Diócesis de Mantova
HISTORIA
I - Le origini
Sulle origini della diocesi di Mantova non si trovano riscontri storicamente documentabili.Il Kehr ha rimesso in discussione la data tradizionale dell’804, allorché il ritrovamento della reliquia del Preziosissimo Sangue di Cristo avrebbe attirato l’interesse di Carlo Magno e il coinvolgimento di papa Leone III; riconosciutane l’autenticità, veniva nominato il primo vescovo: Gregorio.
Una lettera, inviata da un chierico milanese al «preposto mantovano Mauro» (fine 600-primi 700), attesterebbe l’esistenza della diocesi ancora più indietro nel tempo rispetto ad altra ipotesi, secondo cui sul finire della dominazione longobarda (760 ca), Mantova era centro ecclesiastico rilevante.
Gli scavi archeologici effettuati negli anni 1984-1987 nell’area più antica della città – seminario, cattedrale, cioè l’insula sacra – darebbero relativo appoggio all’ipotesi del Kehr.
Che Mantova risultasse città strategica e non semplice «villaggio» può indirettamente testimoniarlo anche l’incontro che Prospero d’Aquitania sobriamente registra come avvenuto nei pressi di Mantova tra Leone Magno e Attila «flagello di Dio»; il Papa, con il suo ascendente spirituale, avrebbe influito sul condottiero degli unni, inducendolo nel 452 a ritirarsi.
Sulle origini diocesane aleggia anche la seguente tradizione: Longino, il feritore del costato di Gesù, avrebbe raccolto sul Calvario ai piedi della croce terriccio impregnato di sangue e la spugna.
Giunto a Mantova, prima di essere martirizzato nei pressi del Gradaro, nascose accuratamente la cassetta con la preziosa reliquia.
Se ne perse notizia fino all’804, allorché all’avvento della dinastia carolingia in Gallia Mantova usciva dall’influenza longobarda; il ritrovamento della reliquia finì per coincidere con la data di fondazione della diocesi.
II - Il Medioevo
Nel Medioevo Mantova ascese ulteriormente a città di notevole importanza, se è vero che Carlo Magno, alla notizia della Inventio della reliquia (804), invitava Leone III (795-816) a verificarne direttamente l’autenticità.Per evitare che tale «deposito» venisse profanato dalle ondate d’invasione ungarica (X sec.), si procedette a nascondimento.
Codici importanti, tra cui quello di Cambridge, ascrivono una seconda Inventio all’anno 1048.
Vi intervenne il vescovo Marciano.
Beatrice di Canossa fece ricostruire il vecchio oratorio in forma basilicale e nel 1054 Leone IX sigillava l’evento, consacrando la nuova chiesa.
Nel 1055: l’imperatore Enrico III venne a venerare la reliquia e portò con sé in Boemia una particella, che di donazione in donazione giunse al monastero dei benedettini di Weingarten (Germania), dove si conserva tuttora.
Se già nell’827 si era celebrato a Mantova il concilio che pose fine alla disputa dei Tre Capitoli, nell’XI . la città, divenuta sede della dinastia dei Canossa (metà X sec.-1115), sotto il vescovo Eliseo ospitava altri due concili: nel 1053 (Leone IX) e nel 1064 (Alessandro II).
Quest’ultimo nel 1072 elevava il priorato dei benedettini di Sant’Andrea a dignità abbaziale indipendente dalla famosa e da tempo affermata abbazia di San Benedetto in Polirone, rendendo i monaci custodi della reliquia.
Ai succitati pontefici risale l’avvio della riforma gregoriana, che si riflette anche in diocesi: qui si era accesa la lotta delle investiture tra Matilde di Canossa e i sostenitori della riforma da una parte e l’aristocrazia cittadina favorevole all’imperatore dall’altra.
Emergeva su tutti il vescovo Anselmo (1035-1086), esiliato da Lucca e scelto da Gregorio VII quale sostenitore della riforma in Lombardia.
Sepolto in cattedrale per fama di santità, Anselmo è patrono principale della città; ogni anno il 18 marzo si venera il suo corpo incorrotto.
Nel 1116 Mantova diventava comune: fu fase particolarmente complessa, che registrò vescovi-podestà, invischiati nelle vicende cittadine più che ecclesialmente impegnati; segno di malessere risultò l’uccisione del vescovo Guidotto da Correggio, a opera di Uguccione degli Avvocati (1235).
Successive lotte intestine portarono nel 1328 alla famosa battaglia di Piazza Sordello, allorché i Gonzaga presero il sopravvento, cacciando tutti i contendenti.
Quale contrappunto spirituale va segnalato il sorgere nel XIII . di nuove comunità religiose: umiliati di Santa Maria Nuova, canonici riformati di San Marco, eremitani di Sant’Agostino, fondati dal beato Giovanni Bono (morto nel 1251), e scelto quale comprotettore della città, clarisse insediatesi intorno al 1230, francescani, e da ultimo i domenicani, che dovettero impegnare la predicazione contro una Chiesa catara sorta a Bagnolo (basso Mantovano).
Figure di beati carmelitani, Bartolomeo Fanti e Giambattista Spagnoli, lasceranno impronta duratura sul piano sia religioso sia culturale.
Ai due rami francescano e domenicano vanno ricondotte invece due beate mantovane: Osanna Andreasi, del terz’ordine dei domenicani (†1505) e Paola Montaldi (†1514), francescana.
III - Epoca gonzaghesca
L’epoca dei Gonzaga è feconda di promozione civile, artistica e religiosa: il Palazzo ducale, con l’attigua basilica palatina di Santa Barbara, e la monumentale basilica di Sant’Andrea ne sono simboli tra i più eccellenti e ammirevoli.Maggiore importanza, sul versante devozionale, riveste il santuario dedicato alla Madonna delle Grazie, in periferia della città.
Avviato nel 1399 e completato in pochi anni, ha acquisito un posto privilegiato nelle espressioni di fede popolare.
Il 15 agosto si rinnova una sagra, divenuta oggi di fama mondiale, per il concorso dei madonnari.
Dalla dinastia principale dei Gonzaga provengono vescovi della città e cardinali: Francesco Gonzaga (1466-1483), Ludovico (1483-1511), Sigismondo (1511-1521), Ercole (1521-1563), Federico (1563-1565), Francesco (1565-1566), Marco Fedeli-Gonzaga (1574-1583), venerabile Francesco (1593-1620).
Sotto Ercole Gonzaga Mantova fu centro di vivaci discussioni, prima che Trento fosse scelta quale sede del concilio auspicato per dirimere le questioni teologiche sollevate da Lutero.
Mantova era stata fra l’altro contagiata dal pensiero luterano, cui va contrapposto il Catecismo del cardinale Ercole Gonzaga.
Il venerabile Francesco Gonzaga praticò assiduamente l’impegno delle visite pastorali richieste dal concilio e diede avvio al seminario, che da allora in poi ha esercitato non solo la funzione di preparare chierici al sacerdozio, ma anche e spesso si è rivelato centro di animazione teologico- culturale per la città-diocesi.
Il casato Gonzaga, oltre a esprimere nel giovane gesuita Luigi (1568-1591), esemplare figura di santità per tutta la Chiesa (Giovanni Paolo II nel 1991 lo riproponeva ai giovani), diede impulso alla devozione per il Preziosissimo Sangue; il duca Vincenzo istituiva nel 1607 l’ordine del Sangue di Cristo, celebre in tutta Europa; cessò soltanto con l’estinzione del casato Gonzaga.
Nel 1640 si affermava la nuova solennità in onore di Maria Incoronata Regina di Mantova, a tutt’oggi venerata in duomo.
IV - Epoca moderna
Il Settecento è tutto di impronta austriaca.Giovanni Battista von Pergen (1770-1807) è l’esponentevertice di sintonia con la politica asburgica, intesa a realizzare grandi riforme politico- ecclesiastiche in tutto il dominio imperiale, Lombardia compresa.
L’opera pastorale di Pergen proseguiva quella avviata dai predecessori Alessandro Arrigoni (1713-1718), Antonio dei conti Guidi Di Bagno (1719-1761) e Giovanni de Portugal conte de la Puebla (1762-1770).
Arrigoni e Di Bagno si premurarono di richiamare i presbiteri a una più profonda formazione e disciplina personale.
Il secondo riuscì a governare con relativa autonomia rispetto al governo austriaco, grazie all’appoggio di influenti famiglie nobili cittadine e grazie a personaggi mantovani al servizio della Santa Sede: il cardinale segretario di Benedetto XIV, Silvio Valenti e il nipote Luigi Valenti.
Lo spagnolo Giovanni de la Puebla (1762- 1770) invece non riuscì a evitare le ingerenze del governo asburgico; tentò di opporsi ai provvedimenti imperiali sul clero, ma quando il contrasto apparve insostenibile, dovette dimettersi (1769).
Giovanni Battista von Pergen si colloca nel periodo delle riforme di Maria Teresa d’Austria (1740-1780) e del figlio Giuseppe II (1780-1790).
L’azione complessiva della Chiesa venne limitata a partire dal 1760 al solo campo spirituale.
Von Pergen procedette a riformare il clero, sostenendo il quasi proverbio: meglio «pochi ma ferventi operai» che «molti ma neghittosi»; tuttavia manifestò relativa contrarietà all’eccessiva autorità dei papi sui vescovi.
Importante, per gli effetti configurativi della città, risultò il Piano parrocchiale presentato all’imperatore nel 1785 dall’arciprete Iacopo Monti; nonostante la reazione di otto parroci, il Pergen appoggiò quel progetto, che entrò in vigore a partire dal 1° febbraio 1789.
Appariva evidente la propensione del vescovo verso il giansenismo: ampia stima egli nutrì infatti per i professori della facoltà teologica di Pavia, tra cui il Tamburini, seguaci del neogiansenismo italiano.
Si rivelò favorevole alla decisione del governo austriaco di unificare nella sede di Pavia tutti i seminari della Lombardia austriaca, mentre gli altri vescovi della regione erano contrari.
Il duplice assedio di Mantova del 1796- 1797, a opera dei francesi, provocò tumultuose conseguenze sulla tenuta della città.
Bombardamenti indiscriminati colpirono la basilica di Sant’Andrea e la cattedrale.
Le presenze di religiosi e religiose furono minate alla radice: monasteri evacuati, religiose trasferite in luoghi più sicuri.
Il 2 febbraio 1797 fu la resa ai francesi, ma ben presto gli austriaci ripresero il dominio della città.
Nella prima metà dell’Ottocento Mantova viveva fermenti rivoluzionari (eco della Rivoluzione francese), con l’anelito di scrollarsi dal dominio austriaco.
Un tempo punteggiata da numerosi campanili, monasteri e conventi, la città aveva assunto ora la fisionomia di una roccaforte: le caserme sostituivano edifici già adibiti alla vita cultuale di preghiera, frutto-conseguenza del giurisdizionalismo giuseppinista.
Alla morte di monsignor Pergen, seguiva un lungo periodo di sede vacante, retta con lungimirante moderazione ed equilibrio dal vicario capitolare Girolamo Trenti (1807-1823), le cui Memorie restano documento- diario di quegli anni tormentati.
I vescovi Giuseppe Maria Bozzi (1823- 1833) e Giovanni Battista Bellé (1835- 1844) si rivelarono figure di transizione, mentre nel Mantovano ribollivano fermenti «risorgimentali».
Giovanni Corti (1847-1868), dopo un primo rifiuto, accettò la proposta di Pio IX a reggere la difficile diocesi mantovana.
Si rivelò libero, più che «liberale», fedele alla Santa Sede, pur opinando il superamento del potere temporale dei papi; seppe fronteggiare gli eventi risorgimentali; notissima la vicenda dei martiri di Belfiore, «confortati » da Luigi Martini, vicario generale, autore del famoso Confortatorio.
Con don Enrico Tazzoli si dovette procedere al rito della «scarnificazione» delle mani sacerdotali, prima di consegnarlo ai carnefici per l’esecuzione capitale.
Dopo la breve reggenza di monsignor Martini, vicario capitolare (1868-1871), diveniva vescovo Pietro Rota (1871-1879): le sue pastorali intenzioni furono tradite dalla novità ormai travolgente dell’Italia unita (1866) e dalla Mantova risuonante di voci anticlericali, socialiste e massoniche.
«Il Vessillo», da lui fondato, diede voce ai cattolici e fu spesso rintuzzato dalla stampa locale in modo fortemente dialettico.
La Santa Sede si orientò ad affidare la sede vescovile a Giovanni Maria Berengo (1879-1884), che ereditò una situazione paradigmatica per quei tempi convulsi: l’elezione popolare di tre parroci, risuonata per fini pseudo-politici in aule parlamentari.
Si giunse a un compromesso, soprattutto con uno degli irriducibili, don Paolo Orioli, per il quale monsignor Berengo chiese ospitalità a don Giovanni Bosco.
Giuseppe Sarto (1884-1893), ricco della tradizione veneta, seppe conciliarsi il popolo mantovano; fermo sulla dottrina, fedele al patristico motto «casta verginità del vero», inondò di premure colloquiali la sua cordiale pastoralità: visite pastorali, sinodo del 1888 (rimasto peraltro famoso con echi fino a Lugano e ripercussioni successive a Venezia), rinnovata memorialità dei santi mantovani e catechismo lo resero pastore conosciuto dal popolo.
Paolo Carlo Origo (1895-1928) si inserì positivamente in questa riavviata pacificazione religiosa, ma dovette affrontare i primi tre decenni del XX sec., con l’epicentro della prima guerra mondiale, in una ripresa dialettica nel Mantovano tra istanze socialiste e vincolo «piano» alla Tradizione.
Sul finire del suo episcopato fu affiancato dall’ausiliare Giambattista Peruzzo, le cui visite pastorali restano patrimonio indispensabile per ricostruire fondamentali lineamenti del volto della diocesi in quegli anni, e tuttavia trovò resistenze fortissime nei settori della sinistra agguerrita.
Pio XI, che personalmente aveva conosciuto il bresciano monsignor Agostino Domenico Menna (1929-1954), servendosene direttamente per ricucire le tensioni tra monsignor Giacinto Gaggia e le autorità fasciste in Brescia, pensò bene di destinarlo vescovo a Mantova.
Il vescovato di Menna abbracciò tutto il periodo che intercorre tra il concordato del 1929 e la nascita della Repubblica italiana.
Amico di Giovanni Battista Montini, mantenne con lui una costante corrispondenza, la cui nobiltà e delicatezza restano tutte da far conoscere.
Antonio Poma, ausiliare dal 1952, gli succedeva nel 1954: situazioni pastorali, sfuggite di mano all’ormai anziano monsignor Menna, indussero il futuro cardinale di Bologna a riorganizzare l’assetto complessivo della diocesi e a ridare respiro ai doveri che i sacerdoti erano chiamati a rispettare.
Suo merito maggiore fu l’aver aperto gli orizzonti della diocesi al grande soffio del concilio Vaticano II.
Memorabile il passaggio del cardinale Wojtyla a Mantova, durante i lavori del concilio.
E fu allora che, visitando il duomo, chiese di confessarsi al confessionale di san Pio X.
Carlo Ferrari (1967-1985), vescovo del concilio, convintamente sceglieva di essenzializzare il suo ministero intorno al rinnovamento proposto dall’assise ecumenica.
Il suo ultimo richiamo – la Parola di Dio prima di tutti i libri di teologia, la mistica prima della morale – coincideva con il suo «spirito conciliare».
Ma è storia tutta da riprendere.
Bibliografía
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FUENTE
Le diocesi d'Italia, a cura di L. Mezzadri, M. Tagliaferri, E. Guerriero, Torino, San Paolo edizioni, 2007-2008, 3 volumi.