Malgrado se ne riconduca l’evangelizzazione all’apostolo Pietro, l’attestazione di una presenza cristiana a Ferentino va rimandata al III-IV sec.; datano infatti a quest’epoca alcune epigrafi funerarie e lo stesso martirio del centurione Ambrogio (†304), protettore della città. Bisogna invece attendere il 487 perché con Bassus sia documentata una linea episcopale da cui emerge Bonus, che nel 556 consacrò papa Pelagio I. Fedele al papato riformatore, la città ospitò Pasquale II (1099 e 1105); di poco più tarda è la traslazione delle reliquie di sant’Ambrogio nella nuova cattedrale dei Santi Giovanni e Paolo promossa dal vescovo Agostino (1106-1113). L’adesione di Giso (1130-1138) al partito anacletiano e l’ostilità incontrata dal suo successore portarono alla guida della diocesi Ubaldo (1148-1160), che a sua volta si schierò con l’antipapa Vittore IV: la presenza a Ferentino di Alessandro III e Innocenzo III fu dunque volta a riaffermarvi l’autorità papale, concretizzata dall’insediamento del rettorato provinciale. All’epoca dell’incontro ferentinate tra Onorio III e Federico II (1223), la diocesi comprendeva i castra di Ceccano, Patrica, Cacumen (ora diruto), Supino, Giuliano, Prossedi, Pisterzo, San Lorenzo (Amaseno), Villa Santo Stefano e Silvamolle, assetto mantenutosi nei secoli. Benché un frate minore ne fosse stato vescovo dal 1252, l’introduzione dei francescani in città (1282) fu a lungo ostacolata; intanto nei suoi pressi, verso il 1267, Pietro del Morrone (poi Celestino V) aveva fondato il monastero di Sant’Antonio Abate, dove venne sepolto (1296) fino alla traslazione all’Aquila (1327). Coinvolta nelle contese seguite allo scisma d’Occidente, la diocesi fu a lungo contesa da vescovi delle diverse osservanze.
II - Dal Tridentino all’unione diocesana
Nella prima età moderna, persa la centralità assicurata dal rettorato (trasferito ad Anagni e poi a Frosinone), Ferentino ebbe più vescovi provenienti dagli apparati curiali, da cui infine si distinse Silvio Galassi (1585-1591), già segretario di Carlo Borromeo. La ricezione dei deliberati tridentini è attestata dalla relatio ad limina del 1603 e dal sinodo del 1605; l’apertura del seminario fu invece rimandata al 1687 a causa della scarsità di rendite, cui si ovviò unificando i benefici ecclesiastici: da qui i contrasti che nel 1707 portarono il vescovo Valeriano Chierichelli (1694-1718) a ritirarsi a Roma e governare la diocesi per mezzo di vicari. La fine del lungo episcopato di Pietro Paolo Tosi (1754-1798) a ridosso della proclamazione della Repubblica romana, e la vacanza che ne seguì, facilitarono l’adesione del clero all’insorgenza del 1798, di cui Ferentino fu tra i centri d’irradiazione. Con la Restaurazione, la città tornò brevemente a ospitare la delegazione apostolica, ma non il rettorato. Le visite di Pio IX (1850 e 1863) ne premiarono la fedeltà nel 1849; ciò tuttavia alimentò l’attrito tra istituzioni ecclesiastiche e giunta post-unitaria causando l’abbandono dei lavori della nuova cattedrale, avviati da Bernardo Maria Tirabassi (1845-1865). Dopo le difficoltà del ventennio fascista, il movimento cattolico risorse a Ferentino fin dal 1943 su impulso del vescovo Tommaso Leonetti (1942-1962), premessa all’affermazione democristiana nel dopoguerra. Nel 1973, la contemporanea vacanza delle sedi di Veroli-Frosinone e Ferentino indusse la Santa Sede ad affidarne la guida a un unico vescovo, Michele Federici (1973-1980). Il 30 settembre 1986 quest’unione in persona episcopi fu sancita dalla costituzione della diocesi di Frosinone-Veroli- Ferentino.
Bibliographie
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