Respinta la leggendaria fondazione petrina della sede vescovile nell’antico porto di Gallipoli, ma rimanendo in ogni caso aperti alla possibilità di una presenza cristiana in epoca tardoantica, è bene fare riferimento ai documenti storicamente attendibili: nel 551 il vescovo di Gallipoli Domenico è a Costantinopoli e nel 595 Gregorio Magno vi invia come amministratore il vescovo della vicina Otranto, poiché la sede è vacante. Mai caduta in mano longobarda, a metà del IX . Gallipoli è ripopolata dalla «seconda ondata bizantina» promossa dagli imperatori Basilio I e Leone VI e resa suffraganea della metropolia di Santa Severina in Calabria: sono gli anni in cui nasce il Salento bizantino. Anche all’arrivo dei normanni (1071) e con il passaggio di Gallipoli alla metropolia di Otranto ormai latina, la sede di Gallipoli rimane amministrata da vescovi greci; sono testimonianza del periodo bizantino le abbazie di San Mauro e di San Salvatore nel territorio diocesano, che conservano ancora tracce interessanti di impianti iconografici complessi. Con le donazioni di Goffredo il Normanno e l’implicito benestare pontificio, il monastero di Santa Maria de Nerito, poi sede vescovile, estende la sua influenza spirituale e temporale su un territorio che la sede gallipolina considera da sempre appartenente alla massa callipolitana: questi contrasti giurisdizionali si risolveranno a favore della latina Nardò, mentre la diocesi di Gallipoli, di matrice bizantina, rimarrà limitata al solo territorio cittadino. Dopo l’assedio e la distruzione di Gallipoli filosveva per mano angioina nel 1268, la sede vescovile si trasferisce temporaneamente nel vicino centro di Alezio, dove è in corso l’edificazione della chiesa di Santa Maria de Cruciata, sintesi della radice bizantina che va spegnendosi e delle nuove istanze che provengono da Napoli angioina. Per mezzo di fondazioni conventuali gli angioini favoriscono la diffusione dei nuovi ordini religiosi, dalle cui file provengono anche i pastori della diocesi: dal 1383 al 1452 su dieci vescovi, ben sei sono i francescani e tre i domenicani. Dalla seconda metà del XV . e fino al XVIII, sotto il dominio degli aragonesi prima e dei viceré spagnoli e dei Borbone poi, Gallipoli conosce un notevole incremento demografico, causato dal rifiorire delle attività portuali. Il controllo delle nomine e l’attenzione delle classi dominanti nei confronti degli affari ecclesiastici sono insieme la forza e la debolezza di questa città-diocesi. I vescovi, per la maggior parte di nobili origini e di nomina regia, provengono dalla Spagna o dalla Campania e si adoperano per l’attuazione della riforma tridentina per mezzo di visite pastorali e sinodi (1661, 1699) e con l’ausilio del clero regolare che incanala la devozione dei fedeli: in città sono quattro i conventi maschili (cappuccini, riformati, domenicani, minimi), due i monasteri femminili (carmelitane e clarisse) e oltre quindici le confraternite; il seminario sarà aperto solo nel 1759-1760. Questi secoli si caratterizzano pure per un’eccezionale attività edilizia: oltre alla nuova cattedrale barocca iniziata nel 1629 e dedicata a Sant’Agata, sono meritevoli di essere ricordate le chiese di Santa Maria del Canneto, di San Francesco da Paola, di San Francesco d’Assisi, di San Domenico, di Santa Teresa, di Santa Maria della Purità. Tra gli episcopati sono significativi quelli di Pellegrino Cibo (1536-1575), Alfonso de Herrera (1576- 1585), Consalvo de Rueda (1622-1650), Giovanni Montoya de Cardona (1659- 1667), Antonio Perez de la Lastra (1679- 1700), Oronzo Filomarini (1700-1741) e Ignazio Savastano (1759-1769). Nel 1799 Giovanni Giuseppe Danisi (1792-1820) si trova a dover gestire i fatti rivoluzionari e controrivoluzionari, dimostrando saggezza e moderazione, che però non lo esimono da sospetti per i quali è costretto ad abbandonare la diocesi; ritornato poi a Gallipoli, in tutto il basso Salento è l’unico vescovo rimasto in sede durante il decennio francese. Durante i moti risorgimentali, la diocesi è abbandonata da Valerio Laspro (1860-1872), come chiaro segno di avversione verso l’Italia unita. Nel corso del XIX sec., si struttura la vita pastorale con l’istituzione di due parrocchie nei due centri di Alezio e Sannicola, divenuti comuni; nei tre paesi della diocesi però, all’inizio del XX sec., il numero dei sacerdoti si attesta ormai intorno alle quaranta unità. La strategia a cui la Santa Sede fa ricorso è quella dell’unione ad personam tra le diocesi di Nardò e di Gallipoli, espediente cui si ricorrerà spesso nel corso del secolo, fino a che nel 1986 non si procede, non senza dolore, alla piena unione delle due nella nuova diocesi di Nardò-Gallipoli. Considerevoli nel Novecento le figure dei vescovi Gaetano Muller (1898-1935), Nicola Margiotta (1935- 1954), Pasquale Quaremba (1956-1982), Aldo Garzia, ultimo vescovo gallipolino (1982-1986) e primo vescovo di Nardò- Gallipoli (1986-1994).