Diözese von Bari - Bitonto
GESCHICHTE
I - Le origini
L’attuale diocesi di Bari include la Chiesa di Bitetto, diocesi soppressa il 27 giugno 1818; dal 30 settembre 1986 le è stata unita la diocesi di Bitonto.Appartenente alla II Regio romana, Bari era posta nel punto d’incontro della strada Traiana, proveniente da Benevento, con la via costiera adriatica e la strada interna che raggiungeva Taranto; si caratterizzava così come una terra di passaggio per i commercianti e i pellegrini in flusso continuo tra Occidente e Oriente.
In virtù di questa posizione geografica, è ipotizzabile che la diffusione del cristianesimo sia avvenuta tra la fine del II e l’inizio del III sec.; non è sostenibile, invece, la fondazione della diocesi da parte del vescovo Mauro, santo martire del I sec., la cui devozione era molto diffusa in Terra di Bari.
Ancora non chiarita è l’identità del vescovo Geronzio o Gervasio, che nel 343 avrebbe partecipato al concilio di Serdica, nel quale si condannava definitivamente l’eresia ariana.
Il primo documento attendibile che attesti l’esistenza della diocesi è datato 465, anno in cui il vescovo barese Concordio prende parte al concilio Romano indetto da papa Ilario I, per risolvere alcune questioni disciplinari sollevate dalla Chiesa spagnola.
Sebbene nel sito della cattedrale sia stata rinvenuta una basilica paleocristiana, databile tra il V e il VI sec., fino all’VIII non abbiamo notizie attendibili di vescovi baresi; pertanto non è documentabile la tradizione che colloca nel 530 l’erezione di Bari a sede arcivescovile, atto che sarebbe stato compiuto dal patriarca di Costantinopoli Epifanio.
Fin dalle sue origini, la Chiesa barese doveva essere sottoposta alla metropolia di Canosa, sede amministrativa del governo della provincia; con il decadimento di questa città, effetto della dominazione longobarda (fine VI sec.) e delle incursioni saracene, crescerà progressivamente l’importanza di Bari nel sistema amministrativo longobardo e di conseguenza anche il suo ruolo ecclesiastico.
Divenuta sede di un gastaldato del Principato di Benevento, attorno alla metà dell’VIII . ritroviamo l’unione della sede barese con quella di Canosa, nella sola persona del vescovo, assumendo il titolo di sancte sedis Canusine et Barisine, che sarà conservato per circa due secoli.
Una posizione di rilievo è assunta dalla città con il ritorno dei bizantini, avvenuto nell’876, divenendo prima sede del thema di Langobardia (Apulia e Lucania), e nel 968 del catapanato d’Italia, cioè capitale della provincia bizantina d’Italia.
In questo contesto politico, secondo la tradizione orientale di far coincidere la metropoli amministrativa con quella ecclesiastica, Bari diviene sede arcivescovile; l’atto sarà confermato da papa Giovanni XIX nel 1025 e da Alessandro II del 1063, documenti dall’autenticità incerta, e infine nel 1089 da Urbano II che, consegnando il pallio all’abate Elia, lo rendeva arcivescovo di Bari e Canosa.
II - Dal Medioevo al concilio di Trento
I due secoli della dominazione bizantina (876-1071) segnarono l’apice dell’ascesa politica ed ecclesiale di Bari.Un consistente numero di chiese di rito greco sorgeva attorno alla corte catapanale, mentre le colonie armene, diffuse in città e nel vicino centro di Ceglie, attestavano la presenza di clero greco sposato; d’altronde i documenti testimoniano che anche il clero barese fosse normalmente sposato, e che era prassi usuale la trasmissione del sacerdozio di padre in figlio.
Bari diventava così un punto d’incontro di popoli e di tradizioni ecclesiali diverse; rimaneva però predominante l’impronta lasciata dai longobardi, ancora visibile nella scrittura, nel diritto in uso e nelle devozioni popolari, tra le quali era ormai affermata quella rivolta all’arcangelo Michele, alimentata dal vicino santuario del Gargano.
La tradizione latina era conservata dal monastero benedettino, eretto secondo i cronisti nel 978; il suo abate, Elia, il 9 maggio 1087 accoglierà le ossa di san Nicola, trafugate dalla città turca di Mira da un manipolo di marinai baresi.
È questo il momento di massima importanza nella storia della Chiesa di Bari: la posizione geografica e la presenza del santo taumaturgico conferivano alla città il ruolo di ponte verso l’Oriente.
Tra il 1053 e il 1098 saranno tenuti in Bari due concili concernenti le principali questioni disciplinari, liturgiche e teologiche che maggiormente contrapponevano la Chiesa latina a quella greca.
Di rilievo il secondo, voluto da papa Urbano II nel 1098 nella basilica di San Nicola, con il concorso di 195 vescovi e di Anselmo d’Aosta come esperto teologo; si discusse ancora di questioni disciplinari e della processione dello Spirito Santo dal Padre e dal Figlio (Filioque), senza però raggiungere alcuna intesa.
I rapporti con la Chiesa d’Oriente andranno progressivamente raffreddandosi, e se i contrasti iniziati nel 1054 separeranno la cristianità in modo ancora oggi insoluto, le reliquie di san Nicola saranno invece un riferimento costante per il culto dei pellegrini ortodossi di ogni tempo.
San Nicola sarà immediatamente proclamato patrono di Bari, festeggiato il 6 dicembre e il 9 maggio, a ricordo della sua traslazione.
Nel 1091 nella cattedrale saranno rinvenute le reliquie attribuite a san Sabino, vescovo canosino del VI sec., la figura più insigne della cristianità antica pugliese; l’evento simbolicamente concludeva l’ascesa della sede di Bari a spese della più antica Chiesa di Canosa.
Alla maestosa basilica di San Nicola, costruita in età normanna, si aggiungerà la nuova cattedrale, riedificata dopo la distruzione della città del 1156.
Di seguito, Federico II di Svevia amplierà il castello normanno, conferendo maggiore peso politico alla città di Bari, ma anche esercitando uno stretto controllo sulle nomine episcopali.
Nel 1213 l’arcivescovo Bernardo «de Castanea» fu portato dall’imperatore nella sede di Palermo, per farne suo stretto collaboratore; godette grande fiducia anche il dotto arcivescovo Mario Filangieri (1226-1251), forte assertore del potere federiciano, deposto dopo essere caduto in disgrazia presso la casa imperiale.
Un percorso autonomo sarà invece intrapreso dal clero di San Nicola; nel 1105 papa Pasquale II dichiarò la basilica immediatamente soggetta alla Santa Sede, e quindi esente dalla giurisdizione vescovile, confermando i privilegi e le donazioni concessi dai principi normanni.
Federico II la sottopose direttamente alla tutela regia, mentre le Costituzioni di Carlo II d’Angiò (1285-1309), ratificate anche dai pontefici, contribuirono alla formazione di un imponente complesso di redditi, fatto di esenzioni fiscali e dell’assegnazione in feudo di chiese e castelli del territorio diocesano e regionale.
Il capitolo fu fissato nel numero di cento chierici, oltre al priore, tutti addetti al servizio liturgico della basilica, ben remunerati e autonomi dall’arcivescovo; questa struttura rimarrà in vigore fino alla fine del XIX . Durante la dominazione angioina, il territorio diocesano fu infeudato e frammentato nei diversi casati che ne detenevano la signoria.
Dagli angioini agli aragonesi, Bari passò prima ai Del Balzo-Orsini, poi nel 1464 agli Sforza di Milano.
La dimora in città negli ultimi anni di vita di Isabella d’Aragona, vedova di Gian Galezzo, e successivamente della figlia, Bona Sforza, regina di Polonia, innalzarono notevolmente le condizioni economiche e civili cittadine; si trattò di una nuova fioritura, avvenuta dopo tre secoli di decadenza, ma sarà interrotta dal ritorno degli spagnoli.
III - Dal concilio di Trento al 1818
Durante il concilio di Trento la diocesi è retta dal cardinale Giacomo Puteo (1550- 1562), figura di spicco del concilio per le competenze in diritto canonico, ma in realtà solo titolare della sede barese, senza mai risiedervi.Il nipote e successore, Antonio Puteo (1562-1592), aprirà uno dei primi concili provinciali d’Italia per la ricezione delle istanze di riforma del Tridentino.
Nell’arco di un secolo, tra il 1567 e il 1675, otto sinodi diocesani e un secondo concilio provinciale coinvolgeranno la diocesi di Bari nell’ammodernamento della vita ecclesiastica.
Assieme alla normativa che regolamentava l’amministrazione dei sacramenti e disciplinava il comportamento del clero, costanti saranno la proibizione dell’usura, l’uso delle armi, la condanna delle pratiche divinatorie e superstiziose, nonché l’esercizio della magia; assenti le eresie, condannate solo in via generica nel primo concilio.
Gli episcopati di questo periodo sono prevalentemente di origine nobiliare napoletana, dei quali alcuni provengono dagli ordini religiosi, soprattutto dai benedettini e dai teatini.
La serie dei vescovi partenopei è aperta da Giulio Cesare Riccardi (1592- 1602) che, durante il sinodo del 1594, ratificò le due feste dedicate a san Sabino, il 9 febbraio e il 10 dicembre; l’atto rappresentava l’affermazione di un culto accresciuto di molto a partire dal XIV sec., e culminò nel 1793, quando la Congregazione dei riti dichiarerà san Nicola e san Sabino patroni ex aequo di Bari.
L’alta aristocrazia napoletana è rappresentata anche dai due esponenti della famiglia Caracciolo, Decio (1606-1613), al quale si deve l’istituzione del seminario diocesano nel 1607, e il nipote Ascanio Gesualdo (1613-1638), seguito dal nobile Diego Sersale (1638-1666); nel Settecento prosegue pressoché ininterrotta la serie degli arcivescovi napoletani, tra i quali troviamo il letterato Muzio Gaeta II (1735-1754), e ancora un Caracciolo, Giovanbattista (1778-1780).
In epoca moderna si completa l’organizzazione ecclesiastica della diocesi, caratterizzata da una fitta rete di chiese, di monasteri, di conventi e confraternite.
Le parrocchie, una per ogni comune, sono fissate nel numero di venticinque, compreso il capitolo cattedrale di Bari, che esercita collettivamente la cura pastorale della città.
Le rimanenti parrocchie, sono chiese dette ricettizie, un istituto generalmente di origine laicale, retto da uno statuto e dotato di una rendita suddivisa fra il clero che vi è iscritto, di numero variabile, ma generalmente molto alto.
Numerosi sono anche i conventi e i monasteri diffusi nel territorio, per lo più degli ordini francescano e domenicano; questi, alla soglia della prima soppressione napoleonica del 1807, raggiungono il numero di trentatré maschili, oltre i soppressi gesuiti e teatini di Bari, mentre i femminili sono undici, per lo più retti dalla regola di santa Chiara.
Notevole è il fenomeno delle confraternite, sorte a partire dal XV-XVI . generalmente dagli ordini religiosi residenti, o a seguito di una missione popolare.
Sempre in continua crescita, divennero dei partecipati centri di pietà e di carità, rappresentando per secoli la forma associativa laicale privilegiata dai baresi; nell’Ottocento fu raggiunto il ragguardevole numero di circa centoquaranta sodalizi in tutta la diocesi.
Fra le tante devozioni promosse dalle confraternite, il culto alla Madonna di Costantinopoli riveste una certa importanza; di origine orientale, diffuso in tutta l’Italia meridionale probabilmente a seguito della caduta di Costantinopoli del 1453, il culto si attesta a Bari nella prima metà del Cinquecento.
A partire dall’istituzionalizzazione della confraternita, avvenuta nel 1573 dall’arcivescovo Antonio Puteo, in tutta la diocesi si diffonderanno le chiese, gli oratori, gli altari e le confraternite dedicate alla Vergine.
Il 17 aprile del 1818, la Congregazione dei riti decretava Maria Santissima di Costantinopoli patrona della città e della provincia di Bari; la festa fu fissata il primo martedì di marzo, mentre nel XX . sarà venerata anche con il titolo di Odegitria.
Durante il Settecento si assistette alla rinascita culturale di Bari; sulla scia del Baronio, il gesuita Antonio Beatillo (1570- 1642) aprì la produzione storiografica con la sua Historia di Bari.
L’espressione intellettuale maggiore è raggiunta dal barese Giacinto Gimma (1668-1735), autore della Nova Encyclopaedia, nonché da un gruppo di canonici della cattedrale, che attestano il buon livello di ricerche storico-erudite raggiunto dal clero capitolare; tra questi Niccolò Putignani (1710-1795), Alessandro Calefati (1726-1793), professore di teologia a Napoli e vescovo di Potenza, e alcuni canonici che ricopriranno vescovati minori del Regno di Napoli.
IV - Dal 1818 al concilio Vaticano II
Dopo la parentesi del decennio francese (1806-1815), durante il quale l’organizzazione ecclesiastica diocesana è colpita unicamente dalla soppressione degli ordini religiosi, il concordato tra la Santa Sede e il Regno delle Due Sicilie del 1818 ha come primo effetto l’annessione della soppressa chiesa vescovile di Bitetto.Il lungo episcopato del basiliano Michele Clary (1823-1858) inquadra la Chiesa barese entro le coordinate della Restaurazione.
In sostanziale continuità con la politica perseguita dai Borbone nel secolo precedente, gli enti ecclesiastici sono stretti dal controllo statale.
Nel 1824 vengono riordinate le chiese ricettizie, secondo un piano unico che fissa il numero del clero e le sue funzioni pastorali; tre di queste saranno erette al rango di chiese collegiate, in aggiunta alle antiche quattro, connotando la ritualità liturgica secondo una crescente esteriorità e pomposità.
Anche le confraternite, sempre più dotate di autonomia e legate maggiormente al re di Napoli che all’arcivescovo, contribuiscono alla definizione di una religiosità popolare che, in questo secolo, raggiunge il vertice di espressione nelle tradizionali feste religiose.
Con l’unità nazionale e l’applicazione delle prime leggi eversive, alcuni enti della diocesi subirono un grave colpo; dopo l’ulteriore soppressione degli ordini religiosi, l’incameramento della proprietà ecclesiastica, decretato a seguito della soppressione delle chiese ricettizie e collegiate del 1867, spogliò tutte le parrocchie della gran parte dei loro beni.
Ritenuto filoborbonico, l’arcivescovo Francesco Pedicini (1858- 1886) fu esiliato per sette anni.
Seguono decenni difficili; il clero parrocchiale progressivamente diminuisce e lo stesso capitolo di San Nicola, nel 1891, fu drasticamente ridotto; d’altro lato, la scomparsa dei religiosi metteva in evidenza i limiti pastorali della chiesa ricettizia, ancora unica parrocchia in comuni sempre più popolosi.
Solo le confraternite, rimaste sempre indenni dalle soppressioni legislative succedutesi nel tempo, continuavano ancora a crescere di numero.
Nella seconda metà dell’Ottocento poi, se la parrocchia barese è ancora tutta da costruire, un dato positivo viene dalla diffusione delle nuove congregazioni femminili di vita attiva.
Le Figlie della Carità, le suore d’Ivrea, le stimatine, le Adoratrici del Sangue di Cristo, le Figlie di sant’Anna, e in seguito le suore di Maria Bambina, le Apostole del Sacro Cuore e le carmelitane di santa Teresa, nel cuore del nuovo borgo barese, lavoreranno fruttuosamente negli ospedali, negli orfanotrofi, nell’insegnamento del catechismo e nella formazione cristiana della gioventù femminile barese.
Nel 1878, per volontà di Pedicini, s’inaugura a Bari la prima casa dei Missionari del Preziosissimo Sangue; era un segno indicativo della necessità di rilancio religioso, in una società in rapido mutamento.
Nel versante laicale, sarà molto stentata la prima fase del movimento cattolico organizzato, introdotto nella diocesi dall’arcivescovo Ernesto Mazzella (1887- 1897); il laicato barese preferiva aderire alle nuove Pie Unioni, pressoché tutte ispirate alla spiritualità del Sacro Cuore di Gesù, mentre persistente e strutturata si diffondeva la devozione a san Giuseppe e sant’Antonio di Padova.
L’episcopato di Giulio Vaccaio (1898- 1924), ultimo vescovo napoletano alla guida della diocesi, affrontò l’apice delle problematiche pastorali emerse a partire dall’unità italiana.
In una città che dalle 18.000 unità del 1813 aveva raggiunto i 115.000 abitanti nel 1921, dinnanzi all’azione della massoneria e la diffusione del socialismo, il prelato avvertiva come esigenza prioritaria la formazione della coscienza del suo popolo; come presidente della Conferenza episcopale pugliese, nel 1917 fondava il primo e unico quotidiano cattolico regionale, «L’Avvenire delle Puglie », di breve vita, e nel dopoguerra seguì con cura la prima organizzazione dell’Azione cattolica.
Se il Partito popolare di Luigi Sturzo non incontrerà una consistente adesione, sarà sorprendente la risposta ottenuta nel versante femminile dell’Ac; in questo settore grande attenzione sarà rivolta alla gioventù, grazie al lavoro di preziose figure educative operanti nelle parrocchie, dalle quali saranno formati i quadri dirigenti dei decenni susseguenti.
Vaccaro indicava, inoltre, la necessità di conformare le parrocchie della diocesi alle nuove esigenze pastorali emerse nella società contemporanea, incentrandole sulla formazione catechistica e insistendo sulla necessità di smembrare le più popolose; l’operazione sarà iniziata con grande difficoltà a Bari e nei centri di maggiore crescita demografica, mentre l’istituzione del seminario regionale nel 1908 a Lecce avrebbe nel tempo formato un tipo di clero adatto ai compiti della nuova parrocchia.
Nel primo dopoguerra, nuove sollecitazioni vennero soprattutto da Bari, dove nel 1924 fu istituita l’università, e nel 1930 la Fiera del Levante, proiettando la città nei mercati internazionali.
Gli episcopati di Augusto Curi (1925-1933) e di Marcello Mimmi (1933-1952), recependo le istanze di Vaccaro, conferirono un’organizzazione stabile all’Azione cattolica e strutturarono in maniera più solida la pastorale parrocchiale; esautorata da tempo la funzione delle confraternite, la parrocchia divenne il luogo principale dell’educazione religiosa del popolo.
Nel 1930, poi, l’istituzione dell’Ufficio catechistico diocesano rappresenterà lo sforzo di superare l’isolamento e la frammentazione della pastorale espressa fino ad allora dalla chiesa ricettizia.
Il percorso fu continuato dal successore Enrico Nicodemo (1953- 1973), ancora incentrato sull’istruzione religiosa e sull’azione sociale, come risposta a una città in crescita e a un territorio alle prese con la ricaduta religiosa dell’industrializzazione; durante il suo episcopato ci fu il maggior numero di nuove fondazioni parrocchiali, passate dalle venticinque dell’epoca di Vaccaro alle centoventisei attuali.
A partire dal concilio Vaticano II, la Chiesa barese ha recuperato pienamente la sua vocazione ecumenica.
L’apporto dei domenicani, subentrati nel 1951 nella direzione della basilica di San Nicola, si è esplicitato nell’apertura della cappella di rito ortodosso, istituita nella cripta della basilica, nella fondazione dell’Istituto di teologia ecumenica nel 1969 e nel Centro ecumenico.
L’innalzamento della cultura teologica diocesana si è avvalso dell’Istituto di scienze religiose, sorto nel 1961 come Scuola di teologia e filosofia per laici, e dal 1974 dello Studio teologico interreligioso pugliese, diretto dai frati cappuccini di Santa Fara.
Le istanze pastorali immesse nella diocesi dagli episcopati di Mimmi e Nicodemo, dopo la breve parentesi del carmelitano Anastasio Ballestrero (1973- 1977), trovarono maturazione nel benedettino Mariano Magrassi (1977-1999); la diocesi si arricchì della sua competenza liturgica, del recupero della memoria con l’istituzione del Centro di studi storici della Chiesa di Bari, degli scritti di pastorale e di spiritualità; l’episcopato si è concluso con il sinodo diocesano, esperienza ecclesiale ripresa dopo più di tre secoli, portata a termine dal successore Francesco Cacucci (dal 1999 a oggi).
Bibliographie
Fondamentale è la collana del Centro di studi storici della Chiesa di Bari, diretto da S. Palese, Per la storia della Chiesa di Bari. Studi e materiali, 22 voll., Bari 1985-2005. Si vedano anche i contributi nella collana diretta da F. Tateo, Storia di Bari, 6 voll., Bari 1989-1997;A. Beatillo, Historia di Bari, principale città della Puglia nel regno di Napoli, Bari 1637;
M. Garruba, Serie critica de’ sacri pastori baresi, Bari 1844;
S. La Sorsa, La vita di Bari durante il secolo XIX, 2 voll., Bari 1913-1915;
G. Pinto, Per la storia della Chiesa di Bari nella seconda metà del secolo XVI, «Archivio Storico Pugliese », XXIII, 1970, 72-88;
V. Robles, Il movimento cattolico pugliese (1881-1904). Storia di un lento e difficile cammino, Bari 1981;
Cronotassi, iconografia e araldica dell’episcopato pugliese, a c. di C. Dell’Aquila, Bari 1984;
San Nicola di Bari e la sua Basilica, a c. di G. Otranto, Milano 1987;
Le Confraternite Pugliesi in età moderna, Atti del seminario internazionale di studi, 28-30 aprile 1988, a c. di L. Bertoldi Lenoci, 2 voll., Fasano 1988;
S. Palese, La parrocchia a Bari tra metà Ottocento e metà Novecento, in Problemi di Storia della Chiesa in Italia, dal Vaticano I al Vaticano II, Roma 1988, 195-216;
G. Otranto, Italia meridionale e Puglia paleocristiana. Saggi storici, Bari 1991;
G. Cioffari, Storia della Chiesa di Bari. Dalle origini alla fine del dominio bizantino (1071), Bari 1992;
Vescovi e regione in cento anni di storia (1892-1992). Raccolta di testi della Conferenza Episcopale Pugliese, a c. di S. Palese-F. Sportelli, Galatina 1994;
Atlante degli Ordini, delle Congregazioni religiose e degli Istituti secolari in Puglia, a c. di A. Ciaula-F. Sportelli, Modugno 1999.
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Diözese von Bari - Bitonto
Chiesa di San Sabino
Diözesen
QUELLE
Le diocesi d'Italia, a cura di L. Mezzadri, M. Tagliaferri, E. Guerriero, Torino, San Paolo edizioni, 2007-2008, 3 volumi.