Nell’antica Venafrum, celebrata dagli scrittori di Roma, specie nel tempo in cui l’imperatore Augusto vi deduce la Colonia Augusta Iulia Venafrum, e la ascrive alla I Regio d’Italia, il cristianesimo mostra la sua presenza nel IV . con il gruppo dei martiri Nicandro, Marciano e Daria, vittime della persecuzione dioclezianea (303-304), ben presto accolti come patroni anche da Isernia. Tuttavia è solo alla fine del V . che troviamo la prima attestazione di una chiesa locale, alla quale presiede il vescovo Costantino: a lui Gelasio I (492-496) inviò una lettera affinché, assieme ai vescovi Siracusio e Lorenzo, si interessasse dello schiavo cristiano che, rifugiatosi a Venafro, lamentava di essere stato sottoposto a circoncisione, contro sua volontà, dal padrone ebreo. Costantino, inoltre, fu tra i firmatari, nel marzo del 499, degli atti del concilio romano indetto da papa Simmaco (498-514) per combattere lo scisma dell’antipapa Lorenzo. Ma dopo Costantino si aprì una lunga vacanza della sede vescovile, che si risolse solo nel 1004, con Costantino II. La spiegazione di questo lungo vuoto è attribuibile massimamente alle incursioni barbariche che oltre alle distruzioni comportarono pesti e carestie, con conseguente impoverimento demografico e penuria di vescovi e clero: «depopulatae urbes, eversa castra, concrematae ecclesiae, destructa monasteria … in solitudine vacat terra», annota eloquentemente san Gregorio Magno (Dial. III, 38). Lo stesso pontefice, scrivendo ad Antemio Suddiacono, lamentava l’operato simoniaco dei chierici venafrani Opilione e Crescenzo i quali, dimentichi del giudizio e del timore divino, avevano venduto suppellettili sacre a un ebreo, mentre, in un’altra sua, prega Fortunato, vescovo di Napoli, di incardinare nella sua chiesa il diacono Graziano, impossibilitato a svolgere in Venafro il suo ministero «hoste prohibente executionem apostolici ministerii». E di hostes si tratterà anche nel 595, quando i longobardi di Arechi prenderanno Venafro. Se l’editto di Rotari (643) concesse libertà di culto ai popoli sottomessi, lasciando intravedere uno spiraglio di luce per la ripresa della vita cristiana, al desolato vescovato venafrano si sostituì come centro di direzione della vita religiosa ed ecclesiastica l’opera dei monaci di San Vincenzo al Volturno, monastero fondato nel 703 dai santi giovani Paldo, Tato e Taso. Con il monastero del Volturno Venafro condivide il triste momento dell’avvento del feroce Saugdan, che vi transitò nuovamente (già nell’867 vi si era installato «come un potente re»), diretto a San Vincenzo che capitolò sotto la scimitarra islamica nell’ottobre dell’881. Nel contesto di rifioritura operato sempre dai benedettini, che nel 993 trasferirono in Venafro molti servi dell’abbazia di Valva, come nella volontà espansionistica dei principi longobardi, deve vedersi la fine della vacanza episcopale agli inizi dell’XI . Fino al 1207 Venafro condivise gli stessi vescovi con Isernia, in un rapporto spesso conflittuale a motivo delle rivendicazioni di privilegi ecclesiastici. Dal 1207 al 1818, anno della soppressione della diocesi a seguito del concordato tra la Santa Sede e il Regno di Napoli, la cronotassi episcopale venafrana registrò oltre quaranta presuli, tra i quali spiccano i nomi del venafrano Antonio Mancini (1427-1465), dei cardinali Girolamo Grimaldi (1528-1536) e Ladislao d’Aquino (1581-1621), tra i quali si inseriscono Andrea Matteo Acquaviva d’Aragona (1558-1573) – cui nel 1568 si deve il primo seminario della diocesi – e Orazio Caraccio de’ Pisquitiis (1573-1581), nonché di Francesco Saverio Stabile (1754- 1792) il «padre della diocesi e dei poveri». Nel 1852 Pio IX, grazie ai buoni uffici del vescovo Gennaro Saladino, reintegrò la sede vescovile, unendola aeque principaliter a Isernia. La nuova unione fu mantenuta nella successione di dodici vescovi, computando tra costoro anche il nobile venafrano Giuseppe del Prete, cui si deve la reggenza della diocesi negli anni delle sventure occorse al Saladino per i postumi dei moti antiunitari isernini (1861-1871); in tale veste il Del Prete partecipò ai lavori del concilio Vaticano I. Con l’episcopato di Achille Palmerini (1962-1983), assieme al restauro della bellissima chiesa ora concattedrale, mentre il seminario interdiocesano fu trasportato in Isernia, si avviò la ristrutturazione degli uffici della curia che alla fine vedranno in Venafro solo un vicario episcopale, quale rappresentante del vescovo, e un ufficio per i matrimoni, prima del definitivo assetto conseguente alla piena unificazione di Isernia-Venafro nel 1986.