Diözese von Faenza - Modigliana
GESCHICHTE
I - Dalle origini al tardo Medioevo
Grazie ai lavori di Francesco Lanzoni sono state da tempo abbandonate alcune leggende, nate nel XVII . per opera di storici locali (specialmente Tonduzzi e Longo), che volevano la diocesi di Faenza ora evangelizzata da sant’Apollinare, ora arricchita dai natali faentini sia della martire Aemilia (II sec.), sia del papa Callisto I.Definitivamente tramontata anche la leggenda del martire spoletino Sabino/Savino (V sec.) che lo voleva eremita del faentino nell’attuale zona di Fusignano; grazie al Lanzoni è stato scoperto anche l’errore in un testo del XVI . che riteneva Savino vescovo di Faenza.
Unica notizia certa sull’antichità della Chiesa faentina è la presenza del vescovo Constantius a Faventia (S.
Optati Milev.
Contra Parmenianum Donatistam I 23, PL XI 932 e CSEL XXVI 26) al sinodo romano del 2 ottobre 313.
Ciò non significa certamente che la diocesi fosse costituita anche in precedenza, ma lascia supporre l’esistenza di una comunità cristiana anche nel corso del III . Sembra anche probabile, senza coinvolgere sant’Apollinare, che la comunità faentina debba la sua origine a evangelizzatori venuti dalla vicina Chiesa classense/ravennate più che da quella riminese.
In questa epoca Faenza faceva parte della regione Aemilia e, nel corso del IV sec., era sotto la giurisdizione del vescovo di Milano.
Con Ambrogio i rapporti furono cordiali, come risulta dal soggiorno che il santo fece in Faenza nel 393 (Paulini, Vita S.
Ambrosii, 27 PL XIV 38).
Se fino ai longobardi (740) Faenza, dal punto di vista politico, faceva parte dell’impero bizantino, dal punto di vista ecclesiastico, al tempo di san Pier Crisologo (poco prima del 431) passò sotto la metropolia dell’arcivescovo ravennate.
Negli anni successivi questa dipendenza si manifestò con il culto di santi del calendario ravennate e con l’intitolazione a essi di chiese faentine; inoltre l’archiepiscopus sovente inviava il vescovo di Faenza in sinodi e concili come suo rappresentante.
Nell’aprile del 740 Faenza venne conquistata dai longobardi di Liutprando.
Per Tolosano (Chronicon Faventinum, ed.
G.
Rossini, RIS XXVIII 1, Bologna 1936, 6-11), che scrive quasi cinque secoli dopo, allora l’episcopatus delatus est in ecclesiam S.
Petri intra civitatem, abbandonando l’antica cattedrale, l’attuale Santa Maria foris portam, basilica coemeteriale.
Di recente il Lucchesi ha sostenuto che la plebs S.
Petri sarebbe stata una costruzione molto anteriore all’VIII sec., come dimostra il pavimento musivo scoperto nei pressi della cattedrale nel 1961.
Sempre al tempo dell’assalto longobardo risalirebbe il fatto leggendario (?) che Liutprando, penitencia ductus, volle riedificare la città e concedere al vescovo di Faenza il dominio su parte della campagna circostante fin quasi alle porte di Ravenna; gli storici discutono se questa donazione comportasse anche potere civile del vescovo.
Tra l’VIII e il XII . sono documentati vari monasteri e diverse pievi: oltre alla già ricordata plebs s.
Petri intra civitatem, altre in varie località della diocesi; fra esse San Pietro in Silvis (presso Bagnacavallo, antica Castrum Tiberiaci), documentata dal 741 ma fatta risalire al VII o anche al VI sec., ancora pressoché intatta, con una iscrizione recante il nome di Deusdedit, vescovo sotto cui fu eretta.
La prima descrizione pervenutaci della struttura canonica-amministrativa è contenuta nella bolla di Celestino II del 1143, con cui il papa decretava una propria protezione sulla Chiesa faentina (Kehr V 148, 4); da essa risulta che, a metà del XII sec., la diocesi comprendeva ventidue pievi.
Il medesimo documento ricorda l’esistenza di sette monasteri: due urbani e cinque nell’Appennino.
Dai documenti del XIII . apprendiamo inoltre che varie delle pievi faentine avevano già un proprio capitolo; probabilmente l’istituzione deve ritenersi di molto anteriore.
Il capitolo della cattedrale – sempre a detta del Lucchesi – era stato istituito dal vescovo Paolo, che, prima del 955, ordinavit canonicam et canonicos suprascripte faventine ecclesie numero XXX (Carta capitolare del 23 aprile 1045).
Dall’XI . sorgono attorno alle pievi, e sono da esse dipendenti, le varie cappellanie o parrocchie: nel 1200 in città sono già 27, raccolte in quattro gruppi o rioni.
Al XII . risale la parte più antica del vescovato.
Di recente M.
Mazzotti ha ristudiato le antiche fonti «panoramiche» relative al territorio diocesano, oltre a quella già ricordata del 1143.
Con l’elenco delle pievi della diocesi, ricorda i regesti del notaio vescovile Giovanni Manetti, databili 1288- 1292 – noti come «codice di Lottieri della Tosa», dal nome del vescovo del periodo –, la registrazione degli enti e dei relativi rettori che versarono la decima nel 1301, il rilevamento fiscale voluto dal cardinale Anglic de Grimoard nel 1371, alcuni registri amministrativi del XIV-XV sec., l’elenco cinquecentesco delle parrocchie, la relazione della visita compiuta dal visitatore apostolico Ascanio Marchesini nel 1573, la Descriptio del 1653 – in cui il vescovo Carlo Rossetti promosse un censimento nel contesto del corso riformistico da lui avviato – e gli atti delle visite pastorali conservati presso l’archivio diocesano.
Per il XVIII e XIX . sono tante le descrizioni, generali o particolari, alcune con precise indicazioni demografiche.
Per il XX . occorre ricordare anche il gran numero di annuari e di indicatori ecclesiastici.
Un confronto con l’elenco del 1143 mostra, già a metà del XVII sec., sensibili variazioni, come la perdita delle due pievi di Santo Stefano in Catena e San Pietro in Busseto.
Alla fine del XIX . le parrocchie di Godo e Piangipane passarono alla diocesi di Ravenna.
I più larghi stralci (tre pievi e quattro monasteri) si ebbero però solo nel 1850, con la creazione della diocesi di Modigliana.
Attorno al Mille Faenza diventa comune (la prima menzione è del 1030) e gode di una certa prosperità.
Anche l’organizzazione scolastica si distingue, tanto che lo stesso Pier Damiani, nel 1020 circa, vi compie gli studi primari (S.
Petri Damiani, Op.
LI, PL CXLV 762).
Nel XII . anche la scuola vescovile ha maestri illustri: il magister dictaminis Bernardo e il cronista Tolosano (†1226); più tarde la scuola comunale (1410) e quella per i fanciulli poveri fondata da fra Sabba da Castiglione nel 1536.
Comincia in quel tempo – scrive Lucchesi – un’intensa vita culturale cittadina, per cui Faenza sarà chiamata l’Atene di Romagna, da cui nasceranno, specialmente nei conventi, splendide biblioteche.
Nel corso del XIV sec., dopo le lotte tra guelfi e ghibellini (e cioè tra le famiglie Manfredi e Accarisi) durate fino a che Francesco Manfredi venne nominato defensor (1313) e poi dominus Faventiae (1322), è notevole in tutta la diocesi il fiorire della vita religiosa, dovuta anche allo sviluppo che vi ebbero gli ordini mendicanti: nel 1223 si ha il primo convento dei frati predicatori, nel 1224 quello delle clarisse, nel 1226 entrano in diocesi i frati minori ecc.
Sono di questo tempo il beato eremita Nevolone (†1280), la santa monaca Umiltà (†1310) – che nel 1266 aveva fondato un suo monastero di vallombrosane – e, di poco più tardi, il beato servita Giacomo Filippo Bertoni (†1483).
Fiorente è anche l’organizzazione ospedaliera.
Tra i vescovi del tempo segnaliamo Lottieri della Tosa (1287-1302), legato all’ambiente di Dante Alighieri.
II - Dall’età moderna ai nostri giorni
Agli inizi del XVI . ha fine la signoria dei Manfredi: Astorgio III è cacciato (1501) e ucciso (1502) da Cesare Borgia; nel 1504 Faenza cade in mano dei veneziani e dal 1509 fa parte dello Stato pontificio.La situazione religiosa nella prima metà del XVI . presenta una notevole vivacità, dovuta alla presenza di predicatori itineranti e anche di fermenti eterodossi fra coloro a cui erano venute all’orecchio notizie di Lutero e dei luterani.
Incide profondamente su Faenza la presenza dell’Ochino, che porta in città i cappuccini e mantiene stretti rapporti col vescovo Rodolfo Pio da Carpi (1528-1544).
Agli inizi degli anni Quaranta, Ochino passa al calvinismo; ricompaiono le sue idee nella propaganda dell’evangelico Fanino Fanini (impiccato e bruciato a Ferrara nel 1550) e di qualche altro, come denuncia il gesuita Pascasio Broët nel 1545: «Molti huomini et donne sonno in questa città, quali sono machiati di questa dottrina lutherana, qual hanno seminato alcuni predicatori passati, maxime frate Bernardino Ochino da Siena » (cfr.
P.
Tacchi Venturi, Storia della Compagnia di Gesù in Italia, Roma 1931, I, 2, 142).
Al vescovo Rodolfo Pio da Carpi succede Teodoro Pio (eletto 1544, vescovo 1548-1561), che di fatto non prenderà mai in persona il possesso della diocesi e lascerà al governo il predecessore.
A lui succede Giovanni Battista Sighicelli (1562- 1575), il quale partecipa alle ultime sessioni del concilio di Trento, decreta la fondazione del seminario (1568), tiene il primo sinodo (1569) e dirige una vasta opera di controriforma, riuscendo a ripulire la città di Faenza dalle macchie del dissenso luterano.
Ben cinque degli otto vescovi che reggono la diocesi faentina fra il XVI e il XVII . provengono da Bologna e non è escluso che l’ispiratore di tale continuità sia l’arcivescovo Paleotti.
I gesuiti hanno una loro scuola e compiono una capillare azione pastorale attraverso il confessionale e la predicazione, contribuendo così alla messa in atto della Controriforma.
In questo periodo vari vescovi lasciano una impronta del proprio lavoro: il cardinale Annibale Grassi (1575-1585) consacra la nuova cattedrale (5 ottobre 1581) e tiene vari sinodi; al cardinale Erminio Valenti (1605-1618) si deve il sinodo del 1610 e l’apertura del grande collegio dei gesuiti (venuti a Faenza, per delibera municipale, nel 1588); il cardinale Carlo Rossetti (1645- 1681) tiene ripetute visite pastorali, missioni al popolo (1671) e nove sinodi; il cardinale Antonio Pignatelli (1682-1686) sarà poi Innocenzo XII; monsignor Antonio Cantoni (1742-1767, poi arcivescovo di Ravenna) fonda nel 1743 il nuovo grande ospedale nell’ex fortezza Manfredi e cura gli studi del seminario, che diventa anche centro del movimento neoclassico romagnolo (negli anni 1766-1771 vi è scolaro Vincenzo Monti).
Nel corso del Settecento si assiste a una rinascita architettonica della città: sorgono fastosi palazzi, conventi, chiese; la chiesetta di Santa Umiltà (1741-1744) resta il migliore esempio di rococò faentino.
Importante opera pubblica è l’escavazione del canale Naviglio, che congiunge Faenza a Ravenna, portato a compimento nel 1784.
Con la battaglia del Senio (1797), Faenza e la sua diocesi sono occupate dai francesi.
Soppressione di parrocchie e alienazione dei beni ecclesiastici faranno da anticipo per le spogliazioni del governo italiano nel 1866.
Al momento della caduta del potere temporale era vescovo Giovanni Benedetto Folicaldi (1832-1867).
Non ci furono casi di rivoltosi o profeti, e nemmeno atteggiamenti smaccatamente «liberali» come nel bolognese.
Ci furono – è vero – «preti scomunicati» perché andati a votare per l’annessione o seminaristi «entusiasti» della causa nazionale con «coccarda e bandiera tricolore» (F.
Lanzoni, Le Memorie, Faenza 1930), ma «la grande massa dei cattolici subiva gli eventi più che dirigerli» (D.
Sgubbi).
A monsignor Folicaldi successe il francescano brisighellese Angelo Pianori (1871- 1884), parente del noto «repubblicano» Giovanni Pianori.
Il nuovo vescovo investì le forze migliori per frenare la propaganda protestante, più vivace con il nuovo governo, ma lo preoccupavano anche i circoli teosofici e il pervertimento dei costumi.
Rimedio principale da lui suggerito era «una fede feconda di buone opere».
Certamente l’evento più significativo del suo episcopato fu l’arrivo dei salesiani a Faenza: l’apertura della prima casa salesiana della regione era stata preceduta dalla visita dello stesso Giovanni Bosco il 1° novembre 1881.
Ma è soprattutto durante l’episcopato di Gioacchino Cantagalli (1884-1912) che si assistette all’organizzazione di quello che la stampa liberale chiama il «partito clericale della diocesi», una organizzazione del laicato cattolico riconosciuto come «uno dei più attivi e numerosi forse d’Italia».
Questo rese la diocesi faentina una realtà esemplare (Bedeschi).
La «settimana rossa» sfiorò appena la città di Faenza, mentre si macchiò di vere e proprie distruzioni di chiese la zona di Alfonsine, estremo nord della diocesi.
Eccellenti figure della vita della Chiesa faentina nell’ultimo secolo furono lo storico e agiografo Francesco Lanzoni (1862- 1929), il moralista Emilio Berardi (†1916), il direttore spirituale del seminario don Paolo Taroni (†1902), il giurista cardinale Michele Lega (†1936), lo storico Giuseppe Rossini (†1963), i cardinali Gaetano (†1962) e Amleto Giovanni Cicognani (†1973), il liturgista Giovanni Lucchesi (†1983).
Al vescovo Giuseppe Battaglia (1943- 1976) si deve la ricostruzione dopo gli eventi del conflitto mondiale e l’inaugurazione del nuovo seminario (1953).
Di lui si conservano i testi di tre relationes ad limina, che coprono l’intero periodo.
Nel 1986 Faenza è unita a Modigliana.
Il primo vescovo di Faenza-Modigliana è Francesco Tarcisio Bertozzi (†1996), già vescovo di Faenza dal 1982, succeduto nel governo al modenese Marino Bergonzini (1976-1982).
Dopo la sua morte è stato eletto vescovo l’aretino Benvenuto Italo Castellani (1997-2003), a cui si deve la visita pastorale, prima del suo trasferimento alla Chiesa di Lucca.
Dal 26 aprile 2004 è vescovo di Faenza-Modigliana Claudio Stagni, bolognese.
Bibliographie
G. Lucchesi, Faenza, EC 955-957;Lanzoni II 770;
F. Lanzoni, I primordi della Chiesa Faentina, Faenza 1906;
G. Donati, Ipotesi sull’origine del potere civile dei Vescovi di Faenza nel Medio Evo, Faenza 1916;
F. Lanzoni, Cronotassi dei Vescovi di Faenza, Faenza 1918;
G. Susini, Pavimento musivo con iscrizione di un edificio paleocristiano faentino, «Notizie degli scavi», VIII, XV, 1-6 1961, 21-23;
P. Monti, Faenza. Traccie di un edificio paleocristiano, in ivi, 18-21;
G. Lucchesi, La diocesi di Faenza. Sommario storico, in Faenza, a c. de «Il Piccolo» settimanale cattolico diocesano, Imola 1964, 9-21;
G. Lucchesi, Faenza, DHGE XVI, 1967, 369-385;
L. Bedeschi, Un’isola bianca nella rossa Padania. Momenti e figure del cattolicesimo democratico faentino, Urbino 1993;
M. Tagliaferri, La chiesa faentina: lineamenti istituzionali e vita pastorale, in Faenza nel Novecento, a c. di A. Montevecchi, Faenza 2003, II, 319-368;
M. Mazzotti, La «Descriptio Civitatis et Dioecesis Faventinae» del cardinale Carlo Rossetti: una fonte inedita di storia amministrativa diocesana del 1653, «Torricelliana», 54, 2003, Faenza 2005, 38-93.
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Diözese von Faenza - Modigliana
Chiesa di San Pietro
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La facciata della cattedrale di San Pietro Apostolo a Faenza -
Veduta dell’aula dall’ingresso -
Veduta dall'aula dal presbiterio
Diócesis
FUENTE
Le diocesi d'Italia, a cura di L. Mezzadri, M. Tagliaferri, E. Guerriero, Torino, San Paolo edizioni, 2007-2008, 3 volumi.