Diözese von Iglesias
GESCHICHTE
I - Periodo antico e medievale
Forse risalente alla metà del IV sec., la sua prima attestazione è del 484: il vescovo Vitale partecipò con altri quattro vescovi sardi al colloquio teologico di Cartagine voluto dal re vandalo Unnerico, ariano.In quell’occasione, aderì a una professione di fede ortodossa che i vescovi cattolici consegnarono al re.
Poco dopo la venuta dei bizantini, tra la seconda metà del V e gli inizi del VI sec., si costruì un martyrium sulla tomba di sant’Antioco di Sulci, un martire locale il cui culto doveva essere già affermato prima dell’arrivo dei bizantini (all’XI-XIII . risale invece la sua Passio influenzata dal racconto leggendario del martirio di Antioco di Sebaste; da essa deriva l’attribuzione del suo martirio al tempo dell’imperatore Adriano, da considerarsi troppo alta).
Intorno alla metà del VII . il vescovo Pietro restaurò l’edificio.
Risale al periodo post 649-ante 680 la professione di fede di Eutalio vescovo di Sulci che testimonia del coinvolgimento della Sardegna nella disputa monotelita.
È possibile che, a partire dalla seconda metà dell’VIII sec., la diocesi abbia cessato di esistere a causa delle incursioni saracene.
Fu ricostituita durante il pontificato di Alessandro II (1061-1073), che aveva mandato un suo legato a Cagliari, di cui Sulci era stata suffraganea almeno dalla fine del V . Agli inizi del XIII, la sede fu spostata da Sulci a Tratalias e il suo territorio si estendeva nei due distretti amministrativi di Cixerri e Sulcis.
In occasione del suo ripristino, il giudice di Cagliari Orzocco Torchitorio aveva donato alla sede sei chiese che nel 1066 erano state promesse a Montecassino in cambio dell’invio, non avvenuto, di alcuni monaci per fondare un monastero.
Assieme ad altre, invece, la chiesa di Sant’Antioco di Sulci fu donata nel 1089 dal giudice Costantino Salusio al monastero di San Vittore di Marsiglia che, alle dipendenze della chiesa di San Saturno di Cagliari, possedeva trentotto chiese nel territorio del giudicato, nel quale ricadeva la diocesi di Sulci.
L’espansione vittorina e il tentativo dei cassinesi di entrare in possesso, con cinquant’anni di ritardo, delle chiese promesse loro nel 1066 crearono scontri tra questi due ordini monastici e i vescovi di Sulci.
Nonostante l’appoggio di Eugenio III ai cassinesi, nel 1218, Onorio III pose fine a tutte le liti concedendo alla sede un privilegium protectionis con il quale riconosceva ai vescovi la proprietà delle sei chiese assegnate loro in occasione del ripristino della sede e di altre otto, tra le quali la stessa Sant’Antioco di Sulci (che veniva sottratta ai vittorini), nonché varie altre proprietà terriere cospicue, che erano state donate dai giudici di Cagliari.
Nel 1235 è attestato il tentativo di un tale Arçottus che cercava anche con mezzi simoniaci di diventare vescovo di Sulci.
Non si conosce l’esito del caso.
Durante il viaggio dell’arcivescovo di Pisa Federigo Visconti in Sardegna nel maggio del 1263, il vescovo di Sulci lo accompagnò durante tutto il suo soggiorno.
Alla metà del XIV sec., sulla base delle Rationes decimarum, nella diocesi sono attestate ventitré ville oltre la sede di Tratalias; il vescovo pagava circa 15 lire in alfonsini minuti e l’intera diocesi intorno alle 220 lire di decima triennale, mentre il censo, sin dagli inizi del XIII . consisteva in due lire d’argento = diciotto lire di alfonsini minuti.
Tra il 1354 e il 1355, il vescovo di Sulci Ramon Gilet fu collettore pontificio per Sardegna e Corsica; durante la sua attività si scontrò con gli arcivescovi di Torres e Cagliari per il recupero dei beni dei loro defunti predecessori, e chiese aiuto a Ramon de Riusec, rappresentante a Sassari di Pietro IV d’Aragona, che si trovava sull’isola per affermarvi il suo dominio effettivo e realizzare il primo Parlamento sardo.
Durante lo scisma d’Occidente, vennero nominati cinque vescovi di obbedienza romana e tre vescovi di quella avignonese.
A seguito del riordino delle diocesi voluto da Ferdinando II d’Aragona e portato a termine da Giulio II nel 1503, la sede venne prima trasferita da Tratalias a Iglesias e poi fu unita nel 1506 a Cagliari.
II - Periodo moderno e contemporaneo
Nonostante l’unione con Cagliari, la diocesi conservò un proprio capitolo e, in caso di vacanza di quella, nominava un proprio vicario capitolare che l’amministrava sino all’arrivo del nuovo arcivescovo.L’unione era comunque malsopportata dal clero diocesano: nel 1580 ci fu un tentativo, avallato da Filippo II, di realizzare una diocesi autonoma di Iglesias- Ales, reiterato nel 1620.
Nel 1654 la Rota definì perpetua l’unione con Cagliari, ma sotto la forma di aeque principaliter; a Iglesias veniva ufficialmente riconosciuto il diritto di nominare il suo vicario capitolare durante la vacanza di Cagliari e, finita la vacanza, di essere governata da un proprio vicario generale dipendente direttamente dall’arcivescovo, in quanto vescovo di Iglesias, e non dal vicario generale di Cagliari.
Nel 1728 contava cinque parrocchie e 8023 abitanti.
Nel 1763, in seguito alle pressanti insistenze dell’arcivescovo di Cagliari Natta, presentate sia al papa sia al sovrano sabaudo, sulla necessità pastorale di concedere a Iglesias un proprio vescovo, con le modalità previste dal regime di regio patronato la diocesi fu staccata da Cagliari e resa autonoma con un proprio vescovo e con sede a Iglesias (le veniva attribuita una dotazione nominale annua di 2000 scudi romani = 6250 lire sarde); contava circa 13.000 abitanti, dei quali la metà nella sede, il resto in nove centri abitati.
Il clero era concentrato quasi tutto in città dove si trovavano anche quattro monasteri maschili e uno femminile.
Nel resto della diocesi vi erano sette preti, dei quali sei vicarii ad nutum.
Sino al 1871, quando ebbe fine il sistema di ancien régime per la presentazione dei vescovi, si susseguirono nove vescovi, di cui sette sardi.
Tra la ricostituzione e il 1800 vi furono cinque vescovi che governarono mediamente cinque anni ciascuno (la durata media più bassa dell’isola) a causa della malaria; la sede rimase vacante per nove anni.
Una tendenza opposta a quello del XIX sec., quando quattro vescovi «coprirono » 107 anni di governo tra il 1800 e il 1907, con il caso eccezionale di Giovanni Battista Montixi (1844-1884).
Alla metà dell’Ottocento la diocesi contava ventisette parrocchie e 28.404 abitanti, dei quali 4800 presso la sede, con una rendita di 22.575 lire sarde, la più povera dell’isola.
Dall’inizio del XIX . inizia un processo che nei cinquant’anni successivi avrebbe portato a un radicale cambiamento dei rapporti Stato-Chiesa: l’istituzione del «monte di riscatto» per l’estinzione del debito pubblico, finanziato con fondi provenienti in buona parte da rendite ecclesiastiche e, tra l’altro, con l’assegnazione allo Stato di tutti i benefici vacanti o vacaturi per un biennio, provocò l’allungarsi dei periodi di vacanza delle sedi vescovili, tranne che nella diocesi di Iglesias a causa della già nota longevità dei suoi vescovi.
L’approvazione della legge Siccardi (9 aprile 1850), che aboliva il principio dell’immunità ecclesiastica, causò la convocazione straordinaria dei vescovi sardi a Oristano, voluta dall’arcivescovo di Cagliari Marongiu Nurra, alla quale non partecipò il vescovo di Iglesias Montixi che ritenne la riunione un atto di insubordinazione all’autorità, poiché priva del benestare regio.
Conclusasi con una lettera di omaggio al re, non significò la fine dell’opposizione degli ecclesiastici sardi alla legge.
Gli arcivescovi di Sassari e Cagliari, Varesini e Marongiu Nurra, ne subirono più duramente le conseguenze.
A partire dalla seconda metà del XIX . si verificò una contrazione del clero, comune a tutte le diocesi, alla quale corrispondeva però un miglioramento del livello di istruzione e della condotta, riconosciuto anche dai vescovi salvo nel caso di Iglesias e di Bosa: il vescovo di Iglesias Dallepiane, nel 1916, lamentava che il clero locale non godesse di alcun prestigio perché poco istruito, rissoso, invidioso e persino di scarsa religiosità.
Su tale situazione doveva aver influito anche la chiusura, nel 1908, del seminario che, ancora nel 1850, contava diciassette alunni, contro i quattro dell’ultimo anno di attività.
Dallepiane lo riaprì nel 1911: nel 1916 si contavano tredici seminaristi su una disponibilità per sessanta.
La situazione religiosa della diocesi era migliorata dalla presenza delle congregazioni religiose, in particolare le Figlie della Carità, che vi tenevano otto case.
Tra il 1963 e il 1965 una proposta di riordino delle diocesi da parte della Cei avrebbe dovuto portare tra l’altro all’assorbimento della diocesi in quella di Cagliari.
L’opposizione di quasi tutti i vescovi portò al mantenimento dello status quo.
Il vescovo Pirastru (1930-1970) fu il più attivo tra i vescovi dell’isola nel promuovere la collaborazione tra gli stessi vescovi e il più lungimirante nelle richieste dei temi da trattare nel Vaticano II: «la dignità umana, la fraternità e i più importanti diritti della persona umana»; nel 1965 propose il ritorno al calendario liturgico unico; al concilio Pirastru fu uno dei tre italiani a sottoscrivere l’intervento del patriarca Maximos IV, per il quale «vero impedimento all’unione dei cristiani» non era la dottrina del primato pontificio ma «le sue eccessive interpretazioni e il suo concreto esercizio».
Bibliographie
R. Turtas, L’attività del collettore pontificio a Sassari nel 1354-1355, in Gli Statuti sassaresi, Atti del Convegno di Studi, Sassari, 12-14 maggio 1983, Cagliari 1986, 253-274;R. Turtas, Erezione, traslazione e unione di diocesi in Sardegna durante il regno di Ferdinando II d’Aragona (1479-1516), in Vescovi e diocesi in Italia dal XIV alla metà del XVI secolo, Atti del convegno di Storia della Chiesa, Brescia 21-25 settembre 1987, Roma 1990, II, 717-755;
M. G. Sanna, Gli inventari del registro 211 della serie Collectoriae presso l’ASV, tesi di laurea in Materie letterarie, Facoltà di Magistero dell’Università di Sassari, a.a. 1992-1993;
R. Turtas, La diocesi di Sulci tra il V e il XIII secolo, «Sandalion», 18, 1995, 147-170;
R. Turtas, Storia della Chiesa in Sardegna. Dalle Origini al Duemila, Roma 1999.
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Diözese von Iglesias
Chiesa di Santa Chiara d'Assisi
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La facciata della cattedrale di Santa Chiara ad Iglesias -
Veduta dell’aula dal presbiterio
Diözesen
QUELLE
Le diocesi d'Italia, a cura di L. Mezzadri, M. Tagliaferri, E. Guerriero, Torino, San Paolo edizioni, 2007-2008, 3 volumi.