Diözese von Caserta
GESCHICHTE
I - Età medievale
Sorta in seguito al trasferimento del titolo episcopale di Calatia – la città romana situata a ovest di Maddaloni – la diocesi di Caserta era sicuramente già esistente da alcuni anni quando, nel 1113, l’arcivescovo di Capua Sennete (1097- 1118) ne confermò al vescovo Rainulfo (1113-1129) la circoscrizione ecclesiastica.La nuova diocesi nasceva come estensione della originaria diocesi di Calatia al territorio della importante contea di Caserta, il cui signore, il normanno Roberto I di Capua, nel 1119 concesse agli uomini del vescovo casertano il diritto di abitazione, pascolo e taglio dei boschi nelle terre calatine, circostanza confermata dall’espressione Casertana seu Calatina Ecclesia, presente in un atto ufficiale del vescovo Giovanni (1137-1165).
La bolla di Sennete indicava con precisione i confini della diocesi suffraganea di Caserta che erano costituiti a nord dal corso del fiume Volturno; a est dal torrente Biferchia, dal rio del colle Cerqua Cupa e dal monte Longano; a sud dall’alveo acquitrinoso del fiume Clanio (area denominata successivamente, a partire dalla bonifica del periodo spagnolo, «Regi Lagni»); e a ovest dal monte Cupo.
Il nuovo disegno dei confini, che in taluni casi divideva in due, con discutibili linee di demarcazione, terre e comunità di precedente giurisdizione capuana, e le caratteristiche del territorio, su cui venne a insistere la nascente diocesi, furono causa di numerosi conflitti di competenza e contrasti con i metropoliti di Capua, i quali mostrarono, nel tempo, una costante volontà di difendere le loro prerogative, riuscendo, in tutti i casi, a evitare che si verificassero modifiche rilevanti a vantaggio di Caserta.
Per questi motivi i confini della diocesi di Caserta rimasero da quel momento pressoché invariati.
Se il territorio della diocesi non subì nei secoli successivi modifiche di rilievo, il patrimonio della Chiesa di Caserta ebbe, già a partire dal XII sec., un notevole incremento, grazie al gran numero di donazioni e alle numerose concessioni di diritti attribuiti a vario titolo ai vescovi dai feudatari di Caserta e confermati successivamente a più riprese dalla corona.
Sicuramente un ruolo molto importante nella crescita di prestigio della Ecclesia casertana ebbe l’edificazione, agli inizi del XII sec., della cattedrale, di impronta desideriana, dedicata al culto di san Michele arcangelo, e del connesso complesso monumentale costituito dall’episcopio e dal seminario, cui si sarebbero aggiunti, successivamente, il campanile e la chiesa dell’Annunziata con l’ospedale.
La realizzazione della nuova sede vescovile coincise con una fase di forte slancio della vita della diocesi, protrattasi per tutto il XII sec., frutto di un rinnovato fervore spirituale, innescato dalla riforma voluta dall’abate Desiderio, che si tradusse in uno straordinario sviluppo dell’edilizia religiosa con la costruzione di numerose chiese, cappelle e conventi in tutto il territorio diocesano.
Gli importanti privilegi attribuiti ai vescovi di Caserta, tra i quali la riscossione di tributi e delle decime – confermate dal re Carlo d’Angiò nel 1270 al vescovo Filippo dei Minori – nonché l’amministrazione della giustizia civile, insieme con l’accresciuto prestigio acquisito, consentirono ai vescovi di Caserta di esercitare una influenza forte e capillare sulle popolazioni della città e del contado, i cui legami di fedeltà e devozione alla cattedra di Caserta divennero con il tempo sempre più solidi ed estesi.
Nel XIV . la diocesi risultava divisa in cinque arcipreture, corrispondenti, rispettivamente, alla cintura dei monti Tifatini, alla pianura campana, a quella sottostante al tenimento di Limatola, all’area di Castel Morrone e a quella prospiciente il monte Longano (Maddaloni).
Proprio le importanti prerogative di governo e i diritti fiscali che i presuli casertani poterono vantare sin dalle origini costituirono motivo di aspra contesa con la riottosa e, spesso, violenta feudalità locale, la quale, oltre a non pagare le decime dovute, compiva continui soprusi ai danni degli uomini della Chiesa.
Così, il vescovo Azzone (1287-1310) fu costretto ad affrontare una dura contesa con i signorotti casertani per difendere le sue prerogative dalle loro prepotenze, riuscendo, alla fine, a ottenere dal re un atto (1303) con il quale si confermavano solennemente tutte le decime sui beni burghensatici e demaniali di Caserta, Morrone, Limatola, Ducenta e Maddaloni.
Pochi anni dopo il vescovo Benvenuto da Milo arrivò a scomunicare il conte Francesco della Ratta (la scomunica venne poi ritirata in seguito a una transazione stipulata nel 1327) per aver questi abusato di uomini e beni ecclesiastici ed essersi rifiutato di versare le decime.
Nella contesa tra la curia vescovile e il potere comitale i sovrani di Napoli tesero, nella maggior parte dei casi, a sostenere le ragioni della Chiesa locale – a patto che questa si mantenesse a loro fedele – anche per porre un argine al crescente potere della nobiltà, pericoloso per la corona.
Nel corso del XV . il centro medievale di Caserta perse progressivamente e definitivamente la sua importanza come principale punto di riferimento e di incontro per le popolazioni, mentre crescevano i nuovi insediamenti nella parte pedemontana e pianeggiante del territorio della diocesi.
Il trasferimento della sede comitale a valle (1483) e lo sviluppo del Villaggio Torre (primo nucleo della futura Caserta) segnano, anche simbolicamente, la fine di un periodo e il passaggio alla successiva età moderna.
II - Età moderna
Non diversamente da molte altre diocesi anche quella di Caserta fu caratterizzata – almeno fino al lungo episcopato di Agapito Bellomo (1554-1593) – dai vescovi commendatari, molti dei quali non raggiunsero mai la diocesi.Con il Bellomo – che partecipò all’ultima fase del concilio di Trento – arrivarono in diocesi diverse famiglie religiose, e proprio dalla metà del XVI . l’area comprendente le diocesi di Caserta e di Capua fu attraversata da una notevole presenza del movimento della Riforma, che ebbe vita breve quanto intensa e venne represso con grande durezza da azioni inquisitorie di cui fu anche protagonista Antonio Santoro, vicario del Bellomo e futuro cardinale di Santa Severina.
Diversi problemi caratterizzano in modo diffuso la vita della diocesi in età moderna.
Innanzitutto la ricorrente contesa territoriale con la diocesi di Capua di cui Caserta era suffraganea: entrambe le diocesi infatti insistevano contemporaneamente – e ancora oggi insistono – su alcuni centri cittadini, provocando così contrasti e vicendevoli abusi.
La questione non poté essere risolta nemmeno dal successore del Bellomo, il teatino Benedetto Mandina (1594-1604), uno dei giudici dell’Inquisizione nei confronti di Tommaso Campanella, che non trovò accordi con il vescovo di Capua, Roberto Bellarmino, per una razionalizzazione della distribuzione delle parrocchie.
Più grave ancora fu la questione interna relativa al fatto che mentre episcopio, cattedrale e seminario si troveranno nella medievale Caserta sulla collina, i vescovi – a partire da Diodato Gentile (1604-1616) – porranno la propria residenza sul piano, in località Falciano, dove sorgeva il casale Torre e dove si sarebbe sviluppata la nuova città di Caserta attorno alla Reggia voluta da Carlo di Borbone e realizzata su progetto del Vanvitelli.
III - Età contemporanea
Dopo il periodo napoleonico il ritorno dei Borbone a Napoli quasi coincide con il misterioso omicidio del vescovo Vincenzo Rogadei (1805-1816) – successivamente sepolto in modo anonimo e frettoloso – cui non dovettero essere estranei elementi della corte di Ferdinando I e forse con l’omertà di alcuni membri del clero locale.Dopo due anni di sede vacante, alla diocesi viene unita – per effetto del concordato di Terracina del 1818 – quella di Caiazzo e fu nominato vescovo il quasi ottantenne Francesco Saverio Gualtieri (1818-1831).
Sarà lui ad avanzare richiesta per la costruzione di una nuova cattedrale da realizzare in pianura dove ormai la nuova città è in pieno sviluppo.
Si avvierà quindi il processo di definitivo trasferimento del capitolo e della cattedrale da Caserta vecchia – ormai scarsamente abitata e obiettivamente difficile da raggiungere per vescovo e capitolari – alla Caserta nuova, questione spinosa che sarà affrontata e risolta – non senza sofferenze e opposizioni – dal successore Domenico Narni Mancinelli (1832-1848) – guida spirituale di santa Antida Touret – con la traslazione del 2 febbraio 1842 e con la riunificazione dei due seminari in pianura.
Morto il Mancinelli i moti rivoluzionari del 1848 non permisero una celere nomina da parte di Pio IX esule da Roma e ospite per quasi un anno e mezzo di Ferdinando II.
Durante la sede vacante la diocesi di Caiazzo recuperò la propria autonomia e Caserta nel 1849 ebbe come nuovo vescovo Vincenzo Rozzolino (1849-1855) che si impegnò in una accurata visita pastorale e nell’abbellimento della nuova cattedrale.
Egli fu costretto a trasferire l’episcopio nel centro della città, poiché la sede originaria dell’episcopio si ritrovava ormai a confinare con una piazza d’armi per esercitazioni militari; durante il lungo episcopato di Enrico de’ Rossi (1856-1894) tale sede fu, infatti, trasformata in caserma, mentre il vescovo si impegnò non poco nella edificazione di un nuovo episcopio, problema ricorrente e pressante per diversi vescovi casertani del XIX . Il de’ Rossi visse con fatica i rivolgimenti politici nazionali, costretto più volte a riparare anche per lunghi periodi a Napoli; realizzò ben otto visite pastorali, dalle quali emerge esclusivamente una attenzione all’amministrazione dei beni e un progetto pastorale di tipo devozionale.
Il sinodo tenuto nel maggio del 1884 conferma l’incapacità di comprendere le novità e le emergenze dei tempi: non si fa cenno all’impellente questione sociale, alla presenza laicale e all’associazionismo cattolico.
L’età avanzata e i malanni del vescovo saranno, almeno nell’ultimo decennio, una delle cause dell’ulteriore scadimento del clero diocesano, cui cercherà di porre rimedio il successore Gennaro Cosenza (1893-1913), impegnato nel potenziamento del seminario, nel far giungere in diocesi nuove famiglie religiose e nel dimostrare un ossequio, talvolta eccessivo, nei confronti delle autorità pubbliche.
Tuttavia, egli non sarà in grado di adeguare la propria pastorale alle esigenze di giustizia sociale, di fronte alle quali sembra far prevalere con paternalismo una proposta di semplice rassegnazione.
L’avvento della guerra caratterizzò l’episcopato del successore Mario Palladino (1913-1921), fine letterato e già vescovo di Ischia.
La sua posizione – come parte dell’episcopato provinciale – sarà fortemente interventista, caratterizzata dalla promozione di iniziative a favore dei reduci e delle famiglie di caduti e dispersi; di contro non saranno pochi i sacerdoti della diocesi che cercheranno di essere dispensati dall’impegno bellico.
Di particolare interesse è l’episcopato del domenicano Natale Gabriele Moriondo (1922-1943), temporalmente coincidente con il regime fascista, sul quale il vescovo e il clero casertano – quest’ultimo di fortissimi sentimenti monarchici – pur senza esprimere un’adesione piena manifestavano, tranne eccezioni, simpatia e fattiva disponibilità alla collaborazione, ispirandosi totalmente al principio d’autorità.
Collaborazione che, pur motivata da sentimenti religiosi e patriottici, non venne meno né dopo i fatti del 1931 né negli anni del conflitto mondiale, conflitto giustificato in quanto promosso dall’autorità civile.
In assenza dei forse dispersi carteggi del vescovo, è fonte particolarmente ricca e preziosa il «Bollettino Ufficiale» da lui personalmente curato durante tutto l’episcopato, caratterizzato dal suo infaticabile lavoro di cui sono anche prova ben quattro visite pastorali.
Dall’immediato dopoguerra la diocesi avrà due episcopati di circa vent’anni ognuno, entrambi caratterizzati da un forte collateralismo nei confronti della Democrazia cristiana.
Con il vescovo Bartolomeo Mangino (1946-1965) lavorarono alacremente l’Azione cattolica, i Comitati civici e sul finire degli anni Cinquanta il «Centro Studi Sociali» creato a livello nazionale dal gesuita Gliozzo e finanziato direttamente dagli Stati Uniti per la lotta contro il marxismo e il comunismo.
Dallo studio delle carte di Mangino emerge però quale profondo pessimismo avesse il vescovo nei confronti di buona parte della classe dirigente democristiana dei paesi della diocesi.
Il suo episcopato sarà caratterizzato da una intensa attività devozionale e di celebrazioni di ricorrenze e convegni, mentre sarà lui a inaugurare il nuovo episcopio.
Con Vito Roberti (1965- 1987), precedentemente nunzio apostolico in diversi Paesi dell’Africa centrale, ma privo di concrete esperienze pastorali, la diocesi conoscerà una difficile e contraddittoria attuazione del concilio Vaticano II, mentre la collaborazione con la Democrazia cristiana aumenterà di intensità anche a motivo di presbiteri direttamente impegnati nell’agone politico.
Di fronte all’avanzare della illegalità diffusa e delle attività camorristiche – causa nell’intera provincia di irreversibile distruzione ambientale provocata da cave, discariche di sostanze altamente tossiche, edilizia abusiva – la comunità ecclesiale di quegli anni appare disattenta e scarsamente impegnata, come lo sarà anche dinanzi alle endemiche questioni sociali della disoccupazione e del lavoro nero.
Questo almeno fino all’autunno 1991, anno nel quale con una Lettera aperta dei cristiani di Caserta ai concittadini l’associazionismo cattolico (dall’Ac, alle Acli, all’Agesci, all’Ofs) denuncerà – ricevendo veementi attacchi dei vertici nazionali della Dc – collusioni e clientelismo della politica locale dando vita a una stagione, intensa quanto temporanea, di partecipazione e di assunzione diretta di responsabilità sociali e politiche.
Nell’ambito delle emergenze artistiche nella diocesi, oltre all’antica cattedrale di Casertavecchia (XII secolo) intitolata a san Michele arcangelo – prova di un diffuso culto micaelico di cui è ricca tutta la zona – e alla cappella palatina del Palazzo reale di Caserta, sono da ricordare il monastero benedettino di San Pietro ad Montes dell’XI sec., sottoposto a un infelice restauro e di fatto non accessibile, e l’eremo di san Vitaliano – che la tradizione vuole costruito dal santo in un’epoca tra il VI e il VII . – purtroppo depredato anche di recente perfino del prezioso pavimento.
Esemplari, per la spiritualità diocesana, le figure del cappuccino Francesco Mercorio da Maddaloni (1722-1807) e quella di Giacomo Gaglione (1896-1962) – per il quale è in corso la causa di beatificazione – apostolo della sofferenza e legato a san Pio da Pietrelcina.
La ricerca storica sulla diocesi è oggi ostacolata dalla quasi totale assenza nell’archivio diocesano dei carteggi di molti vescovi, purtroppo dispersi molto prima che lo stesso archivio, grazie all’intervento del vescovo Raffaele Nogaro, avesse una degna sistemazione.
Un vuoto grave e forse incolmabile che priva gli storici di fonti documentarie di importanza primaria e che rende impossibile, per il momento, lo sviluppo di ricerche complessive sulla diocesi.
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QUELLE
Le diocesi d'Italia, a cura di L. Mezzadri, M. Tagliaferri, E. Guerriero, Torino, San Paolo edizioni, 2007-2008, 3 volumi.