Di origine etrusca, poi municipio romano, fin dall’alto Medioevo, ebbe nome Castrum plebis a significare la stretta identità fra presidio militare (castrum) e centro di vita religiosa (pieve). Incorporata nella diocesi di Chiusi, fu creata diocesi da Clemente VIII il 7 ottobre 1600, con un territorio in gran parte sottratto alla giurisdizione del vescovo chiusino, comprendente Piegaro, Panicale, Paciano, Mongiovino, Tavernelle, Colle San Paolo e Montalera in territorio perugino, tutto il territorio del marchesato di Castiglione del Lago, Trevinano, Monteleone e Salci in territorio orvietano e Camporsevoli e Santa Fiora in territorio senese. La diocesi era di ridotte dimensioni territoriali, scarsamente dotata di rendite, tanto da costringere alcuni vescovi a impiegare il proprio patrimonio personale per realizzare alcune delle istituzioni caritativo-assistenziali ritenute indispensabili per condurre una efficace attività pastorale. È il caso di Reginaldo Lucarini, vescovo per ben ventotto anni (1643-1671), che ingrandì la cattedrale, istituì la biblioteca pubblica e irrobustì la rete delle istituzioni di assistenza e beneficenza. Con le rendite del soppresso ospedale del Beato Giacomo, durante l’episcopato di Fabrizio Paolucci, primo vescovo della diocesi (1605-1625) venne istituito il seminario, che non ebbe un’attività tranquilla e lineare, almeno fino ai radicali interventi del vescovo Stefanini (1771- 1775) che lo dotò di maggiori rendite e lo rese più ampio e accogliente.
II - Età contemporanea
Durante l’età napoleonica il vescovo Filippo Angelico Becchetti prestò il giuramento ecclesiastico e fu autore di un’opera in difesa di tale dichiarazione di fedeltà. Con la Restaurazione, la diocesi venne temporaneamente affidata alla cura del vescovo di Orvieto, Lambruschini, che nonostante lo sforzo di ripristinare il tessuto delle istituzioni ecclesiastiche pre-napoleoniche fu costretto a decretare accorpamenti e razionalizzazioni, soprattutto riguardo agli ordini religiosi. L’unità d’Italia e la demaniazione delle proprietà ecclesiastiche determinarono il declino della diocesi che graviterà sempre più verso Perugia, ma non parteciperà dei fermenti novatori che agli inizi del Novecento interessarono il clero perugino. Nel XX . è soprattutto da ricordare il lunghissimo episcopato di Giuseppe Angelucci (1911-1949), che attraversò tutti gli eventi politici della prima metà del Novecento. Inizialmente contrario al fascismo, dopo i patti Lateranensi si schierò apertamente dalla parte del regime e sostenne, coinvolgendo massicciamente il clero, tutte le sue manifestazioni di propaganda e di promozione del consenso. Finita la guerra e resosi conto che nella sua diocesi – cuore dell’Umbria mistica e devota, secondo l’immagine tramandata dalle splendide tele del Perugino, nato proprio a Città della Pieve – si era diffusa l’ideologia comunista, avviò una dura lotta contro il marxismo, imponendo a tutti i parroci l’osservazione scrupolosa delle disposizioni pontificie in materia. Fu però il nuovo vescovo, Ezio Barbieri, che fece il suo solenne ingresso in diocesi nell’ottobre del 1949, a prendere definitivamente atto del tramonto del mondo rurale e della pratica religiosa nelle campagne pievesi; monsignor Barbieri morì nel 1982, all’età di 95 anni, ma già nel 1977 aveva dato le dimissioni dalla carica. Non venne nominato un nuovo vescovo e la diocesi fu, di fatto, accorpata a Perugia, di cui era diventata suffraganea nel 1972; una unione definitivamente ratificata nel 1986.
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