Diözese von Aversa
GESCHICHTE
I - Dalle origini al Quattrocento
La diocesi fu istituita nella prima contea normanna d’Italia, sorta nel 1030, da Leone IX l’indomani della sconfitta militare subita a opera dei normanni il 18 giugno 1053 sul Fortore.Al primo vescovo Azolino, consacrato dal papa, seguirono Goffredo (1059-1080?), celebrato per la sua scuola filosofica da Alfano di Salerno, e il dotto riformatore Guitmondo (1088-1094), celebre in tutta Europa per il trattato antiberengariano sull’eucaristia.
Con questa consacrazione Urbano II chiudeva la lite tra le metropolie di Napoli e di Capua circa la soggezione della Chiesa aversana, considerata dai normanni soggetta alla sola Sede apostolica.
Nella cattedrale, sin dalla seconda metà dell’XI sec. è ampiamente documentata una Congregatio fratrum del capitolo, noto per cultura e spiritualità e già capace di esprimere dal proprio seno, dopo i primi tre vescovi francesi, gli ordinari locali e anche di altre diocesi (Venafro, Catanzaro, Otranto, a fine XII sec.).
Fiorivano extra moenia le claustrali del San Biagio, dal 1043, e i benedettini del San Lorenzo, più antico ma diventato, con l’abate Roberto fratello di Guitmondo e il decreto papale di esenzione del 1092, centro di colonizzazione monastica nel Mezzogiorno.
Con il conte di Aversa Riccardo I, dal 1058 diventato principe di Capua, e l’abate di Montecassino Desiderio, papa Vittore III nel 1086, la diocesi già si era trovata con alterne vicende al centro della Riforma gregoriana, ma le tensioni politiche dei normanni con Ruggiero di Sicilia, la perdita del principato e le devastazioni angioine della città nel 1113 influirono sul destino dell’esenzione pontificia.
Dopo il privilegio del 1088 di Urbano II alla filia specialis, che si vuole confermato dalla bolla di Callisto II nel 1120, l’esenzione fu più volte contestata, ancora da Innocenzo III nel 1198, e di fatto ripristinata soltanto dopo 178 anni da Bonifacio VIII, il quale inserì il testo del privilegio callistino nella bolla del 1298, senza però esprimere voto favorevole.
Fu riattivata nel XIV sec. e da allora è durata sei secoli, sino al riordino delle circoscrizioni ecclesiastiche del 1979.
Intanto, all’epoca di Manfredi e Carlo I d’Angiò – in cui a Fidanzia (1261-1274) voluto da Alessandro IV successe il chierico medico francese Adam de Bravo (1276-1296), presentato dal re angioino –, almeno due vescovi in Aversa, Simone Paltinerio e Leonardo Patrasso, assursero al cardinalato.
Per effetto delle battaglie di Benevento e Tagliacozzo Aversa subì distruzioni nel 1268 per essersi schierata a favore del tedesco Manfredi.
Dal 1230 si erano intanto insediati in città i minoriti e dal 1291 i domenicani.
Tra cattività avignonese, scisma occidentale e crisi conciliare, altri quattro di sedici vescovi locali diventarono cardinali.
Nel 1343 gli angioini favorirono l’impianto dei celestini con il monastero di San Pietro a Maiella nel castello di Casaluce, ove due anni dopo venne assassinato Andrea d’Ungheria, marito della regina Giovanna I.
Nel 1420 si impiantarono presso l’antico lebbrosario di Sancta Maria Magdalena i frati minori osservanti, il cui convento verrà in età post-tridentina illustrato dall’aversano frate Angelo Orabona, vicario generale dell’ordine, che rifiutò il cardinalato e fu vescovo di Trani e di Catanzaro.
Fioriva altresì la collegiata dell’Annunziata annessa all’Hospitale di Ave Gratia Plena risalente a prima del 1320.
II – XV-XVIII sec.
Con gli aragonesi e la dominazione spagnola la diocesi, ricca di chierici (400 a fine Cinquecento), era tanto povera da dover pignorare (indignum atque indecorum) la suppellettile ecclesiastica.Dopo Fabio Colonna, che impiantò nel 1545 un convento dei cappuccini e poi finì patriarca in Oriente, anche il vescovo Baldoino, fondatore nel 1566 del seminario, la trovò «en piteux état» e l’Orsini, che vi applicò il concilio di Trento con il sinodo, le sante visite e le Constitutiones capitolari, si ritenne traslato in poenitentia.
Più incisivo riformatore, di formazione borromaica, fu Bernardino Morra (1598-1605), segretario della Congregazione per i vescovi e regolari, il quale riordinò la liturgia e l’amministrazione, istituì la Fraternitas, prima scuola di catechesi, le parrocchie territoriali, il vicariato curato nella chiesa madre, i primi preti delle missioni, le prebende teologale e penitenziale.
Al cardinale Filippo Spinelli (1605-1616) fece seguito la dinastia episcopale di quattro Carafa, dal primo, Carlo (1616-1644), che inaugurò la nunziatura apostolica a Vienna presso Ferdinando II, ai tre suoi nipoti, fratelli germani: il cardinale Carlo (1644-1665), nunzio apostolico in Svizzera, poi a Venezia e a Vienna, il teatino Paolo (1665-1686), il cardinale Fortunato (1687-1697).
Sono note della cattedrale la Casa di Loreto e la sontuosa cappella delle reliquie, con cui i Carafa diedero l’impronta al barocco aversano, ma non meno importanti furono gli interventi restaurativi, sinora ignoti, di opere architettoniche e artistiche di ampliamento e abbellimento, descritte da me stesso in ampia loro documentazione del Cinque e Seicento recentemente resa pubblica.
I Carafa arricchirono con oggetti sacri, arredi e argenterie artistiche un patrimonio già molto ricco nei settori scultoreo, statuario, pittorico, con i tanti piccoli e grandi gioielli di chiese, cappelle e chiostri di stile romanico, il deambulatorio normanno, i bassorilievi di San Giorgio e il drago o l’Elefante turrito, l’Altare dell’Annunziazione, il Crocifisso ligneo trecentesco, i busti argentei di San Paolo e di San Sebastiano, portali, corti di bei palazzi rinascimentali, affreschi di edicole, cupole, volte e trifore decorate, pregevoli stucchi, tavole come il Martirio di san Sebastiano di Angiolillo Arcuccio e di numerosi altri artisti.
Regolarizzarono il mondo delle reliquie, istituirono gli oratoriani della Navicella, promossero il culto eucaristico, la liturgia e la musica sacra.
Chiamando i gesuiti alla guida del seminario vi introdussero la grammatica e la filosofia, nella teologia le Constitutiones sinodali del 1619 concludevano con questa efficace immagine biblica: «Per il peccato di Adamo si è abbattuto sulla natura umana un diluvio universale di iniquità, ma per mezzo del lavacro battesimale di salvezza siamo al sicuro sulla nave della fede, guidati con la confermazione dall’accorto nocchiero che è lo Spirito Santo, essendo condotti dal mistero dell’amore di Dio come chi naviga con vele e remi di grande possanza; purtuttavia, a causa dei continui naufragi, cui andiamo soggetti sia per i pericoli della vita sia per le insidie del nemico sia per il gravame della natura, non potremo, se non attaccandoci alla tavola della penitenza (arrepta poenitentiae tabula), giungere al porto agognato del Cielo».
III - Il Settecento, Innico Caracciolo e il neotomismo aversano
Un forte rinnovamento impresse alla diocesi Innico Caracciolo (1697-1730) – penultimo a diventare cardinale nell’episcopato aversano e, tra gli altri sei vescovi del Settecento, seguito dal cardinale Firrao, da Filippo Nicolò Spinelli (1735-1761), Niccolò Borgia (1765-1779), Francesco del Tufo (1779- 1803) – con la ricostruzione a fundamentis della cattedrale e del seminario, maggiormente riformando con le Constitutiones, documento tra i primi del nascente neotomismo napoletano, la ratio studiorum del seminario, in cui istituì cattedre stabili di grammatica e retorica, latino, greco, ebraico, filosofia, storia, teologia, diritto ecclesiastico e civile, liturgia, canto gregoriano.Rispondeva così alle esigenze emerse dalle sue personali sante visite e dal sinodo, che non si convocava dal 1619.
Il rinnovamento della cultura da lui procurato trovò conferma in Gaetano De Fulgore (1759-1841), autore di trattati teologici e antesignano del neotomismo, e in un gruppo di zelanti sacerdoti.
Ne faceva parte Matteo Basile (1673-1736), da Parete, ministro generale dei minori osservanti, che da arcivescovo di Palermo nel 1735 incoronò re delle Due Sicilie Carlo III di Borbone, l’anno prima accolto nella cattedrale di Aversa dal cardinale Firrao.
La tradizionale pietà mariana della diocesi si espresse con la proclamazione nel 1773 della Madonna di Casaluce a patrona della città, poi solennemente incoronata nel 1801.
Nel terremoto della Rivoluzione la diocesi si affidava con fede alla Divina Protettrice.
I francesi di Championnet giunti minacciosi nella città il 20 gennaio 1799 «vi dimorarono tre giorni, ospiti: ne partirono amici»; il vescovo del Tufo infatti, «col clero erasi condotto scalzo il piè, nudo il capo, appiè della Madonna di Casaluce a prometterle di coronarla solennemente, se avesse serbata incolume la città da ogni nemica offesa al passare dell’esercito straniero».
Provvidero «cinque cospicui cittadini a coniare un medaglione di fino argento», scolpendovi con i loro nomi la memoria dell’avvenimento, e lo collocarono «a tergo del quadro della insigne Protettrice con queste epigrafi: Aversa per Deiparam salva / Virgini sospiti Aeternae Lucis Parenti / ob cives et urbem / Ab hostili vastatione caede incendio / Mire servatam».
IV - Dal Vaticano I al Vaticano II
Con il rientro dei Borbone il vescovo, che aveva dovuto accogliere i francesi di Championnet, dovette riparare a Napoli.Di lì a poco il decennio non risparmiava tra monasteri e cenobi soppressi il glorioso San Lorenzo, mentre tra Restaurazione e carboneria cadeva vittima illustre nel 1821 anche l’ordinario diocesano, Agostino Tommasi.
Più degli altri vescovi campani veniva perseguitato in età risorgimentale l’intransigente dotto e zelante Domenico Zelo (1855-1885) con accusa di filoborbonismo.
Prima di lui, vescovo di Aversa era stato, per pochi mesi del 1845, Sisto Riario Sforza, seguito da Antonio de Luca, prezioso documentarista di dati storico-statistici della diocesi, poi nunzio in Baviera e a Vienna, cardinale e presidente nel Vaticano I dell’assemblea in cui Zelo difese brillantemente l’infallibilità e il primato.
A fine Ottocento ebbero pure forte impulso le opere sociali dal vescovo Caputo, che istituì i comitati dell’Opera dei congressi, fondò il quindicinale «Il Corriere Diocesano», aprì allo studio delle scienze il seminario, già culla del beato Modestino di Gesù e di Maria (1802- 1854), ove si formeranno i cardinali Alessandro Verde e Giuseppe Morano, mente questa di scienziato precursore di Marconi, insieme con non pochi sacerdoti diventati vescovi in varie diocesi d’Italia.
Di Aversa era anche il cardinale Guglielmo Sanfelice, formatosi nell’abbazia benedettina di Cava de’ Tirreni.
Nel Novecento, inaugurato con giubileo mariano e una seconda incoronazione della Madonna di Casaluce, ebbero impulso, specie in Mater Dei e in San Gennaro, le opere pie, assistenziali e missionarie, sorse nel 1907 la Piccola casa di carità con il canonico Francesco Morano (†1951), fratello del cardinale e autore di due volumi su La Vita di Gesù Cristo, nel 1921 fu fondato in Ducenta il seminario del P.I.M.E.
con il beato Paolo Manna, ispiratore delle idee di Angelo Roncalli futuro Giovanni XXIII, nel 1922 nacque in Qualiano dall’Asilo delle discepole di santa Teresa del Bambino Gesù, fondato dal canonico Antonio Migliaccio (†1945), la prima congregazione religiosa femminile della diocesi.
Con Settimio Caracciolo (†1930) nel 1922 fu celebrato, dopo duecentoventi anni dal precedente, un sinodo diocesano e si diede inizio ai rami femminili dell’Azione cattolica, difesa nei fatti del 1931 dal vescovo Cesarano (†1935) e organizzata in tutti i suoi quadri dal successore Antonio Teutonico (1935-1964).
Il redentorista Carmine Cesarano nel 1935 promosse il primo congresso eucaristico diocesano, celebrato con la partecipazione dei cardinali Ascalesi e Verde e di diciannove tra arcivescovi e vescovi; seguiva nel 1937 quello parrocchiale in Parete, con i sacerdoti Tommaso e Carmine Sabatino, zio e nipote, il secondo fu istitutore in Ducenta dell’Ospizio della Santissima Trinità come succursale della Piccola casa della Divina Provvidenza-Cottolengo di Torino.
Con il Teutonico, già vicario generale in Benevento del futuro patriarca di Venezia e prefetto della concistoriale Adeodato Piazza, la diocesi si giovò della sua collaudata sapienza amministrativa, mentre prevalevano anche nelle manifestazioni di religiosità il conformismo, l’ufficialità, il collateralismo politico delle associazioni laicali.
Più pressanti risultavano gli aspetti amministrativo-giurisdizionali, prima del ringiovanimento pastorale della Chiesa nel Vaticano II, per la cui preparazione, data la scarsezza locale di strumenti operativi e di iniziative significative a un livello superiore di cultura religiosa, ci si limitò a diffondere nel 1961 una notificazione vescovile al clero con la preghiera del papa.
All’inizio del concilio veniva traslato da Ischia in Aversa, come coadiutore con diritto di successione e poi amministratore apostolico, il vescovo Antonio Cece, formatosi presso i gesuiti di Napoli e laureato sia alla Gregoriana che alla Cattolica di Milano, già professore di teologia dogmatica alla Quercia di Viterbo e di filosofia e storia nel seminario di Nola.
Ordinario dal 1966 sino alla dipartita, sopraggiunta inattesa in ospedale napoletano il 10 giugno 1980, egli professò due grandi amori, per il seminario e per l’Azione cattolica, spendendo per essi ogni energia in un periodo di grave crisi sia delle vocazioni ecclesiastiche che dell’associazionismo cattolico, dichiarando controcorrente l’amore alla Chiesa nella concretezza storica e giovandosi delle iniziative prese con forte impegno dall’Azione cattolica diocesana per il rinnovamento della pastorale nello spirito del concilio.
Acquisì per il seminario la casa estiva di Villa San Pietro in Mugnano del Cardinale e volle il periodico «La Settimana », oggi fonte di testimonianze, allora palestra di dibattito culturale sui temi conciliari, per la cui genuina interpretazione operò con forte intransigenza, unita a calore umano e carica di entusiasmo.
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Chiesa di San Paolo Apostolo
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QUELLE
Le diocesi d'Italia, a cura di L. Mezzadri, M. Tagliaferri, E. Guerriero, Torino, San Paolo edizioni, 2007-2008, 3 volumi.