Diocèse historique de Lipari
HISTOIRE
Le prime notizie relative alla cristianizzazione dell’arcipelago eoliano attestano che in esso, come nelle altre isole che circondano la Sicilia, si trovavano, tra VI e VIII sec., monaci ed eremiti.A uno di essi si riferisce Gregorio Magno, quando racconta che costui vide l’anima del re degli ostrogoti Teodorico (†526), precipitata nel cratere dell’isola di Vulcano dai papi Simmaco e Giovanni I.
Più numerose sono, invece, per lo stesso arco cronologico, le notizie riguardanti la gerarchia ecclesiastica isolana.
«Augustus episcopus ecclesiae Liparitanae » sottoscrive i canoni dei concili romani del 501 e 502; Gregorio Magno fa riferimento a un vescovo Agatone nel luglio 593; un vescovo Pellegrino è presente al sinodo lateranense del 649 e Basilio al concilio di Nicea II del 787.
Con la conquista araba della Sicilia (827-965), le notizie relative alla presenza umana nelle isole si fanno assai scarse e bisogna attendere l’arrivo dei normanni per il ripopolamento della regione.
Le più antiche testimonianze di epoca normanna sono relative alla fondazione a Lipari dell’abbazia benedettina dedicata a san Bartolomeo.
A tal proposito, alcuni studiosi ritengono che tale fondazione possa essere collocata nel decennio 1072-1081, anche se il primo documento a noi pervenuto riguardante il cenobio è una donazione del conte Ruggero all’abate Ambrogio del luglio 1088.
A essa fecero seguito atti di liberalità da parte di signori laici ed ecclesiastici e la decisione di Urbano II di dichiarare soggetto alla Sede apostolica il monastero, al quale, nel 1094, Ruggero I unì la nuova abbazia benedettina di San Salvatore di Patti.
Si è dibattuto lungamente se il conte avesse intenzione di elevare a vescovato il monastero insulare.
Certamente, egli assegnò al cenobio un duplice obiettivo: favorire il ripopolamento dell’arcipelago e diventare il caposaldo della dominazione normanna nel Tirreno meridionale.
Peraltro, come è stato osservato, la presenza di Tindari, tra le proprietà dell’abbazia di Patti, «abilitava in un certo qual modo il nuovo ente ecclesiastico a raccoglierne l’eredità episcopale, preparando così l’erezione in diocesi delle due sedi unite», cosa che si verificò al tempo dello scisma del 1130.
Ruggero II, infatti, in cambio dell’appoggio fornito all’antipapa Anacleto II, riuscì a ottenere l’elevazione delle abbazie unite a diocesi suffraganea di Messina.
La conferma definitiva delle scelte di politica ecclesiastica operate da re Ruggero si ebbe solo nel 1166, quando Alessandro III riconobbe la provincia ecclesiastica messinese.
Al tempo di Federico II, la Chiesa di Lipari- Patti fu privata di alcuni beni concessi in età normanna, come il casale di Santa Lucia di Milazzo (Santa Lucia del Mela) e le miniere di allume di Vulcano, e, in età angioina, le vicende politiche e militari conseguenti alla rivolta del Vespro (1282), diedero inizio a una serie di passaggi della diocesi da una giurisdizione all’altra.
Rimasta fedele agli Angiò, con la pace di Caltabellotta (1302), Lipari passò sotto la sovranità degli aragonesi, ai quali era andata la corona di Sicilia.
Pochi anni dopo, nel 1340, a seguito di una cruenta battaglia navale combattuta nelle sue acque, l’arcipelago tornò sotto il dominio dei sovrani napoletani che lo tennero fino al tempo di Alfonso d’Aragona.
Sono questi i motivi per cui Bonifacio IX smembrò la Chiesa di Lipari-Patti, rendendo la diocesi isolana autonoma e immediatamente soggetta a Roma (1399).
Nella seconda metà del XV sec., con l’unione dei due regni di Sicilia sotto un solo sovrano, la diocesi tornò a far parte della provincia ecclesiastica messinese.
Ma, durante l’episcopato di Baldo Ferratino (1534-1553), le Eolie subirono l’incursione del pirata Barbarossa e, dopo dieci giorni di lungo assedio e cannoneggiamenti, la città di Lipari fu saccheggiata e incendiata e molte migliaia dei suoi abitanti deportati in schiavitù (11 luglio 1544).
Al tempo del vescovo Vidal (1599-1617), l’arcipelago fu definitivamente smembrato dal vicereame di Napoli e nuovamente aggregato a quello di Sicilia, ma, durante l’episcopato di Alberto Caccamo (1618- 1627), fu ricusata la giurisdizione del metropolita di Messina e del tribunale della regia monarchia.
Ne nacque un’aspra vertenza che si concluse in maniera sfavorevole al Caccamo, anche se il suo successore, contestualmente alla nomina al vescovato, ottenne dal pontefice Urbano VIII che la Chiesa eoliana fosse nuovamente soggetta alla Sede apostolica.
Questa decisione provocò il riaccendersi della lite e solo al tempo di papa Benedetto XIII, con una «concordia», si mise la parola fine alla esenzione dalla giurisdizione metropolitana e alla ben più celebre «controversia liparitana » (1711-1728), una vicenda che ebbe gravissime conseguenze nella intera Sicilia e causò anche l’esilio di alcuni vescovi siciliani.
Tra questi vi fu il vescovo di Lipari, Nicola Maria Tedeschi (1710-1722), che il pontefice volle segretario della Congregazione dei riti, dopo che ebbe rinunciato al governo della diocesi.
Il XVIII . si chiuse con il completamento dei lavori nel duomo e la fondazione di alcune opere pie.
Ma, proprio per le oggettive difficoltà di accesso alla cattedrale, nella seconda metà dell’Ottocento si aprì una nuova controversia giudiziaria.
Il vescovo Ludovico Idéo (1858-1880), infatti, aveva istituito un legato al fine di costruire una nuova cattedrale, ma il suo successore, ritenendo insufficiente la somma, pensò di modificare le disposizioni testamentarie, credendo più utile costruire una nuova strada che portasse al duomo.
Ma, per il ritardato inizio dei lavori e per una serie di ricorsi alla Santa Sede da parte delle suore della Carità, chiamate a succedere in terzo grado dal testatore, bisognò attendere fino al 1913 per il completamento della via di accesso alla cattedrale.
La realizzazione dell’opera fu dovuta a monsignor Paino, eoliano, vescovo di Lipari dal 1909, che, a sua volta, appena preso possesso della sede, fece causa all’amministrazione comunale per il possesso dei redditizi terreni pomiciferi dell’isola, che egli, sulla base della donazione del conte Ruggero del 1088, riteneva gli appartenessero.
Da qui l’inizio di un lungo conflitto tra i politici comunali, in gran parte di estrazione massonica, e il vescovo, il quale, minacciato di morte, preferì lasciare per sempre l’isola, governando la diocesi da Messina, mentre, frattanto, la cassazione rigettava il suo ricorso.
Per tutto il XX . la vita della diocesi proseguì senza altri incidenti, fino al 1977, quando la nomina di monsignor Cannavò, arcivescovo e archimandrita di Messina, fece presagire la prossima unione con Messina, realizzatasi il 30 settembre 1986.
Diocèse
SOURCE
Le diocesi d'Italia, a cura di L. Mezzadri, M. Tagliaferri, E. Guerriero, Torino, San Paolo edizioni, 2007-2008, 3 volumi.