/1-2). Nello studio dell’economo della mensa furono inoltre censite carte riguardanti l’amministrazione corrente – come, tra gli altri, “libri riguardanti passività della mensa”, registri di spese, “Massari e fittabili della mensa”, “libro fornaro”, “nove libri spese di cucina”.
    Alla riorganizzazione del deposito documentario della curia avviata negli anni Ottanta del XIX secolo dal cancelliere Giovanni Battista Gianera si deve la separazione dell’archivio della mensa da quello della curia, poiché alla fine del secolo i due fondi erano conservati in locali distinti, che nel 1923 risultarono dotati di “protocolli e indici generali, nonché di cataloghi particolari delle materie più importanti”.
    Nell’ambito della ristrutturazione del palazzo episcopale promossa da Alessandro Macchi (1930-1947) il fondo fu infine collocato in locali ritenuti più adatti “per luce e maggior ampiezza”, insieme all’archivio della curia e a quello della fabbrica del duomo.

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