Diocèse de Albenga - Imperia
HISTOIRE
Le vicende della cristianizzazione del territorio di Albenga non sono dissimili da quelle del resto della Liguria: regione periferica nell’ambito dell’Italia imperiale, il messaggio cristiano si diffonde qui con un certo ritardo rispetto ad altre zone del Nord Italia; ma ad Albenga, quando si hanno i primi documenti certi, la comunità cristiana risulta già saldamente organizzata e numerosa: lo provano infatti non solo la prima attestazione sicura di un vescovo – Quintius presente al concilio provinciale di Milano nel 451 –, ma soprattutto gli edifici: in particolare il battistero, giunto fino ai nostri giorni quasi intatto, attribuito alla seconda metà del V . e arricchito di significativi apparati decorativi (il mosaico della fine dello stesso secolo, la tomba e le transenne altomedievali); la cattedrale, il cui primo impianto accertato, a schema basilicale, è attribuito allo stesso periodo; infine le chiese cemeteriali extra moenia di San Calocero e di San Vittore, anch’esse datate tra V e VI sec., sorte sui percorsi stradali a sud e a nord del centro urbano; la prima soprattutto, legata al deposito del santo martire Calocero, la cui tradizione sembra ormai confermata dalla continuità di culto sul luogo della sepoltura, provata da sicure testimonianze archeologiche.Inoltre il recente ritrovamento, sotto la chiesa medievale di San Clemente, delle strutture di un’altra chiesa extra moenia con vasca battesimale ottagona ha aperto nuovi interrogativi sulla cronologia delle sedi ecclesiali legate alla liturgia del battesimo.
Del resto la presenza di san Martino di Tours sull’isola Gallinaria, accanto alla città, tra 356 e 360, sembra provare, già un secolo prima della citazione del vescovo Quintius, l’esistenza di un polo di vita cristiana organizzato, cui il santo avrebbe potuto far riferimento nella scelta del suo soggiorno eremitico.
Ancora le testimonianze archeologiche forniscono dati sulla diffusione del cristianesimo al di fuori del centro urbano; e sembra precoce anche l’irradiazione sul territorio e l’organizzazione cristiana delle campagne, secondo le grandi direttrici stradali: al margine occidentale della diocesi, presso Riva Ligure, l’esistenza di un edificio ecclesiatico con vasca battesimale attribuito dallo scavo al VI . testimonia che l’organizzazione pievana è già avviata, e si modella sull’antica rete romana.
Il confine settentrionale è fissato allo spartiacque verso il Piemonte, il confine orientale era ed è tuttora quello tra i due municipia di Albingaunum e di Vada Sabatia, all’aqua Finarii nel cuore di Finale; sul limite occidentale invece sussistono incertezze per quanto riguarda il periodo tardo antico e altomedievale; ma il confine si fisserà nel pieno Medioevo a comprendere tutto il territorio dell’attuale Sanremo, forse fino a Coldirodi: diocesi di notevole ampiezza, nella regione seconda solo a quella di Genova.
Alla ricchezza dei dati archeologici corrisponde per i secoli dal V all’VIII anche la documentazione scritta: tra le epigrafi, provenienti dagli scavi della cattedrale e di San Calocero, spiccano l’iscrizione frammentaria della probabile depositio di un vescovo, Benedictus coevo di Quintius, quelle del diacono Donatus e di fedeli, che ci permettono di ricostruire una comunità cristiana numerosa e di varia composizione sociale.
In questo periodo, si ha la citazione sicura di un solo vescovo, Bonus, presente nel 680 al concilio Romano.
Ma sono i rifacimenti dei pavimenti della cattedrale, le decorazioni scultoree altomedievali di ottimo livello artistico, le testimonianze di culto ininterrotto nelle chiese cimiteriali – all’inizio dell’VIII sec., la basilica di San Calocero è retta dall’abate Marinaces, che rinnova il sacello del santo facendone memoria in un’importante iscrizione – a provare la continuità e la vivacità della comunità cristiana di Albenga; minori certezze sussistono per il territorio diocesano, anche per l’assenza di ricerche archeologiche, le uniche che possano fornire dati storici per l’alto Medioevo.
Anche il vivo culto medievale per san Verano, vescovo di Cavaillon in Provenza nel VII sec., è indice di stretti legami con personaggi significativi esterni alla Liguria.
Testimonianza indiretta delle difficoltà dei secoli successivi, il IX e il X, è la notizia della traslazione delle reliquie di san Calocero, dalla basilica fuori le mura di Albenga a Civate in Lombardia, per salvarle dal pericolo delle ricorrenti incursioni arabe; è il periodo cui si attribuisce anche la riduzione della cattedrale alla sola navata centrale, evidente spia di difficoltà economiche e di contrazione demografica.
Non risultano però tracce di eversioni che potrebbero aver causato una cesura nella vita civile ed ecclesiastica locale; la città mantiene il ruolo di capoluogo del suo vasto territorio, quello già del municipium, ora del comitato e della diocesi, e si può ritenere che i suoi vescovi siano costante punto di riferimento per le popolazioni.
Tra di essi, solo per Egidulfo abbiamo un dato sicuro, la partecipazione al concilio provinciale di Milano dell’864.
Forse di provenienza monastica è il vescovo Benedetto che si pone alla fine del IX sec.; non documentato da fonti certe, è oggetto di viva venerazione nel Medioevo e sarà nel XVII . innalzato all’onore degli altari con l’attribuzione del cognome Revelli.
Al consolidamento religioso e sociale concorrono i grandi centri benedettini, le cui testimonianze sono legate soltanto a documenti più tardi ma che appaiono al volgere del primo millennio già organizzati e potenti: in particolare il monastero di Santa Maria e San Martino della Gallinaria, che riceve cospicue donazioni in Catalogna a partire dal 1011, e da papa Benedetto IX nel 1044 la libertas romana, ma che sarà soggetto successivamente, dal 1169, anche agli arcivescovi di Genova; i suoi possedimenti comprendono in gran parte della riviera di Ponente numerosi priorati e cappelle, territori e chiese in Catalogna, in Provenza, in Corsica.
Più sfumata la vicenda dell’altro antico monastero diocesano, quello di San Pietro di Varatella, che la tradizione fa risalire a età carolingia; risulta di pertinenza vescovile e anch’esso centro di una rete di dipendenze estesa alla porzione orientale della diocesi e ai territori che legano la costa al basso Piemonte.
La diocesi, come la città, riceve nuovo impulso dai rapporti con il regno e con i signori, in particolare gli Arduinici; sono stati di recente riconosciuti sia gli stretti legami di alcuni vescovi con la corte regia, sia la loro provenienza e il loro valore ecclesiastico e politico in un ambito che va ben oltre la Liguria.
Di poco successivo è il sorgere del comune, sempre in stretta sintonia con i suoi presuli: emblematicamente la prima citazione di consoli del comune, del 1127, è legata a un atto vescovile.
Ancora i vescovi affiancano la città nel quadro politico che la vede schierata, tra XII e XIII sec., accanto alle altre città della Riviera, Ventimiglia e Savona, nel partito imperiale, in netta contrapposizione a Genova; e, dopo l’istituzione dell’arcidiocesi genovese nel 1159, la chiesa di Albenga ne rifiuta la soggezione, che sarà accettata solo nel 1213.
Sono gli anni in cui i vescovi di Albenga sviluppano un’articolata politica di costruzione e gestione del dominio temporale del vescovato, in particolare nella parte occidentale della diocesi a Oneglia e nella sua valle, e in quella orientale da Toirano a Borgio, nei territori del monastero di San Pietro di Varatella, in contrapposizione con l’espansione dei Del Carretto signori del vicino Finale.
Il periodo tra la fine del XII e la prima metà del XIII . è quello di maggior fioritura del potere vescovile, ma anche del comune, ormai consolidato e affrancato da ogni legame; significativamente, sono i decenni in cui la città ricostruisce la cattedrale ampliandola di nuovo all’antica pianta basilicale romana.
Quando le città rivierasche, con il 1251, devono accettare il legame delle convenzioni con il comune di Genova, il nuovo clima politico diviene presto percepibile anche in ambito ecclesiastico, con l’elezione, nel 1255, del vescovo Lanfranco di Negro, genovese.
Egli, nel suo lungo episcopato, opera sostanziali riforme dell’amministrazione dei beni vescovili, ma inizia anche il progressivo smantellamento del patrimonio signorile del vescovo, di cui porzioni significative, come il vasto territorio di Oneglia e quello di Loano, sono alienati in favore di famiglie genovesi, in questi casi a rami dei Doria.
Anche il capitolo della cattedrale, da sempre punto di collegamento tra ambiente ecclesiastico e città, vede in questi anni la massiccia presenza di canonici genovesi e della stessa famiglia di Negro.
In questo periodo si verifica l’inserimento in Albenga degli ordini mendicanti, i francescani dalla metà, i domenicani dal penultimo decennio del XIII sec.: i due conventi hanno molto peso nella vita religiosa e sociale della città, dove si tengono numerosi capitoli; dai francescani soprattutto provengono cinque, forse sei presuli fra Due e Quattrocento; più tardo è l’irradiarsi degli ordini mendicanti sul territorio diocesano.
Sono secoli di difficili equilibri politici, e anche il dominio temporale vescovile subisce una definitiva amputazione con l’attribuzione alla Repubblica di Genova nel 1385 di Toirano, Pietra e del vasto territorio fino alla Caprazoppa, da parte di papa Urbano VI.
Un forte declino morale e materiale è evidente nei due grandi monasteri benedettini: San Pietro di Varatella è avocato direttamente al vescovo, poi viene concesso ai certosini di Casotto nel 1315; il monastero della Gallinaria, alienati progressivamente i beni più lontani e prestigiosi, passa al regime della commenda nel 1473.
Ma i fermenti di vita religiosa non vengono meno: il probabile passaggio in Albenga di San Bernardino da Siena e la predicazione di fra Battista Tagliacarne conducono alla fondazione da parte della città nel 1466, sulla collina del Monte presso l’abbazia della Gallinaria, del convento di San Bernardino.
I minori osservanti si espandono ben presto sul territorio diocesano, con la fondazione delle case di Porto Maurizio, già nel 1470, di Diano, Dolcedo e Triora; lo stesso avviene per gli agostiniani a Pieve di Teco, Oneglia, più tardi a Loano, Pontedassio, Cervo, Triora, Sanremo.
Del resto, qui come altrove, una viva spiritualità è legata ai movimenti laicali e a quelle aggregazioni di diversa origine che radunavano uomini e donne, con la comune aspirazione alla preghiera e all’esercizio di opere di pietà: sono le numerose caritates o domus dell’Albenga basso medievale, confraternite ma spesso anche associazioni di arti e mestieri, che gestivano piccoli hospitales rivolti ad assistere pellegrini e diseredati; dalla loro unione nascerà nel 1545 l’ospedale di Santa Maria di Misericordia.
Tra i vescovi del Quattrocento, Matteo del Carretto, non ancora studiato in modo approfondito, riveste un ruolo di rilievo nel concilio di Basilea, insieme al suo vicario; ma è soprattutto di grande valore spirituale e culturale, tra Quattro e Cinquecento, la figura di Leonardo Marchese, di famiglia albenganese, cui si ascrivono l’attenta cura del territorio diocesano, la fondazione di nuove parrocchie, la riorganizzazione dei beni della curia, ma anche raffinata cultura: lo provano gli splendidi codici miniati di cui il vescovo dota la biblioteca capitolare.
L’élite colta cittadina, composita e vivace, è accentrata dal convento di San Domenico; certo si recepiscono presto i principi del concilio di Trento, di cui almeno due vescovi di Albenga, il cardinale Giovanni Battista Cicada e suo nipote Carlo, sono tra i membri più autorevoli.
Carlo Cicada convoca il sinodo diocesano l’8 maggio 1564, appena una settimana dopo la scadenza dell’obbligo di applicazione dei decreti conciliari, primo tra i vescovi della Liguria e prima anche di san Carlo Borromeo a Milano.
E ben presto, nel 1568, Carlo Cicada istituisce il seminario, che ha la prima sede nel chiostro della cattedrale e passerà nel 1622 presso l’abolita collegiata di San Lorenzo.
Ai due vescovi Cicada è dovuto il rifacimento in forme monumentali del palazzo vescovile, mentre quello della cattedrale, attuato secondo i nuovi dettami controriformistici, verrà portato avanti con decisione, tra Cinque e Seicento, da Luca Fieschi.
Negli stessi anni si trasferiscono in città le clarisse, dal monastero extraurbano di San Calocero; sulla strada verso il mare un gruppo di cittadini facoltosi fonda il convento dei minimi di San Francesco da Paola; più tardi, nel 1623, Gio Maria Oddi istituisce un collegio per gli studi superiori, affidato ai somaschi, e un convento di monache domenicane, poi eretto sotto il titolo di San Tommaso.
Anche in tutta la diocesi si moltiplicano nuove sedi di congregazioni, in particolare i diversi rami dei francescani.
Un altro vescovo di famiglia albenganese – sono solo due nell’intera storia della diocesi –, Pier Francesco Costa, è figura di grande rilievo: a lui si deve un’attenta cura pastorale, e la redazione, opera del suo segretario canonico Gio Ambrogio Paneri, del Sacro e vago Giardinello, la monumentale descrizione della diocesi che raccoglie un’ampia ricerca d’archivio e le notizie attinte nelle sue frequenti visite pastorali.
I vescovi post conciliari agiscono con grande incisività, dimostrata appunto dalle visite pastorali e dalle convocazioni dei sinodi: se ne contano tre del Fieschi, due del Landinelli, due del Costa.
La città subisce tra Quattro e Seicento un progressivo calo demografico, pur mantenendo intatto il suo ruolo di capoluogo spirituale del vasto territorio; mentre hanno grande sviluppo altri centri legati all’economia marittima, come Alassio e Sanremo, o alle vie di transito, come Pieve di Teco e Triora.
Nel Settecento la diocesi dà alla Chiesa un altro santo, fra Leonardo da Porto Maurizio, dei minori riformati (1676-1751); predicatore di grandissimo rilievo in tutta Italia ma soprattutto a Roma, egli è la figura centrale del grande Giubileo del 1750, e propagatore della pratica della Via Crucis, che per primo predica al Colosseo appunto nell’Anno Santo voluto da papa Benedetto XIV.
Negli stessi anni il vescovo Costantino Serra (1746-1763) fonda la «Congregazione dei Missionarii dei preti secolari della diocesi di Albenga», che avrà grande diffusione e conterà ottimi predicatori.
Contribuiscono a questa tendenza le scuole: in città nel collegio Oddo si avvicendano somaschi e scolopi, in diocesi vi sono i gesuiti a Sanremo, a Oneglia, ad Alassio presso la chiesa di San Vincenzo Ferreri, dove poi si stabiliscono i domenicani.
Qui come altrove, una grave cesura è rappresentata dall’avvento della Repubblica Ligure sulla scia delle idee rivoluzionarie francesi, con la conseguente soppressione degli ordini regolari e la dispersione dei religiosi; solo il convento dei minori osservanti di San Bernardino avrà di nuovo vita nel 1818 – e sarà poi definitivamente abolito in seguito alle leggi «eversive » del Regno d’Italia –; in questo periodo si verificano certo mutamenti nelle ideologie, anche se le popolazioni rimangono pervase da una viva religiosità, ma ne consegue l’irrimediabile perdita di un grande patrimonio culturale.
Il vescovo di questi anni, Angelo Vincenzo Dania (1802-1818), figura discussa, proviene dalla cerchia giansenista genovese, aderisce alle tesi del gallicanesimo e ha stretti rapporti con Napoleone, anche come vice segretario del concilio di Parigi del 1811; ma nel febbraio 1814 riceverà solennemente in Albenga papa Pio VII, di ritorno dalla prigionia a Fontainebleau.
Albenga è, con la Restaurazione, capoluogo della provincia omonima, il cui territorio non coincide con quello diocesano, ben più ampio; la diocesi subisce però una vistosa decurtazione nel 1831 quando venticinque parrocchie della sua parte occidentale, fino a Santo Stefano, con i centri importanti di Sanremo, Taggia, Triora e tutto l’entroterra, passano alla diocesi di Ventimiglia, già privata di una sua porzione passata alla Francia; motivazioni storiche diverse avevano fatto attribuire alla diocesi di Mondovì nel 1803 alcune parrocchie delle valli di Albenga poste presso il crinale alpino.
In questo secolo è figura di rilievo il vescovo Raffaele Biale (1840-1870), che promuove il miglioramento dottrinale e culturale del clero, le missioni diocesane e quelle estere; dalla metà del secolo sono presenti in tutto il mondo sacerdoti missionari e missionarie della diocesi, che già nel 1820 aveva avuto un martire in Cina, il minore osservante Giovanni da Molini di Triora.
Tre sacerdoti diocesani, formati nel collegio genovese Brignole Sale per le Missioni, diventano i primi patriarchi del rinato Patriarcato Latino di Gerusalemme: sono Giuseppe Valerga di Loano, Antonio Belloni di Borgo d’Oneglia, che rinuncia al patriarcato per dedicarsi all’assistenza, Vincenzo Bracco di Torrazza.
Nel 1836 sono fondate a Loano, da Teresa Montaldo, le suore della Visitazione; pure a Loano nel 1885 dalla beata Francesca di Gesù (Anna Maria Rubatto), le suore terziarie cappuccine, oggi presenti soprattutto in America Latina e in Africa; a Diano Castello la venerabile Maria Leonarda Ranixe fonda le clarisse della Santissima Annunziata.
Nel campo della scuola, ad Alassio san Giovanni Bosco fonda nel 1870 il primo istituto salesiano fuori del Piemonte, tuttora vivace centro di studi e di vita giovanile.
In città, al collegio Oddo, ora retto da sacerdoti secolari, si affianca all’inizio del Novecento, nella frazione di San Fedele, il collegio femminile delle orsoline di Gesù, venute dalla Francia.
Negli stessi anni, monsignor Carlo Ferdinando Isola organizza ad Albenga l’opera del Sacro Cuore, unica realizzazione in Liguria sul modello dell’«oratorio» lombardo.
Con il 1929 è compiuto il grande nuovo edificio del seminario, al mare; nella vecchia sede nel centro antico si insediano, gestendo scuola elementare e asilo d’infanzia, le suore minime di Nostra Signora del Suffragio tuttora presenti in città.
Per molti anni è vescovo di Albenga Angelo Cambiaso, che vive gli anni per lui durissimi delle due guerre, intervenendo ripetutamente presso il comando tedesco fino al 1945, in particolare offrendosi come ostaggio in luogo di più di centocinquanta prigionieri civili, il 29 settembre 1943.
Una realtà attuale, che segna la vitalità della presenza cattolica in diocesi, è rappresentata dal centro scolastico diocesano Redemptoris Mater, unico in Liguria; comprende in un moderno centro polivalente scuola elementare, scuola media, liceo ginnasio con indirizzi diversi, accorpando l’istituto magistrale già delle orsoline di Gesù, il liceo classico dei salesiani, l’asilo Ester Siccardi, cui si aggiunge una sezione con scuola elementare e scuola media a Imperia Porto Maurizio.
Infine, la recentissima ripresa (2004) dell’antica tradizione benedettina, già così fiorente in diocesi, è segnata dalla piccola comunità che vive seguendo la spiritualità della regola, presso la parrocchia dei Santi Nazario e Celso a Borgomaro, nell’entroterra di Imperia.
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Diocèse de Albenga - Imperia
Chiesa di San Michele
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SOURCE
Le diocesi d'Italia, a cura di L. Mezzadri, M. Tagliaferri, E. Guerriero, Torino, San Paolo edizioni, 2007-2008, 3 volumi.