Diocèse de Potenza - Muro Lucano - Marsico Nuovo
HISTOIRE
I - Le origini
Ai centri indigeni dell’hinterland subentra, a partire dal II sec., la Potentia romana.Ancora oggi il centro storico di Potenza conserva, nell’impianto urbanistico, i tratti dell’antico insediamento romano impostato sullo schema del decumano, costituito da un asse longitudinale, il cardo (l’attuale via Pretoria), e da collegamenti trasversali (le quintane).
Incerta, comunque, la sua originaria allocazione, forse lungo le rive del fiume Basento.
Recenti reperti paleocristiani venuti alla luce sotto il pavimento della cattedrale fanno pensare che nel IV . sul sito dove sorge l’attuale centro storico vi fosse un insediamento antropico di una certa importanza, anche se sparse sul territorio esistono tracce di insediamenti minori.
Dalla pianta dell’antica chiesa dedicata a Santa Maria Assunta, su cui sorge l’attuale cattedrale, è molto probabile ritenere che ci si trovi di fronte a un impianto dei primi tempi dell’era cristiana, in virtù dell’orientamento dell’abside, verso oriente secondo la tradizione dei primi secoli.
Come è usuale nella tradizione martiriale agiografica, anche la intitolazione mariana della cattedrale di Potenza è accompagnata da una dedicazione a un santo locale, sant’Oronzo o Auronzio, di origine africana, inserito nel martirologio geronimiano insieme ai fratelli Onorato, Fortunanziano e Sabiniano che subirono il martirio a Potenza sotto Diocleziano, come recita la Passio XII fratrum di ignoto autore della seconda metà dell’VIII . Primo patrono della città, la sua festa liturgica si celebra il 1° settembre.
Tra la fine del V e l’inizio del VI . è possibile documentare la presenza del primo vescovo, Herculentius, destinatario nel 494 di una lettera di papa Gelasio I, anche se il Moroni annota come primo vescovo Amando che firmò gli atti del sinodo di papa Simmaco tra il 501 e il 502.
Maggior prestigio acquista la sede di Potenza con il vescovo Pietro, il cui ruolo importante si ricava da alcune lettere inviatagli da papa Pelagio I nel 559, circa anche la possibile intitolazione a San Michele Arcangelo di una basilica a Potenza.
Dopo Pietro cala sulla sede vescovile di Potenza un lungo silenzio, come su altre diocesi paleocristiane meridionali, forse per l’invasione dei goti prima e dei longobardi dopo.
Sempre il Moroni parla di un vescovo Balas che fu al concilio romano indetto da papa Eugenio IV nell’826.
II - Dall’alto Medioevo al concilio di Trento
La diocesi di Potenza, dopo il glorioso momento del periodo paleocristiano al quale è seguito il lungo silenzio degli ultimi secoli del primo millennio, registra la presenza del vescovo Bruno nel 1068.Con lui ha inizio la cronotassi, quasi ininterrotta, fino ai giorni nostri.
Tuttavia per i primi secoli del millennio si deve, più opportunamente, parlare solo di sedi vescovili, non di circoscrizioni territoriali, quali appunto sono le diocesi.
Dalla fine dell’XI sec., con l’organizzazione ecclesiastica effettuata dai normanni, Potenza è suffraganea di Acerenza.
Con l’inchiesta voluta da papa Clemente V del 1310, fatta per conoscere i redditi degli ecclesiastici e fissare le decime spettanti alla camera apostolica, è possibile risalire alla circoscrizione territoriale delle varie diocesi.
A quella data fanno parte della diocesi di Potenza: Abriola, Castri Bellotti, Glorioso (Arioso), Avigliano, Castri Mediani (Castelmezzano), Tito, Castelluccio, Vignola (Pignola) e Picerno.
Nella città vi sono i monasteri di San Luca e San Lazzaro; tra le chiese sono nominate solamente la cattedrale, San Michele e Santo Sepolcro.
Nel 1324 si registrano già alcune variazioni: ne fanno parte Vignola, Abriola, Glorioso, Tito, Picerno, Ruoti, La Caldana, Baragiano e Avigliano con l’aggiunta di Lagopesole, che rivestiva all’epoca notevole importanza perché residenza estiva della famiglia reale angioina.
A Potenza tra le chiese è presente anche la Santissima Trinità; tra i nuovi monasteri, Santa Maria del Pantano e Sant’Angelo del Bosco.
Maggiori dettagli sull’estensione delle diocesi si possono trovare in un documento del 1478 per l’imposizione di una nuova decima da parte di papa Sisto IV.
Ritornando ai vescovi che hanno illustrato la città di Potenza, tra essi va innanzitutto annoverato Gerardo Della Porta (1111-1119), di origine piacentina, eletto vescovo per volontà popolare e «celebre per santità», come scrive l’Ughelli, che Callisto II (1119-1124) «pose nel catalogo dei santi».
Nuovo patrono di Potenza, cui è cointitolata la cattedrale, la sua festa liturgica si celebra il 30 ottobre, mentre quella civile il 30 maggio, il giorno dopo la tradizionale «sfilata dei turchi» che la leggenda vuole da lui convertiti al cristianesimo in occasione dell’invasione dei saraceni giunti a Potenza risalendo il fiume Basento, anche se tale manifestazione è da collegarsi, più verosimilmente, ai festeggiamenti che seguirono la vittoriosa battaglia di Lepanto.
La presenza del vescovo Gerardo e quella della sua famiglia in terra di Basilicata risale, probabilmente, al movimento della crociata bandita da Urbano II o anche, secondo alcuni, alla fase applicativa della «riforma gregoriana» che portò nel Meridione d’Italia numerosi ecclesiastici proprio per riformare queste Chiese.
Successe a Gerardo il vescovo Manfredi che, oltre a scrivere una biografia del santo, accolse a Potenza l’imperatore Lotario e il papa Innocenzo II, il 18 luglio del 1137, dopo il concistoro del 6 luglio tenuto a Lagopesole alla presenza di numerose personalità, civili e religiose, per ribadire la condanna dell’antipapa Anacleto II.
Ai contrasti tra il re di Sicilia e il papato è da attribuire un periodo di «vacatio» della sede vescovile, comune ad altre diocesi lucane (Acerenza, Venosa, Melfi) fino al 1179, quando il vescovo Giovanni fu presente al concilio lateranense indetto da Alessandro III.
Sotto Innocenzo III (1198-1216) fu vescovo di Potenza Bartolomeo, come emerge da una corrispondenza tra lo stesso Innocenzo e il vescovo Rainaldo di Acerenza, di cui Potenza è suffraganea.
Nel 1221 il vescovo Garzia per dare nuovo impulso alla diocesi rivide gli statuti del capitolo cattedrale e ridusse il numero dei canonici a dodici.
Con i nuovi Statuti emanati a Melfi da Federico II nel 1231 un nuovo assetto organizzativo venne imposto alle chiese locali e l’imperatore intervenne direttamente nella nomina dei vescovi influenzando il clero locale, come ritenne papa Gregorio IX, quando promosse un’inchiesta sulla nomina a vescovo di Potenza di Tommasino, legato al sovrano.
Con la morte di Federico II nel 1250 e le lotte che seguirono, si affermò e consolidò in Italia meridionale la dominazione angioina.
Durante questa fase abbastanza convulsa, i vescovi lucani, e tra essi Oberto vescovo di Potenza, restarono fedeli a Manfredi, successore di Federico, e parteciparono attivamente alla successiva rivolta contro gli angioini schierandosi dalla parte di Corradino, tanto che Potenza fu duramente punita da Carlo D’Angiò e i suoi abitanti cercarono rifugio nei paesi vicini.
La situazione, poi, si aggravò a causa del terremoto del 1273, come si evince da una lettera di richiesta di informazione inviata dallo stesso Carlo al suo giustiziere di Basilicata.
Il periodo avignonese e il susseguente «Grande Scisma» (1378-1417) furono anche momenti di profonda crisi religiosa, aggravata dall’instabilità nel governo della diocesi: dal 1395 al 1399 si successero ben quattro vescovi.
Un ruolo importante riveste dal 1419 al 1429 il vescovo di Potenza Angelo, nobile napoletano e consigliere della regina Giovanna II, alla quale si fa risalire la distruzione della vicina città di Satriano, di cui restò in piedi la sola torre, ancora oggi visibile.
Con l’arrivo degli aragonesi il contado di Potenza e quello di Vignola vennero, nel 1444, dati in feudo a Indico de Guevara, maggiordomo della casa reale, con diritto di discendenza.
Il de Guevara come prima cosa provvide al rifacimento delle mura di cinta della città danneggiate dalla guerra e fu abbastanza munifico nei riguardi dell’amministrazione locale.
Morì nel 1471 e a lui successe il secondogenito don Antonio che ottenne l’investitura da re Ferdinando.
Nello stesso periodo si distinse come vescovo di Potenza Antonio Angeli da Napoli, «gran dottore in iure canonico», come lo definisce l’arcidiacono Rendina che, nella sua fondamentale Istoria della Città di Potenza, aggiunge «fu questo Prelato tanto affetto alla sua Chiesa che non lasciò cosa da fare per curarla», a cominciare da una ricca dotazione di arredi sacri e munifici oggetti d’argento (famoso il bastone pastorale).
Importante nel tardo Medioevo il ruolo che nella vita sociale e religiosa assunsero alcuni enti istituzionali, come le parrocchie, attorno alle quali si svilupparono chiese, monasteri e conventi.
Nella città di Potenza, in particolare, tra chiese e cappelle si possono numerare ben ventitré fabbriche entro le mura, dieci nelle immediate adiacenze, nove sparse nell’agro circostante, alcune con annesse confraternite laicali.
Di queste l’unico statuto pervenutoci risale alla seconda metà del Quattrocento ed è di una confraternita di disciplinati intitolata alla Madonna degli Angeli, «Compagnia e fraternità della devota et sancta ecclesia de Sancto Michaele da Potenza».
Troviamo, inoltre, cinque ospedali: il più antico sembra essere quello dato in commenda nel 1180 ai cavalieri gerosolomitani, vicino alla porta San Giovanni, con annessa chiesa dedicata al Battista; fuori città c’era quello annesso al monastero di San Lazzaro; altro monastero è quello di San Luca.
Vi sono, poi, il convento di San Bartolomeo, quello cappuccino di Sant’Antonio, adiacente l’omonima chiesetta, eretto nel 1530 da Tullio da Potenza pioniere della riforma cappuccina in Basilicata, dove fonda anche i conventi di Pignola, Tursi, Ferrandina e Lagonegro.
Infine, ma non ultimo, il convento di San Francesco, prima presenza minoritica dei frati conventuali a Potenza.
I seguaci del poverello di Assisi sono in Basilicata già dalla prima metà del XIII . Le fonti parlano anche di alcuni miracoli dovuti all’intercessione del santo, dei quali uno avvenuto proprio durante la costruzione della chiesa di San Francesco, quando rimasero miracolosamente incolumi due operai travolti dalle macerie del crollo di uno scavo di fondazione.
III - Dal concilio di Trento al 1818
Durante il concilio di Trento tenne la diocesi di Potenza il vescovo Nino de Nini d’Amelia, succeduto nel 1530 al cardinale Colonna che l’aveva avuta in commenda nel 1521.Morì a Roma nel 1564, ma non si ha notizia di una sua partecipazione al concilio.
Il primo vescovo «tridentino» risulta essere Tiberio Carrafa che tenne due visite pastorali, nel 1566 e nel 1571, attestate dai verbali esistenti nell’archivio potentino della chiesa collegiata di San Michele, i più antichi finora conosciuti relativamente alla Chiesa di Potenza.
È del 1592 di Sebastiano Barnaba invece, la prima relatio ad limina nota, anche se non completa, che rispecchia in modo sommario la situazione della diocesi a quella data.
Certamente non facile era lo sforzo di applicare i decreti del concilio non solo tra la popolazione, ma anche in mezzo al clero che per mentalità, cultura ed estrazione sociale era piuttosto lontano dai rigorosi schemi canonistici del Tridentino.
Nel periodo infuocato della rivolta napoletana di Masaniello, che trovò consensi anche in Basilicata, era vescovo a Potenza Bonaventura Claver (Claverio), francescano conventuale.
Resse la diocesi dal 1646 al 1677 e tenne il primo sinodo nel 1653, di cui è pervenuta copia in ventisei fogli dattiloscritti, editi a stampa nel 1991 da parte del canonico teologo del capitolo cattedrale di Potenza don Gerardo Messina.
Le disposizioni episcopali contenute in norme e provvedimenti non si discostano dallo stile dei vescovi tridentini impegnati sempre più decisamente a mettere ordine e a dare disposizioni su liturgia, pietà e costumi.
Dalla successiva Relatio ad limina del 1655 è, poi, possibile sapere che in quel periodo la circoscrizione diocesana comprendeva otto centri (Potenza, Pignola, Abriola, Tito, Picerno, Baragiano, Ruoti ed Avigliano) con 18.000 anime, 238 preti, 173 religiosi, 36 monache clarisse, 34 confraternite laicali.
Con il vescovo Claverio venne portata a termine la costruzione del seminario, cui aveva dato inizio il vescovo Caracciolo (1468-1482).
Durante il suo episcopato, nel 1657, impartì il sacramento della cresima a Carlo Antonio Lavanca che divenne, poi, il beato Bonaventura da Potenza, unica figura di santo della città.
Dopo il periodo di intensa attività pastorale di Claver, la diocesi di Potenza, nella seconda metà del XVII sec., fu governata da vescovi per lo più spagnoli, tutti per poco tempo e tutti impegnati presso la corte napoletana, che li teneva abitualmente lontani dalla sede, come avvenne per Pietro Torres (1689-1695), quando si abbatté sui paesi della diocesi, in gran parte risparmiati dalla pestilenza del 1656, il terribile terremoto del 1694 che, come quello recente del 1980, colpì insieme all’Irpinia una vasta area della Basilicata: in diocesi, quasi distrutta Picerno, «desolazione totale» a Tito, crolli estesi a Potenza, Castel Lagopesole e Avigliano.
Dopo Angelo Rossi (1695-1707) che restaurò il palazzo vescovile e il seminario gravemente danneggiati dal terremoto, seguì una «vacatio» di otto anni.
È il periodo durante il quale i rapporti tra Stato e Chiesa diventano carichi di tensione, sfociando nell’editto di Carlo VI d’Austria che vietava la concessione dei benefici ecclesiastici.
Nel 1741, anno del concordato con la Santa Sede, si ebbe nel Regno di Napoli la formazione del catasto conciario, con il quale emerse il grande patrimonio del clero che per la prima volta venne sottoposto a tassazione da parte dello Stato, anche se in forma ridotta.
Era vescovo in questo periodo Biagio De Dura (1722-1740), che però visse poco in diocesi perché affetto da problemi di salute, né i suoi successori lasciarono traccia del loro operato e/o dello stato della diocesi.
Del vescovo Carlo Parlati (1761-1767) è noto il rapporto conflittuale con il clero ricettizio, una costante, questa, che si protrarrà a lungo e che condizionerà quasi sempre i rapporti dei vescovi con il proprio clero.
La fine del XVIII . è caratterizzata dai drammatici avvenimenti che portarono alla proclamazione della Repubblica napoletana e alla sua breve e tumultuosa esperienza, dove lo scontro politico lasciò spazio alle vendette private.
Vittima illustre dell’ondata di repressione che ne seguì fu il vescovo Giovanni Andrea Serrao (1783-1799), arrivato a Potenza con la fama di giansenista e accusato, poi, di simpatie giacobine.
La sua azione pastorale, attenta allo stato di estremo disagio in cui viveva la popolazione, mirava anche a una adeguata formazione del clero, per cui dedicò grande sforzo alla ripresa del seminario.
Incontrò, tuttavia, forti difficoltà soprattutto nei rapporti con il capitolo cattedrale, insofferente ai richiami e ai provvedimenti del vescovo.
Questo clima di tensione non fu estraneo alla sua tragica morte, tanto da essere annoverato tra i martiri della rivoluzione giacobina, che aveva infiammato anche altri paesi della diocesi (settanta morti nella sola Picerno).
Dopo i fatti del 1799 e il clima di contrasti e di tensioni che persistette a Potenza e che non rese possibile la nomina di un nuovo vescovo, solo nel 1805, nonostante una iniziale titubanza, venne chiamato a reggere la diocesi Bartolomeo De Cesare, il quale, in conseguenza del mutato clima politico che vide i Napoleonidi prendere possesso del Regno delle Due Sicilie, il 2 luglio 1806 giurò fedeltà a Giuseppe Napoleone in ossequio alle disposizioni che aprivano una nuova fase dei rapporti fra Stato e Chiesa nel Regno di Napoli.
Il decennio francese fece sentire i suoi effetti anche sull’organizzazione del clero regolare, in quanto la graduale soppressione degli ordini monastici e delle congregazioni religiose decretate dal 1807 al 1812 portò alla chiusura di molti conventi in città e nei paesi della diocesi.
Durante il suo episcopato, che durerà fino al 1819, il De Cesare dovette fronteggiare non solo la solita riottosità e indisciplina del clero ricettizio, ma anche i riflessi che ebbe sulla vita civile e religiosa la fine del decennio francese con il ritorno di Ferdinando IV sul trono napoletano.
Egli fu impegnato, infatti, anche a vigilare sul comportamento politico dei sacerdoti per il timore di infiltrazione di idee sovversive e il diffondersi di società segrete, nonché a rafforzare la propria giurisdizione sulle chiese di natura e fondazione laicale in relazione alle direttive del concordato e del breve Impensa di Pio IV del 13 agosto 1819, che riguardava il nuovo sistema di conferimento delle «porzioni» delle chiese ricettizie.
Con il concordato del 1818 e la conseguente bolla di Pio VII De utiliori dominicae vineae, del 27 giugno dello stesso anno, si ebbe una nuova delimitazione delle circoscrizioni ecclesiastiche, che portò all’accorpamento, aeque principaliter, della diocesi di Marsico a quella di Potenza.
I paesi che ne facevano parte erano: Abriola, Avigliano, Baragiano, Brienza, Marsiconuovo, Marsicovetere, Moliterno, Picerno, Pignola, Potenza, Ruoti, Saponara, Sarconi, Sasso di Castalda, Tito e Viggiano.
IV - Dal 1818 al concilio Vaticano I
Il processo di riordinamento interno delle diocesi si intrecciò, però, con i moti rivoluzionari del 1820-1822 che causarono un’interruzione nella riorganizzazione delle strutture ecclesiastiche avviata dal De Cesare, in quanto il nuovo vescovo Giuseppe Botticelli non prese mai possesso della diocesi per l’ostracismo decretatogli dal clero di Potenza in quanto componente della «Giunta di scrutinio» incaricata aprendere provvedimenti repressivi contro le associazioni carbonare.
Al suo posto fu nominato vescovo Ignazio Marolda (1822-1837) che, in primo luogo, si trovò a fronteggiare le contestazioni del clero delle tre chiese parrocchiali di Potenza sia per la stesura dei «piani di formazione delle rendite» secondo il Piano Rosini (dal nome del suo ideatore, il vescovo di Pozzuoli Carlo Maria Rosini) che mirava a una riforma delle ricettizie, sia in seguito alla pubblicazione degli atti del sinodo da lui voluto nel 1834, che fu ritenuto lesivo dei diritti delle due chiese collegiate e del capitolo cattedrale.
A guidare la diocesi di Potenza e Marsico nella delicata fase di passaggio all’unità d’Italia fu Michelangelo Pieramico (1838-1862), che rimase coinvolto con altri sacerdoti nei moti del 1848 e ne subì la reazione finendo sotto processo, anche se nel 1852 fu pienamente assolto dall’accusa di aver tramato contro il sovrano. Nel 1860, costretto nuovamente a confrontarsi con i moti rivoluzionari che portarono all’unità d’Italia, pur associandosi alle manifestazioni di giubilo della popolazione preferì ritirarsi a Sant’Angelo dei Lombardi, suo paese natio, dove morì nel 1862.
Il suo lungo episcopato, tuttavia, fu contrassegnato non solo da una salda vigilanza sul clero, ma anche da una grande operosità caritativo-assistenziale nei confronti della popolazione delle due diocesi colpite dai devastanti terremoti del 1851 e del 1857. È da ricordare, inoltre, il forte impegno di promozione sociale verso gli orfani con l'attivazione nel 1844 dell’istituto delle gerolomine e la cura rivolta alla formazione spirituale della «gioventù studiosa » con la costituzione delle congregazioni di Santo Spirito, diffuse su tutto il
territorio diocesano, che dotò anche di un regolamento. Una fugace apparizione fecero in questo periodo i gesuiti a Potenza, chiamati dal re a dirigere il real collegio di Basilicata, ma il terremoto del 1857 pose fine alla loro presenza.
Dopo la morte di Pieramico la sede vescovile rimase vacante per cinque anni e solo nel 1867 subentrò nel governo della diocesi il francescano Antonio Maria Fania (1867-1880); studioso, teologo e uomo di notevole cultura contribuì alla definizione del dogma dell’Immacolata Concezione e in qualità di vescovo delle diocesi unite di Potenza e Marsico partecipò alla IV sessione del concilio Vaticano I, dove affermò la necessità di riformare alcune leggi disciplinari, adattandole alle necessità della Chiesa e dei popoli. Il suo impegno pastorale fu rivolto principalmente alla formazione religiosa e culturale del clero, favorendo alcuni progetti di riforma dell’ordinamento degli studi nei seminari diocesani.
Durante il suo episcopato si trovò anche ad affrontare i gravi problemi insorti con la «liquidazione dell’Asse ecclesiastico »: ne è testimonianza l’intensa corrispondenza con le autorità prefettizie nella quale denuncia con vigore lo stato di disagio economico in cui versa il clero e la povertà delle chiese. Infatti la bufera eversiva
post-unitaria, più radicale rispetto a quella napoleonica, segnò un difficile momento di transizione per le diocesi di Potenza e Marsico, perché le leggi eversive del 1866-1867 sconvolsero le strutture ecclesiastiche e religiose, dalla mensa vescovile ai capitoli cattedrali e alle chiese ricettizie che furono spogliate di tutte le loro rendite, per finire ai conventi e ai monasteri femminili ancora funzionanti, che furono tutti soppressi. A ciò si aggiunga la forte ondata di emigrazione di fine secolo che poneva problemi nuovi a tutti i vescovi meridionali, come il concubinato che minava alla base la stessa solidità dell’istituto familiare.
V - Dal Vaticano I al Vaticano II
Dopo il breve episcopato di Luigi Carvelli, resse le diocesi di Potenza e Marsico dal 1882 al 1899 Tiberio Durante, che si trovò ad affrontare gli stessi problemi del suo predecessore insieme a quelli, non meno importanti, rivenienti dalla svolta culturale di fine secolo e dall’apertura della questione sociale da parte della Chiesa con il pontificato di Leone XIII.In tale contesto il presule riservò grande cura alla formazione del clero diocesano con la riapertura del seminario diocesano di Marsico e l’istituzione di opere socio-assistenziali per i più miseri.
Nel suo testamento lasciò scritto di «pensare ai poveri» che lui aveva certamente incontrati nelle sue frequenti visite pastorali.
Tenne a Pompei, su invito di Barolo Longo, il discorso ufficiale per l’intitolazione della basilica; incoronò regina della diocesi la Madonna di Viggiano nel 1892.
Morì a Baragiano durante una santa visita.
L’attenzione al seminario fu la principale cura del ministero pastorale di Ignazio Monterisi che all’alba del nuovo secolo guidò la diocesi fino al 1913, insieme a un marcato impegno nell’organizzazione del laicato, che si esplicò anche nell’appoggio efficace che fornì al quindicinale cattolico «La Provincia», diretto dall’arciprete della Santissima Trinità di Potenza, il sacerdote don Vincenzo D’Elia, figura esemplare di sacerdote che ebbe un ruolo importante nello sviluppo del Movimento cattolico in Basilicata.
L’episcopato del Monterisi si distinse, altresì, per l’atteggiamento fermo nei confronti degli attacchi che gli vennero portati sia da parte di alcuni esponenti delle nuove idee socialiste, sia dalla massoneria che era abbastanza presente e diffusa tra la nuova borghesia potentina.
L’interesse verso le problematiche sociali derivanti dalla crisi agraria e dalla ripresa del fenomeno emigratorio dopo il primo dopoguerra caratterizza l’episcopato di Achille Razzoli (1913-1925), il quale istituì un comitato provinciale per l’assistenza religiosa e civile per gli orfani di guerra, aprendo un asilo a Pignola e un orfanotrofio a Potenza, e fondò un segretariato per gli emigranti a Marsiconuovo per il sostegno economico alle famiglie degli emigranti.
Sul versante dell’impegno civile fu vescovo moderato e conservatore, per cui, in polemica con D’Elia, fece sospendere nel 1915 la pubblicazione del giornale «La Provincia » schierato su posizioni troppo progressiste.
Sostenne la necessità dell’intervento in guerra dell’Italia e guardò con favore l’ascesa del fascismo, ritenendolo un argine alla violenza socialista.
Dopo una «vacatio» di cinque anni, durante la quale fu amministratore apostolico il vescovo di Matera, Anselmo Filippo Pecci, arrivò in diocesi nel 1930 dal lontano Polesine Augusto Bertazzoni, all’alba di un decennio in cui il fascismo palesò il suo volto autoritario.
Egli determinò una svolta nel governo del territorio diocesano: infatti fu, innanzitutto, promotore di una maggiore efficienza nella gestione delle due diocesi, rinsaldandone l’unione con l’accorpamento delle due curie e l’eliminazione della figura del vicario generale in entrambe le sedi, surrogandola con quella di delegato vescovile che, di fatto, consentiva minore autonomia d’azione.
Nel gennaio del 1932 il presule reintrodusse anche il bollettino ufficiale a stampa mensile per uniformare l’azione pastorale di tutte le parrocchie a vantaggio dell’unità ecclesiale della diocesi.
In questo periodo sorge a Potenza il Pontificio Seminario minore regionale (1928), figlio della riforma dei seminari voluta agli inizi del Novecento da Pio X, cui il Bertazzoni dedicò molte delle sue cure.
La promozione di nuove vocazioni, la formazione teologica del clero attraverso corsi di aggiornamento pastorale e l’impulso all’Azione cattolica furono le direttrici di fondo del suo trentennale episcopato contrassegnato, negli anni del regime fascista, soprattutto in seguito all’inasprimento dei rapporti tra Chiesa e governo, da un atteggiamento prudente e silenziosamente operoso sul versante religioso.
Durante il periodo bellico profuse grande impegno sul piano assistenziale anche dei profughi; in occasione del bombardamento del 1943, che colpì duramente l’episcopio, benché fosse rimasto privo di tutto, si preoccupò degli sfollati e dei poveri; rinunciò a sede più prestigiosa per seguire da vicino l’opera di ricostruzione avviata nel dopoguerra, quando emerse anche la sua silenziosa e paziente opera di formazione della nuova classe dirigente.
Dopo trentasette anni di servizio pastorale si ritirò a vita privata, rimanendo a Potenza dove morì il 30 agosto 1972.
Per la santità della sua vita e per il grande zelo pastorale è stato avviato nel 1995 il processo per la causa di beatificazione.
Successe a lui Aurelio Sorrentino (1966- 1977), che avviò il rinnovamento conciliare, avendo partecipato, come vescovo di Bova, al concilio Vaticano II.
Il nuovo vescovo, infatti, subito dopo il suo insediamento, nello spirito delle deliberazioni conciliari sancite nel decreto Christus Dominus, che mirava a un riordinamento delle curie diocesane, provvide alla revisione delle strutture diocesane con la riforma dei vicari foranei che furono ridotti a tre per la diocesi di Potenza e a due per quella di Marsico; istituì nuovi organismi, quali la consulta diocesana, i consigli presbiteriali e pastorali e l’istituto diocesano di cultura teologica, al fine di promuovere la formazione teologica dei laici e del clero, trasformato, poi, nel 1970 in istituto diocesano di teologia e pastorale.
Mirò, anche, a una proficua evangelizzazione con l’ausilio dei mezzi di comunicazione, rivolgendo particolare attenzione al mondo del lavoro e ai fenomeni emergenti della società locale, quali la «nuova» emigrazione interna, i primi tentativi di industrializzazione, la contestazione giovanile e le espressioni di dissenso che si manifestarono in alcune comunità ecclesiali della diocesi.
Nel 1973 ottenne l’elevazione di Potenza a sede arcivescovile, cui venne aggregata anche la diocesi di Muro Lucano.
Nel 1976, infine, dopo la ridefinizione dei confini delle nuove diocesi lucane e l’adeguamento della regione ecclesiastica a quella civile, l’arcidiocesi di Potenza, Muro e Marsico diventò sede metropolitana della nuova regione ecclesiastica lucana.
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Diocèse de Potenza - Muro Lucano - Marsico Nuovo
Cattedrale di San Gerardo Vescovo
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La facciata principale della cattedrale di Santa Maria Assunta e San Gerardo Vescovo a Potenza -
Il presbiterio -
Veduta dell’aula dall’ingresso
Diocèse
SOURCE
Le diocesi d'Italia, a cura di L. Mezzadri, M. Tagliaferri, E. Guerriero, Torino, San Paolo edizioni, 2007-2008, 3 volumi.