Diocèse de Palermo
HISTOIRE
La diocesi comprende i comuni di: Palermo, Altavilla Milicia, Bagheria, Baucina, Belmonte Mezzagno, Bolognetta, Caccamo, Campofelice di Fitalia, Casteldaccia, Castronovo di Sicilia, Cefalà Diana, Cerda, Ciminna, Ficarazzi, Godrano, Lercara Friddi, Marineo, Misilmeri, Roccapalumba, Sciara, Termini Imerese, Trabia, Ventimiglia di Sicilia, Vicari, Villabate, Villafrati.Poco sappiamo sulle origini della diocesi di Palermo.
Leggendaria è la rivendicazione della fondazione apostolica della sede che si vorrebbe far risalire a un primo vescovo, Filippo, inviato da san Pietro in Sicilia per lottare contro la magia.
Non è però da escludere che anche una città come Palermo potesse avere alla fine del II o inizi del III . un nucleo cristiano, essendo un porto di mare molto frequentato sulle rotte da Roma verso l’Africa.
Della consistenza della comunità cristiana dopo Costantino sono testimonianza le catacombe di via D’Ossuna e alcuni ipogei, nonché la memoria dei martiri o di tutti i santi nel luogo dell’antica cattedrale.
Nel 447 papa Leone avrebbe diretto ai vescovi di Sicilia una decretale, da alcuni messa in dubbio, dopo che il clero di Palermo e di Taormina aveva esposto reclamo contro i rispettivi vescovi accusati di aver dissipato i beni della Chiesa.
La tradizione della chiesa palermitana fa riferimento a un vescovo san Mamiliano, considerato martire della persecuzione di Diocleziano.
Si tratta con tutta probabilità invece di un vescovo, condotto prigioniero in Africa durante la persecuzione dei vandali insieme ad alcuni del suo clero, Eustozio, Proculo e Golbodeo (Quodvult Deus), poi dall’Africa arrivato in Sardegna e di là nelle isole toscane di Giglio e Montecristo dove visse come monaco.
A san Mamiliano sono unite le reliquie di santa Ninfa.
È dalle lettere di papa Gregorio Magno tuttavia che possiamo avere notizie più dettagliate della vita della Chiesa palermitana.
Gregorio fa riferimento a sei monasteri maschili: Sant’Ermete, Santi Massimo e Agata o Lucuscano, Pretoriano, Sant’Adriano, San Teodoro, più antico degli altri, e a un monastero femminile dedicato a san Martino.
Conosciamo il vescovo Vittore eletto nel 590, fondatore di una nuova cattedrale dopo che la prima era stata distrutta dai vandali.
Alla sua morte nel 602 venne eletto Giovanni al quale il papa inviò il pallio.
Problemi a cui fece fronte papa Gregorio furono il matrimonio dei suddiaconi palermitani e siciliani, gli atteggiamenti antigiudaici del vescovo Vittore e questioni varie che riguardavano la vita cristiana di laici, chierici e monaci palermitani.
In questo periodo la città crebbe di importanza anche perché divenne sede dell’amministrazione del Patrimonio di San Pietro in Sicilia per la parte occidentale.
Forte fu il legame con la Chiesa romana.
Nel 649 il vescovo Felice partecipò al sinodo lateranense che condannò l’eresia monotelita.
Del gruppo dei papi siciliani degli ultimi decenni del VII sec., palermitano fu certamente san Sergio di origine sira, ma nato e vissuto a Palermo, eletto papa nel 687, ma anche sant’Agatone viene considerato tale dai palermitani.
Del periodo bizantino, quando la Sicilia fu sotto il patriarcato di Costantinopoli, abbiamo poche notizie, sappiamo solo che il vescovo Teodoro fu tra i firmatari del II concilio di Nicea del 787.
Nell’832 Palermo è conquistata dagli arabi.
Il vescovo Luca, appena eletto e non ancora consacrato, e pochi altri si salvarono su una nave.
Di quel periodo rimane nella memoria della Chiesa palermitana il monaco san Filerete e con molta probabilità il martirio di santa Oliva.
La città diventò la nuova capitale dell’isola.
La religione musulmana era predominante, con la presenza di circa trecento moschee tra pubbliche e private.
La comunità cristiana non scomparve, ma si ridusse sensibilmente.
Quando i normanni entrarono a Palermo nel 1073 trovarono una sparuta comunità cristiana guidata dall’arcivescovo Nicodemo di rito bizantino nella piccola chiesa di Santa Domenica.
Ma dovevano esserci altri luoghi sacri cristiani, se il conte Ruggero iniziò il restauro di monasteri e chiese.
Nel territorio della diocesi si fa menzione del monastero di Santa Maria di Vicari.
Nicodemo venne ricondotto nella vecchia cattedrale che era stata trasformata in moschea.
Il 16 aprile 1083 Gregorio VII concesse il pallio al latino Alcherio (1083-1094), successore di Nicodemo, ma solo in forma generica si parla di sedi suffraganee.
Sembra che Alcherio d’accordo con la curia romana e con Roberto il Guiscardo abbia tentato di porsi a capo della nascente Chiesa latina, tentativo andato a vuoto per volontà del conte Ruggero che voleva invece rafforzare, guardando al modello bizantino, il potere regio con il controllo delle nomine dei vescovi, con il diritto di patronato e con il privilegio della legazia sicula, concesso da Urbano II nel 1098.
I nuovi arcivescovi Gualterio (1111-1116) e Pietro (1123-1132), che elevò la cappella Palatina alla dignità di parrocchia, furono uomini di fiducia del re.
Le sedi suffraganee di Agrigento Mazara e Siracusa furono assegnate nel 1130 dall’antipapa Anacleto II, e furono perdute per intervento di papa Innocenzo II.
Solo dopo il concordato di Benevento nel 1156, durante l’episcopato di Ugo (1143-1161),furono definitivamente assegnate a Palermo da papa Adriano IV come suffraganee Agrigento, Mazara e Malta.
Potente fu l’arcivescovo Ugo (1150-1161), trasferito da Capua, artefice del concordato, il quale al ritorno portò a Palermo da Napoli le reliquie di santa Cristina.
Rilevante fu sempre il ruolo politico dell’arcivescovo di Palermo per la vicinanza ai centri del potere.
E quindi ambita la nomina.
Quando Margherita di Navarra, reggente per il figlio Guglielmo II, conferì a Stefano Perche, giunto dalla Francia e perciò straniero, la carica di cancelliere del regno e nel 1167 lo fece eleggere arcivescovo di Palermo, il Perche, che voleva riformare i costumi, fu costretto a rinunciare a causa di una rivolta fomentata dai baroni, e a lasciare l’isola.
Perciò nel 1169 venne consacrato arcivescovo uno della famiglia del Palazzo, Gualterio (1169-1191), protofamiliario, inteso erronemente Offamilio, già precettore di Guglielmo II, il fondatore dell’attuale cattedrale, al quale papa Alessandro III concesse di essere consacrato a Palermo e non a Roma.
Tra le iniziative importanti di Gualterio sono da ricordare l’insediamento dei cisterciensi in città per il rinnovamento della vita cristiana.
In questo periodo è da collocare la morte dell’eremita santa Rosalia.
A Gualterio successe il fratello Bartolomeo (1191- 1200), predicatore, al quale l’imperatore Enrico VI confermò i privilegi della Chiesa palermitana.
Sul piano pastorale il recupero, la formazione cristiana e il consolidamento del consenso politico del popolo furono affidati ai monasteri più che al clero diocesano.
Tra Roma e la corte di Palermo era sempre vivo un contenzioso sulla nomina dei vescovi.
Secondo il concordato di Benevento del 1156 tra Guglielmo I e papa Adriano IV al capitolo metropolitano di Palermo spettava l’elezione del vescovo, ma prima di pubblicare il nome doveva sottoporre il candidato all’approvazione regia.
Con Tancredi al re restava solo la facoltà di negare approvazione alle elezioni episcopali decise dai capitoli delle cattedrali, come fu ratificato anche negli accordi del 1198 tra Innocenzo III e l’imperatrice Costanza.
Nel 1210 Federico II concesse all’arcivescovo Parisio di Palermo (1202-1211) privilegi, tra cui la tassazione sui giudei della città, e dichiarò la sede palermitana Caput et Sedes regni nostri.
Nel 1213 però depose Parisio e nominò arcivescovo di Palermo il pugliese Berardo di Castanea (1213-1252), già arcivescovo di Bari, che diventò uno dei più influenti suoi consiglieri politici e mediatore tra l’imperatore e la curia romana.
Berardo nel 1215 al concilio Lateranense incontrò san Domenico e lo invitò a fondare a Palermo un convento.
Più che pastore, Berardo fu un diplomatico che rimase vicino all’imperatore fino alla morte e lo assolse dalle censure in articulo mortis.
Nominato da papa Alessandro IV, Leonardo dei conti di Segni (1261-1273) chiese a san Tommaso d’Aquino un opuscolo sul Credo e sui Sacramenti.
Durante l’episcopato di Pietro di Santafede nel 1282 scoppiò a Palermo la rivolta dei Vespri siciliani e si inasprì il contenzioso tra la Santa Sede, favorevole alla successione in Sicilia degli Angiò, e la dinastia aragonese.
La reazione contro Roma fu guidata da re Federico III.
Con lui trovarono accoglienza a Palermo i fermenti di riforma della Chiesa di Arnaldo da Villanova, che venne a Palermo tra il 1303 e il 1309.
Da Palermo passò anche Raimondo Lullo, che nel 1312 dedicò una sua opera all’arcivescovo di Monreale Arnaldo de Raxac e a Federico III.
La città diventò rifugio nel 1312 di alcuni gruppi di spirituali francescani in rotta con Roma e l’arcivescovo di Palermo non trovò in loro nulla di eretico.
Nonostante la reservatio papalis di Innocenzo IV del 1251 sulla nomina dei vescovi, che in Sicilia si realizzò soprattutto a partire dal periodo angioino, Federico III scelse come arcivescovi di Palermo due suoi parenti, Bartolomeno di Antiochia (1305-1311) e poi il fratello di lui Francesco di Antiochia (1311-1320).
Ma alla morte di Federico III Clemente VI nel 1351 elesse come arcivescovo il francescano Ruggero de Phaleriis, maestro di teologia, come pure maestro di teologia era Arnaldo Caprarii, che morì nel 1362.
Lo stesso anno venne trasferito da Agrigento a Palermo Ottaviano de Labro.
La lotta tra il partito catalano e il partito latino spazzò via dalla sede di Palermo Ottaviano de Labro, avversario del grande feudatario Federico Chiaromonte.
L’accordo delle parti nell’ottobre 1362 permise a papa Urbano V di trasferire nel 1363 da Catania alla sede di Palermo, dove arriva nel luglio 1364, Migliore (Melchiorre) Bevilacqua, veronese, a lui legato in funzione antiviscontea e filoangioina, che gli garantiva di non incoronare re Federico IV d’Aragona, dal papa considerato illegittimo detentore del potere nell’isola.
Il Bevilacqua però morì il 27 novembre di quell’anno.
I francescani avevano ormai un peso considerevole nell’isola.
Urbano V nel 1366 nominò arcivescovo il francescano Matteo della Porta (1366-1377), al quale nel 1377 successe ancora un francescano, Nicola di Agrigento.
Si trattava probabilmente di Nicolò Cinco, provinciale nel 1372, scomunicato dall’inquisitore Simone del Pozzo per istigazione di Martino da Corleone.
L’intervento del re presso il papa riabilitò Nicolò, accusato ingiustamente di errori dottrinali, che venne inviato ambasciatore a Firenze e poi arcivescovo a Palermo, dove si batté per il recupero dei beni ecclesiastici.
Ma nel 1384 fu costretto a lasciare la città dal feudatario Manfredi Chiaromonte, che voleva insediare il suo partigiano Ludovico Bonito (1384-1392).
Pur in mezzo alle lotte di fazioni, nel Trecento si andava configurando una strutturazione religiosa della città.
Le parrocchie che stavano nascendo nei quartieri, oltre la cattedrale e San Pietro nel Palazzo, erano San Nicolò dei Greci alla Kalsa, Sant’Ippolito al Saralcadio, e alla fine del secolo Santa Margherita alla Conceria, Santa Croce, San Giacomo.
Esse avevano poca autonomia dal capitolo metropolitano e poca incidenza sul piano pastorale.
Furono invece gli ordini mendicanti (francescani, domenicani, carmelitani, agostiniani, mercedari) che in un secolo portarono a compimento il processo di latinizzazione, intessendo rapporti con i ceti emergenti della borghesia e facendo una proposta evangelica attraverso varie forme di predicazione popolare.
I francescani trovarono appoggi nelle colonie dei mercanti venuti dal continente.
La spinta riformatrice di Federico III facilitò tra XIII e XV . la formazione di movimenti di spiritualità laicale e la nascita nei chiostri dei mendicanti di confraternite e compagnie laicali che animavano feste, prediche e processioni di flagellanti.
Nel 1343 un gruppo di laici si riunì nel convento dei minori di san Francesco e fondò una compagnia di disciplina con statuti in lingua volgare.
Nacquero poi le confraternite artigianali come associazioni di categoria e di mutuo soccorso che diventarono struttura portante del ceto delle maestranze della città.
Nel 1372 la pace tra papa Gregorio XI e Federico IV il Semplice lasciò libere le Chiese di eleggere i loro vescovi, con la sola conferma papale e senza quella del re.
Due sinodi provinciali vennero tenuti dagli arcivescovi Matteo della Porta nel 1373 e Ludovico Bonito nel 1388 sulla disciplina del clero.
Alla morte di re Federico IV nel 1377 esplosero le lotte baronali tra le fazioni latina e catalana e la Sicilia fu divisa in quattro vicariati affidati alle famiglie feudali più potenti.
Nel 1391 sbarcarono in Sicilia Martino il Vecchio, duca di Montblanc, che divenne re di Aragona e di Catalogna, e il figlio Martino il Giovane per rivendicare il Regno di Sicilia in quanto sposato a Maria, figlia di Federico IV il Semplice.
I Martino erano legati al papa avignonese Clemente VII.
Il re aragonese voleva togliere al capitolo metropolitano la designazione del candidato arcivescovo per affermare il diritto di nomina regia.
Ludovico Bonito, arcivescovo nel 1392, all’arrivo dei Martino venne allontanato perché vicino al partito dei baroni e solidale con il papa romano Bonifacio IX e fu sostituito da Asberto di Villamari, scelto dal sovrano.
Nel 1393 scoppiò la rivoluzione dei baroni contro i Martino, guidata da Enrico Chiaromonte.
Il papa Bonifacio IX appoggiò i rivoltosi.
Il Villamari, favorevole ai Martino, si allontanò dalla città.
I Martino proposero allora la nomina di Raimondo Adamaro di Santapau, che non ne prese possesso.
Papa Bonifacio IX invece inviò nella città in mano ai ribelli come nunzio apostolico Gilforte Riccobono, che diventò arcivescovo di Palermo e venne riconosciuto dai baroni, non però da re Martino.
Quando Palermo capitolò e Martino il Giovane riconquistò la città nel 1397, il Riccobono venne allontanato e si fece nuovamente vivo Asberto Villamari, che il 4 aprile del 1398 incoronò re Martino il Giovane.
Il Villamari morì il 13 ottobre 1399.
Nonostante i capitolari chiedessero che la nomina di Francesco Vitali, voluta dal re, fosse sottoposta all’approvazione papale, il re ribadì che la designazione spettava al re, e al capitolo solo l’elezione.
Il Vitali venne eletto arcivescovo, ma dopo breve tempo fu allontanato e gli subentrò Giovanni Procida.
Il papa avignonese Benedetto XIII concesse a re Martino tutte le nomine nel regno.
Questa espropriazione dei capitoli venne confermata sotto Ferdinando I di Castiglia e definitivamente realizzata sotto re Alfonso, che inizialmente parteggiò per Basilea e ne attuò il disegno riformatore con una prammatica del 1437 sulla elezione dei vescovi riconosciuta ai capitoli locali, ma poi si avvicinò a papa Eugenio IV e ottenne la conferma della nomina ai benefici.
Tra gli artefici del rinnovamento della città nel XIV . il più famoso è l’arcivescovo Nicolò Tedeschi, giurista, detto Panormitanus, ambasciatore della Sicilia al concilio di Basilea, di cui condivise i progetti di riforma della Chiesa.
Per questo motivo papa Eugenio IV sottrasse nel 1443 a Palermo la diocesi suffraganea di Agrigento, che fu però restituita nel 1447 da Nicolò V.
Poiché il Tedeschi si opponeva a donativi degli ecclesiastici alla corona, re Alfonso fece ricorso a papa Eugenio IV, che appoggiò la sua richiesta di un sinodo a carattere nazionale siciliano tenutosi poi a Palermo nel 1433, presieduto dal vicelegato pontificio Simone Salvatore, nel quale furono votati i donativi, seguito da un altro sinodo nel 1450 per lo stesso motivo.
Da ricordare anche il beato Giuliano Mayali, fondatore del grande ospedale nel 1432 e promotore di altre opere pubbliche.
Nel 1519 papa Leone X nominò arcivescovo il teologo cardinale Tommaso de Vio detto Caietanus, che dovette rinunziare perché eletto senza rispettare il regio patronato.
Il controllo della nomina dell’arcivescovo nasceva dal forte legame che da sempre l’arcivescovo aveva con la vita politica del regno, sia perché spesso presiedeva il ramo ecclesiastico del parlamento, sia perché in periodi di transizione dal XV al XVIII . dieci arcivescovi furono chiamati a rivestire la carica di presidente del regno e a volte anche di capitano generale.
Dal 1520 al 1544 la sede di Palermo fu formalmente retta da uno dei consiglieri del re e imperatore Carlo V, il borgognone Giovanni Carandolet, che mai raggiunse Palermo.
In questo periodo si trovano in città tracce del movimento protestante con riferimento al De Beneficio di Cristo.
Nel 1540 Bernardino Ochino predicò in città, nel 1542 arrivò Benedetto da Mantova a cui erano legati alcuni benedettini palermitani; e non furono assenti anche posizioni calviniste, per la presenza di una comunità francese.
Nel 1544 fu eletto arcivescovo Pietro Aragona Tagliavia, che partecipò nel 1545 al concilio di Trento, ove sostenne una sua posizione sulla grazia nella quale si affermava il primato di Dio come causa della grazia e soltanto dopo il concorso delle buone opere.
Anche il suo successore Francesco de Horosco (1559-1561) fu a Trento.
I decreti del concilio vennero applicati dai primi sinodi diocesani (Tagliavia 1555, Horosco 1560, Ottaviano Preconio 1564).
Il messinese Cesare Marullo (1578-1588) fondò il seminario dei chierici nel 1583 e nel 1586 tenne un sinodo esemplare, contestato dal capitolo metropolitano.
La riforma cattolica penetrò con la diffusione di nuove devozioni, mariane e eucaristiche, per opera dei nuovi ordini religiosi.
Il passaggio dalla predicazione penitenziale alla esemplarità tratta dagli episodi della Passione e alla esaltazione controriformista del culto eucaristico è dovuto al ruolo assunto dai gesuiti, venuti in città nel 1549, che nel giro di un secolo erano presenti con cinque case, ottenendo per molto tempo, fino all’arrivo dei teatini e degli scolopi, il monopolio dell’insegnamento superiore per la formazione delle classi dirigenti ecclesiastiche e laiche, dal momento che Palermo non ebbe una università fino agli inizi del XIX . Il volto urbanistico della città cambiava ancora una volta per la presenza dei nuovi insediamenti religiosi.
Nel 1650 erano 44 le case maschili con circa 1500 religiosi e 28 i monasteri femminili con circa 600 monache.
Nel 1735 erano 167 le chiese dentro le mura e 43 fuori le mura, 5 gli ospedali in città e 4 nei centri della diocesi.
Se la Riforma arrivò sul piano devozionale, ci furono remore all’attuazione del concilio sul piano istituzionale proprio per la difesa dei diritti di legazia e del tribunale di regia monarchia.
La centralità pastorale e giuridica del vescovo non decollava.
La diocesi di Palermo si trovava frammentata tra varie giurisdizioni che non facevano capo al vescovo locale.
Oltre al clero diocesano, esistevano un clero di rito bizantino per le colonie albanesi, un clero palatino sotto la giurisdizione del cappellano maggiore del regno per le chiese regie, una giurisdizione legata all’Inquisizione, una al giudice di monarchia sicula e poi la giurisdizione esente degli ordini regolari.
Molto importante fu per la città la riforma del sistema parrocchiale.
Nell’anno 1600 l’arcivescovo Diego de Haedo (1589-1608) portò a compimento un processo iniziato nel 1571 dall’arcivescovo Giacomo Lomellino per riparare gli abusi nell’amministrazione dei sacramenti del clero parrocchiale senza rendite certe.
La bolla di Clemente VIII del 15 ottobre 1599, eseguita in Palermo il 17 aprile 1600, accettava che il senato palermitano pagasse una congrua ai parroci della città i quali venivano obbligati ad amministrare e celebrare gratuitamente i sacramenti e i funerali.
Il senato da parte sua otteneva il diritto di presentazione dei parroci all’arcivescovo, mentre i cappellani dovevano essere eletti dai parroci e approvati dall’arcivescovo.
Le parrocchie allora erano: Cattedrale, Sant’Antonio, San Nicolò l’Albergheria, San Giovanni dei Tartari, Sant’Ippolito, Santa Croce, San Nicolò la Kalsa, San Giacomo la Marina, Santa Margherita, che si aggiunsero a San Silvestro nel Real Castello a Mare, San Pietro nel Palazzo Reale; in seguito furono seguite da San Nicolò dei Greci e da quelle di alcuni villaggi.
Il lungo episcopato del cardinale Giannettino Doria (1608-1642) fu denso di avvenimenti e iniziative pastorali (tre sinodi, 1615, 1622, 1633).
Nel 1608- 1610 fu fondata da alcuni preti la congregazione della carità di San Pietro per l’assistenza ai sacerdoti poveri, ammalati e prigionieri dei pirati.
Mentre la peste mieteva vittime, il 15 luglio 1624 avvenne su Montepellegrino il rinvenimento di quella che fu ritenuta la tomba di santa Rosalia, il cui culto crebbe fino a soppiantare le antiche patrone della città.
Il Festino, perduto il carattere penitenziale degli inizi, ogni anno ne ricorda in modo trionfante il rinvenimento e la vittoria sulla peste.
Una impronta pastorale fu data dall’arcivescovo Giacomo de Palafox y Cardona, aragonese (1677-1684), uomo pio che al suo arrivo volle predicata una missione popolare di quindici giorni.
Tenne tre visite pastorali e nel 1679 un sinodo diocesano.
Tra la fine del XVII . e gli inizi del XVIII si affermò nella Chiesa palermitana una presa di coscienza del clero secolare che organizzava proprie strutture comunitarie con finalità pastorali e che mirava alla parrocchia come luogo di riforma della Chiesa.
Sono perciò significativi gli interventi pastorali di alcuni vescovi e preti in questo periodo.
Il palermitano Ferdinando Bazan (1686-1702) compì tre visite pastorali, inculcò l’insegnamento del catechismo, introdusse l’uso di portare il viatico in modo solenne, creò un ospedale dei sacerdoti, aprì un’adunanza di preti per le scienze sacre in cui ogni giorno della settimana si tenevano lezioni su diritto canonico, predicazione, catechetica, morale, missioni, teologia, liturgia.
Per i tentativi di vita comune del clero diocesano si impegnò il servo di Dio don Giuseppe Filangeri dei principi di Santa Flavia, che fondò la Casa di Santa Eulalia sul modello tedesco di Bartolomeo Altzaner.
L’opera del Bazan fu continuata dall’arcivescovo fra Giuseppe Gasch dell’ordine dei minimi (1703- 1729), spagnolo, che raccomandava e viveva la carità verso i poveri, compì tre visite pastorali e intervenne contro abusi nelle feste e nei monasteri.
Il tentativo di celebrare un sinodo da parte del Gasch, come già quello del suo predecessore Bazan, non arrivò a compimento.
Non si tennero infatti più sinodi fino agli inizi del XX sec., per l’invadenza giurisdizionalista sulla vita della Chiesa.
Il Gasch fu travolto dalla questione liparitana, che sfociò nella controversia giurisdizionalista tra Clemente XI e Vittorio Amedeo II di Savoia, re di Sicilia, sulla legazia sicula e il tribunale di monarchia.
L’arcivescovo si allontanò da Palermo nel 1715 per non lanciare l’interdetto alla città e ritornò nel 1723 quando la Sicilia era passata all’Austria.
Nel 1721 per iniziativa di alcuni preti nacque la Congregazione della dottrina cristiana.
Nel 1730 un gruppo di preti diocesani fondò la Congregazione dei pii operai di san Vincenzo de’ Paoli sotto titolo di Maria Santissima del Lume, che si proponeva la predicazione al popolo delle campagne palermitane «informandoli all’evangelico incivilimento».
A questa si aggiunse una Congregazione dei padri della missione urbana in Santa Maria degli Agonizzanti e la Congregazione dei padri rigordanti per l’assistenza dei moribondi.
Da preti secolari vennero fondati i collegi di Maria per la formazione culturale e religiosa delle fanciulle del popolo e della piccola borghesia, mentre il prete Ignazio Filippone fondava nel 1727 le Figlie della Carità per il servizio alle donne inferme.
Il riformismo ecclesiastico si fece strada a partire dall’influsso muratoriano che arrivò a Palermo attraverso l’Accademia del buon gusto (1718) e soprattutto la presenza dei benedettini di San Martino delle Scale.
L’arcivescovo Matteo Basile, che incoronò re Carlo III Borbone nel 1735, lamentava l’eccessivo numero dei preti.
La situazione economica del basso clero era miserevole.
Si doveva elevare la formazione culturale del clero.
L’arcivescovo Domenico Rosso (1737-1747), nonostante infuriassero le polemiche con il Muratori per il giuramento sanguinario con cui il senato palermitano si impegnava a difendere l’Immacolata Concezione di Maria fino all’effusione del sangue, nominò rettore del seminario Giovanni Di Giovanni, canonico della cattedrale e amico del Muratori.
Il Di Giovanni istituì nel seminario le scuole che mancavano, perché gli alunni frequentavano quelle del Collegio Massimo dei gesuiti.
Benedetto XIV nel 1745 concesse a queste scuole di conferire il dottorato in sacra teologia, ma si ebbe l’opposizione congiunta dell’università di Catania e dei gesuiti.
Si volevano sottrarre i chierici all’influsso dei gesuiti, perché legati alla filosofia scolastica e perché religiosi, mentre il prete diocesano doveva essere formato alla spiritualità secolare e alla vita pastorale della parrocchia.
I frutti di questa nuova visione di autonomia del clero secolare furono subito evidenti nella nascita di nuove istituzioni di formazione del clero.
Nel 1628 Pietro Villafrates, gesuita, aveva fondato nel Collegio Massimo dei gesuiti di Palermo una congregazione di spirito, chiamata del Fervore, che aveva come scopo la formazione di sacerdoti diocesani e di laici.
Nel 1748 però, per iniziativa di due sacerdoti diocesani, il venerabile Ignazio Capizzi e il parroco Isidoro Del Castillo, una parte dei preti della congregazione del Fervore formò una congregazione di spirito sotto il titolo di San Giuseppe.
Anche all’interno di questa congregazione nel 1752 si creò una scissione per opera del parroco Del Castillo e si formò una nuova congregazione di soli ecclesiastici, con lo scopo di ristabilire la disciplina ecclesiastica con l’assistenza alle proprie chiese e con il catechismo ai fanciulli e ai giovani, la visita agli ospedali, il servizio liturgico nella chiese parrocchiali con il canto dei vespri.
La nuova congregazione si denominò significativamente dei santi Carlo Borromeo e Francesco di Sales e tenne anche una casa di esercizi spirituali.
Queste congregazioni, insieme a quella del Fervore presso i gesuiti, denominata, dopo la soppressione dell’ordine, dei Santi Pietro e Paolo, e un’altra nata presso la casa dei padri dell’oratorio all’Olivella, diventarono strutture fondamentali di vita comunitaria del clero palermitano e, assieme al seminario, anche luoghi di formazione dei chierici.
Mentre le altre sedi episcopali siciliane a metà del Settecento vennero affidate a uomini del regno, per la sede di Palermo la monarchia borbonica continuò a scegliere anche non siciliani.
Simpatie per idee illuministe e gianseniste troviamo tra gli stessi arcivescovi di Palermo provenienti dai circoli riformisti napoletani, Marcello Papiniano Cusani (1754-1762) e il successore Serafino Filangeri (1762-1776).
Da Palermo provenivano Salvatore Ventimiglia, vicario generale del Cusani e poi vescovo di Catania, i fratelli Di Blasi, dei quali Salvatore fu arcivescovo di Messina.
Comunque difficoltà incontrarono i tentativi di riforma della disciplina del clero e dei monasteri tra le oligarchie locali nobiliari, influenti attraverso il tribunale di regia monarchia.
La politica giurisdizionalista di Bernardo Tanucci e il riformismo più laico dei viceré Caracciolo e Fogliani incisero sulla vita della Chiesa.
Per poter disporre del patrimonio della mensa arcivescovile di Monreale, tra le più ricche della Sicilia, la monarchia accorpò la diocesi a quella di Palermo dal 1772 al 1802.
Ma non mancarono a Palermo reazioni che chiedevano maggiore libertà per la Chiesa e comunicazione con Roma, come avvenne nel dibattito a seguito della protesta dei vescovi del 1808, né mancarono proposte di riforma della Chiesa, come quelle del prete Andrea Pusateri di Caccamo, o di riforma degli studi nei seminari del canonico Niccolò Di Carlo.
All’inizio dell’Ottocento si distinsero per zelo e carità verso i poveri il siciliano cardinale Gaetano Trigona (1833- 1837), che morì di colera, e il napoletano cardinale Ferdinando M.
Pignatelli (1839- 1853).
La figura di santità che emerse in questo periodo è quella del principe di Palagonia, che si mise a servizio dei poveri e fondò la congregazione delle Figlie della Carità, conosciute come Figlie del Principe di Palagonia.
Nella rivoluzione del 1848 gran parte del clero si mostrò favorevole a una soluzione costituzionale cattolica e liberale, pur temendo i radicalismi di alcuni ambienti rivoluzionari.
Nella congregazione generale dei vescovi siciliani tenuta a Palermo nel 1850 il cardinale Pignatelli assunse la presidenza su mandato del cardinal Antonelli e poi del re, ruolo che l’arcivescovo di Palermo manterrà di fatto nelle future conferenze episcopali.
Nel 1853, alla morte del napoletano Pignatelli, il governo borbonico per ingraziarsi i siciliani scelse il palermitano Giovanni Battista Naselli.
La spaccatura della Chiesa palermitana raggiunse nel 1860 livelli gravissimi di scontro anche ecclesiologico tra clero garibaldino, clero giurisdizionalista e clero zelante.
L’arcivescovo appoggiò il clero zelante.
Da esso provennero i nuovi vescovi di alcune diocesi siciliane, nominati da Pio IX all’indomani della legge delle Guarentigie.
Si trattava di preti che temevano l’ingerenza del nuovo regime nella vita della Chiesa, nonostante le affermazioni di libertà, e la propaganda massonica tra il popolo.
Incisero profondamente nella struttura della diocesi la soppressione delle corporazioni religiose, l’incameramento dei loro beni, la soppressione del tribunale di legazia.
Il carico pastorale passava ora quasi esclusivamente al clero secolare, rafforzando il ruolo della parrocchia nel territorio e la centralizzazione giuridica e pastorale del vescovo.
La risposta alla secolarizzazione durante l’episcopato del Naselli e poi del palermitano cardinal Michelangelo Celesia (1871-1904) avvenne sul piano caritativo e devozionale.
Spiccano soprattutto il beato Giacomo Cusmano fondatore del Boccone del povero e il servo di Dio Nunzio Russo, animatore in tutti i campi dell’apostolato.
Palermitano fu il beato Giuseppe Benedetto Dusmet, benedettino vescovo di Catania.
Forte fu il risveglio di devozione eucaristica con la pratica della comunione quotidiana per opera di monsignor Domenico Turano, poi vescovo di Agrigento, e della prima comunione solenne e comunitaria.
Sul piano culturale emergono Isidoro Carini, sotto-archivista della Santa Sede e prefetto della Biblioteca vaticana, e il teologo Salvatore Di Bartolo, antesignano di idee moderniste moderate.
Nel 1878 Celesia ottenne dalla Santa Sede il collegio teologico per conferire i titoli accademici in teologia.
Molto consistente e vivace fu il movimento cattolico sociale della prima Democrazia cristiana agli inizi del Novecento per salvare il mondo contadino e operaio dal socialismo.
Si distinsero preti sociali come Torregrossa e Lo Cascio.
Nacque un nuovo laicato cattolico, tra cui Mangano, Petyx, Arezzo, Iannelli, Traina.
A succedere al cardinal Celesia venne inviato nel 1904 il lombardo Alessandro Lualdi che continuò il processo di inserimento della Chiesa palermitana nella Chiesa italiana.
Nel 1908 fu tenuta la settimana sociale promossa dall’Unione popolare, durante la quale fu fondata l’Unione fra le donne cattoliche.
Sul piano caritativo si sviluppò l’opera di padre Giovanni Messina per l’assistenza agli orfani e si attivarono iniziative per i profughi del terremoto di Messina, per i militari e le loro famiglie durante la prima guerra mondiale.
Poca incidenza ebbe il modernismo, anche se tentativi di mediazione con la cultura moderna furono fatti nel circolo della Biblioteca filosofica di Amato Pojero, al quale partecipavano figure di rilievo come Giovanni Gentile, monsignor Onofrio Trippodo e la scrittrice e mistica Angelina Lanza Damiani.
Non meno importante il contributo culturale dato da Pietro Mignosi, direttore della rivista «La Tradizione».
A partire dal primo concilio plenario siculo del 1920 si allargò il sistema parrocchiale per opera dell’arcivescovo Luigi Lavitrano, di Ischia (1928-1945): trentasette nuove parrocchie in quindici anni.
Si allentò l’impegno sociale e politico anche per la pressione del fascismo, si riorganizzò la diocesi secondo il Codice di diritto canonico del 1917, si rafforzò l’attività catechistica e si rese obbligatoria la costituzione di tutti i rami dell’Azione cattolica, dei segretariati e la formazione dei consigli parrocchiali che in un solo anno (1936- 1937) passarono da sei a quaranta.
La riforma fu sanzionata dal sinodo diocesano del 1933.
Fautore dell’Associazione per l’Oriente cristiano, Lavitrano fu anche primo amministratore della nuova diocesi di Piana degli Albanesi.
Lasciò la diocesi nel 1945 quando si accorse che i tempi cambiavano.
Nel secondo dopoguerra la pastorale assunse una connotazione movimentista con il mantovano cardinal Ernesto Ruffini (1945-1967), che ritenne necessaria un’attiva presenza della Chiesa in campo sociale e politico per la ricostruzione della città dopo le distruzioni della guerra e per allontanare il pericolo comunista.
Il processo di ricomposizione della società siciliana doveva avvenire attorno alla Chiesa unica garante dei valori e della religiosità del popolo.
Perciò l’arcivescovo, come console di Dio, svolse una intensa opera sociale, con la realizzazione di centri sociali, di villaggi e di mense per i poveri e con l’istituzione della scuola di servizio sociale.
Le prime attuazioni del concilio Vaticano II, iniziate dal cardinal Ruffini, vennero continuate dal successore, il siciliano Francesco Carpino (1967-1970) che però si dimise dopo tre anni.
Con il cardinale Salvatore Pappalardo (1970-1995), di origine catanese, iniziò, nello spirito del concilio, una modernizzazione sul piano culturale e pastorale.
Si accentuarono l’evangelizzazione, che voleva riempire di contenuti nuovi la religiosità popolare tradizionale, e la solidarietà con la missione di Palermo, e si attuò il rinnovamento liturgico.
La Chiesa denunziò i mali sociali, soprattutto la mafia, richiamò alla partecipazione e alla corresponsabilità sia sul piano ecclesiale che civile, allentò il collateralismo con la Dc, mentre nasceva il movimento «Città per l’uomo».
Creatività e responsabilità personale trovarono il loro momento comunitario nelle assemblee diocesane come luogo di confronto e di proposta aperto al dialogo con la comunità civile e con le altre Chiese.
Per la crescita culturale venne fondata agli inizi degli anni Settanta la Scuola superiore di scienze religiose che diventò nel 1981 Facoltà teologica di Sicilia.
La condanna della mafia e la proposta di una pastorale evangelicamente impegnata portò all’uccisione di don Giuseppe Puglisi il 15 settembre 1993.
Nel 1995 il convegno delle Chiese d’Italia a Palermo coronò l’episcopato del cardinal Pappalardo.
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Diocèse de Palermo
Chiesa di Maria Santissima Assunta
Diocèse
SOURCE
Le diocesi d'Italia, a cura di L. Mezzadri, M. Tagliaferri, E. Guerriero, Torino, San Paolo edizioni, 2007-2008, 3 volumi.