Diocesi di Urbino - Urbania - Sant'Angelo in Vado
STORIA
Urbino, antica città italica, con la conquista romana divenne municipio aggregato alla tribù stellatina.Le invasioni barbariche e le varie guerre intraprese dai bizantini ne rilevarono l’importanza strategica e difensiva, dilatando il suo territorio civile e religioso dal Foglia al Candigliano, dal ponte romano sul Metauro di Calmazzo agli Appennini, inglobando totalmente o parzialmente i municipi distrutti di Tiferno Metaurerse (Sant’Angelo in Vado), Pitino Mergente (presso Acqualagna), Pitino Pisaurense (Macerata Feltria).
Se dubbia è l’assegnazione alla cattedra urbinate del vescovo Evandro, firmatario nel 313 in un sinodo romano, antica è la sede episcopale; al vescovo di Urbino, Leonzio, papa Gregorio Magno affidava nel 592 la visita della diocesi di Rimini, stante l’infermità del vescovo Castorio.
La prima cattedrale sorse nel suburbio, dedicata a san Sergio martire, patrono delle milizie bizantine, che in Urbino ebbero stanza per combattere goti e longobardi.
Nel contempo si costituivano nella diocesi le pievanie – non vaste per l’accidentata morfologia del territorio –, e lungo le valli dei tre fiumi diocesani sorgevano, fari di fede e di civiltà, i monasteri benedettini di Pietrapertusa (Furlo), di Lamoli, del Ponte (Urbania), di San Silvestro (Fermignano), di Gaifa (Canavaccio), delle foreste (Schieti) e quello di Sant’Angelo alle porte della città (San Francesco).
I secoli dal X al XIII segnarono la ripresa della città sul feudo e la ricostituzione della vita comune del clero.
Urbino non fece eccezione.
Con il vescovo Teodorico (1023-1049) la cattedrale venne trasferita in città, dedicata a Santa Maria Assunta e ufficiata da un capitolo canonicale: l’una e l’altro trovarono nel vescovo Mainardo (1056-1088) il ricostruttore e l’organizzatore, colui che arricchì il nuovo tempio delle reliquie del martire san Crescentino, costituito patrono della città e della diocesi, amico di san Pier Damiani che lo chiama vescovo «di veneranda santità » (come «di santa memoria» chiama Teuzone, predecessore di Mainardo).
La presenza del Damiani in diocesi portò un afflato di rinnovamento monastico, e all’influenza dei vecchi cenobi si aggiunse quella di Fonte Avellana.
Il sorgere del comune tra l’XI e il XII sec., con l’espansione rapida e notevole della città, non fu senza un certo travaglio tra vescovo e cittadini, e vive furono le fazioni guelfa e ghibellina, capeggiata quest’ultima dalla famiglia Montefeltro.
La città del XII . contò cinque parrocchie oltre la cattedrale, e accolse i nuovi ordini religiosi: francescani (dal loro sorgere), domenicani (intorno al 1245), agostiniani (nel 1258 ca), celestini (a fine XIII sec.), con i rami femminili di clarisse, agostiniane (tre conventi), santucciane (benedettine).
Il XIV . segnò il nascere delle gloriose confraternite della Santa Croce (1318), del Corpus Domini (intorno al 1350), dell’Umiltà (1362), di San Giovanni (1393), dello Spirito Santo (intorno al 1395), e la nascita o l’incremento di vari ospedali nella città e nel territorio diocesano.
Una ferita colpì la diocesi l’8 marzo 1402: i Brancaleoni, signori di Massa Trabaria, per proprio prestigio e autonomia dai Montefeltro, ottennero lo smembramento della abbazia durantina di San Cristoforo con le chiese a essa aggregate (una sessantina), tra cui i due centri più popolosi e vivaci: Castel Durante (Urbania) e Sant’Angelo in Vado.
Intanto un nuovo ordine religioso, quello dei girolamini, sorgeva in diocesi nel 1380 a opera del beato Pietro Gambacorta da Pisa (1355-1435), che si estese in tutta Italia e fuori; fra noi ebbe quattro conventi a Montebello, Talacchio, Urbino, Isola del Piano; di qui uscirono sette generali dell’ordine e religiosi di santa vita.
Trovarono favore e protezione presso il conte Guidantonio Montefeltro (1404- 1443), che aiutò anche i Servi di Maria, stabilitisi all’Annunziata nel 1389, e introdusse nel 1425 i minori a San Donato (San Bernardino).
Il figlio Federico, grande nella strategia militare, abile nel reggimento politico, mecenate di artisti, non fu debole credente.
Se si potevano dire estinti gli antichi monasteri benedettini egli introdusse gli olivetani a Gaifa e, in città, i canonici regolari del san Salvatore a Sant’Agata (1481), i gesuati alla Trinità (1481), eresse il monastero delle clarisse dell’antica regola a Santa Chiara (1445) e si occupò del capitolo cattedrale aumentandone le rendite e il numero dei canonici, aggiungendo al preposto anche l’arcidiacono.
Sotto di lui non solo si strutturò il meraviglioso palazzo ducale, ma fu dato incremento alla nuova cattedrale, che, su disegno di Francesco di Giorgio Martini, tra il 1481 e il 1488 era complessivamente compiuta, anche se verrà consacrata nel 1534 e completata di cupola nel 1609: i migliori artisti locali, quali Timoteo Viti, Girolamo Genga, Federico Brandani, Francesco Paciotti, Federico Barocci vi lasciarono l’orma del loro ingegno e della loro fede.
La cattedrale, il 4 giugno 1563, a opera del cardinale Giulio Della Rovere, divenne chiesa metropolitana, avendo suffraganee le diocesi del ducato; il capitolo metropolitano conterà altre due dignità: l’arciprete e il decano.
Se nel 1535 a riabilitare donne traviate sorgerà il convento di Santa Maria della Bella e, nel 1545, saranno presenti i cappuccini, di capitale importanza fu l’apertura del seminario il 21 novembre 1592: decretato già nel 1574 dal visitatore, monsignor Girolamo Ragazzoni, per ragioni economiche e logistiche ebbe inizio solo a quella data presso la chiesa di San Sergio fino al 1874, quando l’arcivescovo Angeloni provvide un nuovo grandioso seminario sull’area dell’antico convento di San Domenico, appositamente soppresso.
È questo il secolo in cui su impulso del concilio Tridentino fioriscono in tutte o quasi le parrocchie rurali le confraternite del Santissimo Sacramento e del Rosario, e maggiore si fa l’incremento della tipica devozione mariana della «Madonna del Giro».
Il XVII . vedeva la scomparsa dei piccoli conventi di Monte Busseto, di Petriccio, di Isola del Piano, di Acqualagna, e in città dei gesuiti, dei celestini e dei Servi di Maria, ma registrava l’efficienza della congregazione dei vicari foranei (sorta sul cadere del 1500) l’accurata visita pastorale di Benedetto Ala (1610-1620), i quattro sinodi degli arcivescovi Santorio (1627), Santacroce (1639), Vitelli (1645), Maffei (1648), la nascita a opera di zelanti sacerdoti della congregazione degli infermi poveri (con lo scopo di aiutarli a domicilio, 1648), la fondazione della casa dei filippini al Crocifisso (1637), mentre i carmelitani scalzi subentravano ai Servi di Maria (1681); per la formazione dei giovani si apriva la casa dei padri delle Scuole pie (1686) e per i laici sorgevano la compagnia della Visitazione, fondata dal venerabile G.
Bartolini nel 1615 e quella delle cinque piaghe nel 1638.
L’ascesa al pontificato del cardinale Gianfrancesco Albani, urbinate, con il nome di Clemente XI (1700-1721) fu salutare sia sotto il profilo religioso sia sotto quello civile.
Per i padri scolopi fece costruire il grandioso «collegio dei Nobili»; s’interessò dei monasteri, degli ospedali, del brefotrofio, del restauro dell’arcivescovato; fu munifico verso il duomo, che arricchì del superbo altare maggiore, di suppellettili preziose, dei dipinti del Maratta e del Cignani.
Il nipote, cardinale Annibale Albani (1682-1751), ne continuò le benemerenze a favore di chiese e luoghi pii, senza dimenticare la fondazione della casa delle Maestre pie Venerini per l’educazione delle giovani, da lui fondata e dotata (1732).
Tutto il XVII . è caratterizzato dal fiorire di numerose congregazioni (una decina) in aggiunta alle precedenti più corporative, e dal sorgere di due santuari, quello del Santissimo Crocifisso di Battaglia (1717) e quello della Madonna della Misericordia di Pelingo (1782), richiami irresistibili di fede ben oltre i confini diocesani.
Notevoli danni – soprattutto alle chiese di campagna – arrecò il terremoto del 3 giugno 1781, che desolò la parte montana della provincia.
Nel gennaio 1789 crollava la cupola del duomo, rovinando non poche opere d’arte: si diede subito mano alla ricostruzione, affidata all’architetto G.
Valadier, e il tempio, in veste neoclassica, si riapriva l’8 settembre 1801.
Ma altri mali incombevano: le teorie illuministiche, esplose nella Rivoluzione francese, con la discesa di Napoleone Bonaparte in Italia produssero i loro effetti anche in diocesi.
Si iniziò con scorrerie varie, accompagnate da requisizioni di vettovaglie, di denaro, di argento, e quadri di valore dalle chiese, per nulla tollerati dalla popolazione che insorse (1797) obbligando i francesi a tre spedizioni che solo nel 1798 portarono all’innalzamento dell’«albero della libertà».
Fu soppresso il tribunale ecclesiastico, inventariati per ogni evenienza i beni mobili e immobili della diocesi, gravati i conventi dall’estinzione del debito pubblico, imposto il giuramento secondo la costituzione civile ai docenti dell’università e del seminario.
Breve fu la restaurazione portata nel 1800 da Francesco d’Austria: dal 2 aprile 1802 al 1814, Urbino diventerà provincia del Regno d’Italia.
L’arcivescovo Berioli (1788-1821) fu l’unico presule marchigiano filonapoleonico: pochi nel clero furono dalla sua parte, molti i contrari, cominciando dal capitolo metropolitano (senza tuttavia creare divisioni insanabili).
La caduta di Napoleone riportò al senno l’arcivescovo, che pur tanto zelo e denaro aveva profuso per la sua diocesi.
Il vento nuovo d’oltralpe maturerà il movimento risorgimentale, soprattutto fra il ceto colto, che sfocerà nell’accoglienza del Regno d’Italia (1860), con momenti anche di tensione fra novatori e conservatori.
Se di costoro fu considerato l’arcivescovo Angeloni (1846-1881) – processato per ben tre volte – è pur vero che fu il fondatore dell’orfanotrofio maschile, benefattore generoso di quello femminile, restauratore del duomo e creatore del nuovo seminario, dando lavoro per tanti anni a parecchi operai; eresse la pia casa delle convertite, diede vita alla conferenza di san Vincenzo de’ Paoli, dettò sagge disposizioni per la musica in chiesa, tenne il sinodo provinciale nel 1859 e due sinodi diocesani nel 1867 e nel 1880.
Nel 1888 per il «lascito Ciccolini», sorgeva l’istituto Santa Felicita, per l’istruzione delle fanciulle povere, affidato alle suore di carità di santa Giovanna Antida, che fino al 1902 furono presenti anche all’ospedale civile.
In quel fine secolo sorgeva la banca cattolica e furono promosse le cooperative cattoliche e le casse rurali a sostegno delle classi meno abbienti.
Nel 1900 esce il giornale cattolico «L’Ancora», seguito poi da «Il Dovere», espressione dell’Azione cattolica (1913), e da «Il Lavoro» contro le violenze della propaganda socialista rivoluzionaria, che creò momenti di tensione.
Nel 1925 entrarono in ospedale le suore della misericordia, e venne loro affidato anche il ricovero di mendicità, mentre le Maestre Pie Venerini, espulse nel 1861, entrarono alla direzione del convitto «L.
Battiferri » per le giovani (1922).
Indefessa fu l’opera di monsignor Antonio Tani (1932- 1953) per l’Azione cattolica e per le vocazioni ecclesiastiche e, durante il conflitto 1939-1944, per attutire disagi, salvare vite, risparmiare distruzioni: nel 1939 celebrò il congresso eucaristico regionale e nel 1940 tenne il sinodo diocesano.
Nel 1949 ebbe inizio la Peregrinatio Mariae per la diocesi, mentre in occasione della proclamazione del dogma dell’Assunta nel 1950 la metropolitana diventava anche basilica minore.
Anacleto Cazzaniga (1953-1977) fu presente al concilio Vaticano II (1962-1965), procurando di attuarne in diocesi i decreti, specialmente in materia liturgica: promosse l’adorazione eucaristica, l’Azione cattolica, eresse varie chiese parrocchiali richieste dai nuovi insediamenti di popolazione agricola che lasciava il sistema mezzadrile.
Con la morte di monsignor Giovanni Capobianco (7 aprile 1965) divenne amministratore delle diocesi unite di Urbania e Sant’Angelo in Vado.
Il distacco da Urbino della vetusta abbazia di Castel Durante (1402), frutto peraltro di interessi politici fra le signorie locali, impoverì la diocesi urbinate di due centri popolati e cospicui civilmente e religiosamente: Castel Durante e Sant’Angelo in Vado.
Per 134 anni formarono una abbazia nullius dioecesis in cui rientrava anche Sassocorvaro, affidata ad abati commendatari, tra i quali va ricordato il cardinale Giovanni Bessarione (1445-1468), che della sua Chiesa curò l’interesse spirituale e artistico.
A garantire l’indipendenza dai vescovi di Urbino, non rassegnati allo stralcio di quel territorio, i durantini pensarono di elevare l’abbazia a sede vescovile: ciò avvenne il 18 febbraio 1636, ma non come diocesi unica, bensì come due diocesi unite aeque principaliter sotto un solo vescovo, per comprensibile orgoglio dei vadesi, non tolleranti di essere semplice parrocchia di Castel Durante.
E poiché le due diocesi risultavano di poca estensione, venne estinta la prelatura nullius di Mercatello (1180), antica pieve d’Ico e unita, per opzione dei mercatellesi, a Urbania.
Il nuovo nome di Castel Durante venne mutuato dal pontefice Urbano VIII, creatore delle diocesi; a Sant’Angelo in Vado fu assegnata l’abbazia nullius di Lamoli.
Se il lungo governo del primo vescovo, O.
Honorati (1636-1683), fu provvido per l’organizzazione delle due Chiese, va ricordato tuttavia che quel lavoro avveniva su un terreno non già incolto e sterile.
Mercatello, oltre a zelanti arcipreti e sacerdoti, sentì l’influsso francescano sin dall’inizio dell’ordine serafico, sia nel ramo femminile che in quello maschile, con i conventi di Santa Chiara (circa nel 1224) e di San Francesco, scomparso questo con la soppressione napoleonica e l’altro nel 1887 per la legge del 1866.
Sant’Angelo in Vado, risorto con questo nome intorno alla metà del VI . dopo la distruzione di «Tiferno Metaurense», fu una pieve di grande rilevanza nonché territorio ricco e notevole; tra il XIII e il XVI . contò i conventi dei Servi di Maria, dei conventuali, dei minori, dei cappuccini, quattro conventi di monache, sei confraternite di sacco e altre sei senza distintivo, oltre tre ospedali e il monte di pietà.
Castel Durante, sorta con questo nome circa nell’ultimo ventennio del XIII . intorno all’abbazia di San Cristoforo del Ponte, dopo la distruzione di Castel delle Ripe, non fu da meno nel fervore di istituzioni cristiane.
A parte ospedali e celle nate sul primo crescere della terra, alla vigilia della promozione a sede episcopale, oltre il «convento dei preti», valida associazione di sacerdoti, contava i conventi dei padri conventuali, dei minori, dei cappuccini e dei chierici minori (caracciolini), un monastero di benedettine e uno di clarisse, sei confraternite di sacco e sei compagnie senza distintivo, quattro ospedali, oltre il monte di pietà e tutti e tre i centri con belle chiese, arricchite d’opere d’arte anche di Antonio Bencivenni, Federico Zuccari e Francesco Mancini, Giustino Episcopi, Giorgio Picchi e Domenico Peruzzini.
Erette le due diocesi, suffraganee di Urbino, miglior impulso ebbe le vita cristiana, contando anche sull’erezione del seminario per la formazione del clero in Urbania, Sant’Angelo in Vado, a Mercatello e a Sassocorvaro, dove pure dalla fine del XIII . erano i conventuali e le clarisse.
Diciassette sinodi diocesani si svolsero dal 1637 al 1790.
Con Honorati, vescovo zelante e generoso, vanno ricordati: Pietro Barugi (1686-1708), che visitò sei volte le diocesi, con particolare interesse alla custodia degli archivi; Deodato Baiardi (1747- 1776), sotto il quale vennero rinnovate le cattedrali e diverse chiese conventuali, furono introdotte in Urbania le Maestre Pie Venerini (1765) per l’educazione e istruzione della gioventù femminile e sorse a Mercatello, sulla casa natale di santa Veronica Giuliani, il monastero delle cappuccine (1773) tutt’oggi fiorente; Paolo Antonio Agostini Zamperoli (1779-1812), autore di lettere pastorali valide per contenuto e per forma, restauratore di tante chiese dopo il terremoto del 3 giugno 1781, morto in esilio a Como per non aver prestato il giuramento preteso da Napoleone Bonaparte; Guerrantonio Boscarini Gatti (1849-1872), abile timoniere in tempi difficili di transizione politica, generoso del suo patrimonio verso le due cattedrali, fondatore in Urbania dell’orfanotrofio femminile.
Con i successori continua l’aggiornamento pastorale, che va dalle indicazioni della Rerum Novarum al concilio Vaticano II, comprendente iniziative culturali, sociali ed edilizie notevoli, quali congressi eucaristici, peregrinatio Mariae, Azione cattolica, missionari diocesani, oratori giovanili…; come già detto, dopo la morte del vescovo G.
Capobianco (1965), d’alto spessore pastorale, cui si deve anche l’ultimo sinodo interdiocesano del 1959, le due diocesi furono amministrate dall’arcivescovo di Urbino, Anacleto Cazzaniga, e quindi da Ugo Donato Bianchi.
Con la nuova geografia delle Chiese italiane, nel 1986 si ridefinì l’arcidiocesi di Urbino-Urbania-Sant’Angelo in Vado.
Ristrutturata la provincia ecclesiastica picena nel marzo 2000, la metropolia passò a Pesaro, mentre la sede urbinate conservava il proprio titolo arcivescovile.
La Chiesa locale ha visto alcuni suoi figli salire agli onori degli altari: santa Veronica Giuliani da Mercatello (†1727) e i beati Mainardo vescovo (†1088), Giovanni Pelingotto di Urbino (†1304), Margherita della Metola (†1320), Sante Brancorsini da Montefabbri (†1394), Girolamo Ranuzzi di Sant’Angelo in Vado (seconda metà del XV sec.), Serafina Montefeltro Sforza di Urbino (†1478), Benedetto Passionei di Urbino (†1625), oltre a numerosi altri chiamati «beati» per voce popolare, per alcuni dei quali è in corso la causa di beatificazione.
Tra gli ecclesiastici emergono papa Clemente XI, undici cardinali e trentaquattro vescovi originari di Urbino, dodici di Urbania, sette vescovi di Sant’Angelo in Vado, oltre a una serie lunga di degni sacerdoti, religiosi e missionari: una fecondità che ingenera coraggio e speranza.
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Diocesi di Urbino - Urbania - Sant'Angelo in Vado
Chiesa di Santa Maria Assunta
Diocesi
FONTE
Le diocesi d'Italia, a cura di L. Mezzadri, M. Tagliaferri, E. Guerriero, Torino, San Paolo edizioni, 2007-2008, 3 volumi.