Historische Diözese von Montalcino
GESCHICHTE
I - Dalla fondazione all’età moderna
L’antica pieve del Santissimo Salvatore di Montalcino, sita sul punto più eminente della cittadina, pur essendo posta nella diocesi di Arezzo dipese per secoli dall’abbazia di Sant’Antimo, a sua volta soggetta direttamente alla Santa Sede.Il 13 agosto 1462 papa Pio II (il senese Enea Silvio Piccolomini) istituì due nuove diocesi, fra di loro unite nella figura del vescovo, ma distinte come amministrazione dei rispettivi territori e direttamente soggette alla Santa Sede: Montalcino e Pienza (quest’ultima nel suo villaggio natio di Corsignano).
Le due nuove diocesi comprendevano terre sottratte alle diocesi di Arezzo, Chiusi, Grosseto e Sovana.
La nuova diocesi di Montalcino ricevette: da Chiusi le parrocchie di Montenero, Sant’Angelo in Colle, Castelnuovo dell’Abbate, Sant’Antimo, Seggiano, San Niccolò e Lucia a Castel del Piano e Ripa d’Orcia; da Grosseto le parrocchie di Camigliano, di Porrona e Castiglioncello Bandini, di Cinigiano, di Argiano e di Poggio alle Mura; da Arezzo, infine, oltre alle parrocchie di Montalcino, quelle di Matrichese, Torrenieri, Villa a Tolli, Santa Restituta, Collodi e Grassina.
Nel 1772, quando papa Clemente XIV unì la diocesi di Pienza a quella di Chiusi, il territorio diocesano di Montalcino fu ingrandito con le parrocchie di Arcidosso, Montelaterone, Monticello, San Quirico d’Orcia, Rocca d’Orcia, Castiglion d’Orcia, Vignone, Campiglia d’Orcia, Vivo e Monte Giovi, cui si aggiunse la Pieve a Salti nel 1789.
In totale, alla fine dell’età moderna la Chiesa di Montalcino contava ventotto chiese battesimali e sei chiese curate.
Tuttavia, nonostante l’estensione della diocesi, neppure tutte le parrocchie della comunità principale le erano soggette: Castiglion del Bosco e la Badia Ardenga rimasero sotto la giurisdizione vescovile di Siena.
Non mancarono brevi pause di separazione fra le due Chiese, dal 1528 al 1535 e dal 1554 al 1575: separazioni dovute a motivi strettamente connessi alle strategie domestiche dei Piccolomini.
Infine, il 23 maggio 1594 papa Clemente VIII separò le due diocesi di Pienza e di Montalcino, che portavano ancora i segni delle devastazioni subite durante la guerra fra Cosimo I e Siena, affinché ognuna potesse avere un suo proprio vescovo: nel caso di Montalcino questi fu il nobile senese Camillo Borghesi.
Agli inizi del Seicento la cattedrale, direttamente soggetta alla Santa Sede, aveva tre dignità (l’arcidiaconato con la cura d’anime della soppressa pievania, l’arcipretato e la prepositura) e sei canonicati, che nel corso di un secolo crebbero rispettivamente di un’altra dignità (il primiceriato) e di cinque prebende: per tutta l’età moderna a Montalcino, come in altre piccole diocesi toscane, non fu possibile erigere né la prebenda teologale, né la prebenda penitenziale.
La mensa episcopale rendeva fra gli otto e i novecento scudi, ma, pur tralasciando l’esiguità delle disponibilità finanziarie del presule, anche a Montalcino, come altrove, la giurisdizione spirituale del vescovo era fortemente limitata dal sistema dei giuspatronati sui benefici ecclesiastici.
La cura della fabbrica della cattedrale e del suo culto era affidata a un potente e ricco luogo pio laicale – l’Opera del Suffragio – e nella città vi era anche un ricco ospedale: ambedue erano sottoposti solo al controllo del governo statale, come le numerose confraternite laicali.
Alla fine del Seicento, superata la depressione demografica della metà del secolo, la città era abitata da circa tremila anime; vi erano quattro chiese parrocchiali, un monastero femminile di domenicane, eretto nel 1542 e intitolato a santa Caterina da Siena (in epoca leopoldina fu trasformato in conservatorio per le ragazze), e due conventi maschili (uno di agostiniani e uno di minori conventuali).
Fuori dalla cinta muraria c’erano pure un convento di minori osservanti e un altro di cappuccini.
Il convento degli agostiniani fu soppresso nel 1782 per essere destinato all’uso di seminario diocesano: a realizzarlo fu il vescovo Giuseppe Pecci (1774-1809), un monaco olivetano che, pur essendo zio del vescovo filoricciano Giuseppe Pannilini, era assolutamente contrario alle riforme ecclesiastiche di Pietro Leopoldo.
II - L’età contemporanea
La Chiesa di Montalcino confermava, in età contemporanea, quel carattere di subalternità alla sede senese che venne oltremodo esaltato dalla nuova e progressiva distrettuazione 761 MONTALCINO M 5-03-2008 10:42 Pagina 761 prima politico-istituzionale e poi anche ecclesiastica.Il movimento che portò alla fusione con Siena seguiva la logica dell’accentramento organizzativo e strategico determinato fondamentalmente dalle caratteristiche rurali del territorio diocesano.
Sono proprio questi due aspetti a risultare determinanti anche nella caratterizzazione complessiva delle vicende contemporanee della Chiesa ilcinese: la marginalità di un territorio fortemente parcellizzato dal punto di vista della proprietà agricola e dei rapporti sociali ma anche un territorio a vocazione operaia (industrie estrattive soprattutto), cosa che complicava, nell’esperienza religiosa concreta, la percezione dell’appartenenza e della partecipazione.
Si trattava di due processi per certi aspetti paralleli e per altri divergenti da cui sarebbe discesa una sorta di schizofrenia comportamentale: da una parte gli episcopati portati a innovare nella direzione conservativa, per meglio attutire i colpi vari della modernità; dall’altra, la resistenza delle popolazioni e della grande maggioranza del clero, entrambi interessati a mantenere essenzialmente lo statu quo delle tradizioni religiose e cultuali ma sempre più sensibili ai mutamenti reali a livello di modus vivendi.
La civiltà contadina, qui ritenuta implicitamente e pretestuosamente garanzia di stabilità e di ordine, perché legata ai modelli gerarchici e «naturali» del passato, perdeva progressivamente tale caratteristica per diventare il luogo delle trasformazioni più violente e perciò negative, a dimostrazione della reale scristianizzazione della società toutcourt.
Sul diffuso e delicato equilibrio fra città e campagna, con le sue ricadute sociali e politiche, alimentate e rappresentate da un sostrato di piccola borghesia e ceti agricoli i più variegati, si innestavano dunque i tentativi dei vescovi di conservare e poi recuperare uno spazio di agibilità e di significanza per la Chiesa, arrivando però al risultato di una cristianesimo senza comunità e di una comunità cristiana con una forte impronta di «religione cittadina».
Fu l’episcopato di Ireneo Chelucci (1938- 1970), in coincidenza con l’affermarsi progressivo ma deciso delle forme moderne della democrazia e dei primi segnali del benessere diffuso, a traino della modernità incipiente e della conseguente secolarizzazione, a segnalare una rottura: non fu soltanto il passaggio dalla monarchia alla repubblica e dalla dittatura alla libertà, con la conseguente lotta al comunismo ormai dilagante, a rimarcare le differenze, quanto piuttosto l’insieme delle ricadute che quegli eventi e quei processi presentarono sull’assetto complessivo della Chiesa locale.
La stabilità sociale ed ecclesiale venne messa in discussione dall’attivismo organizzativo e presenzialista del vescovo che prendeva coscienza dell’urgenza di un «apostolato» che, ovviamente senza smentirsi rispetto ai tradizionali e rodati canoni della ritualità devozionale e catechetica, si pose come obiettivo quello di smuovere dall’apatia ideologica prima che esistenziale i cattolici, clero compreso, per aggredire quell’insieme di mali e «maligni » che rischiavano di vanificare secoli di «civiltà cattolica».
Il risultato fu che il movimento laicale ancora a metà degli anni Trenta appariva stentato e che ancora negli anni Cinquanta, quando la propaganda socialcomunista aveva ormai prodotto i suoi successi anche nel mondo contadino, il vescovo invitava i cattolici impegnati nel comitato elettorale a «sostenere gli interessi degli umili».
La partecipazione di Chelucci al concilio Vaticano II avvenne nella convinzione sempre più radicata che, di fronte ai cambiamenti in atto e soprattutto al ritmo con il quale essi avvenivano, «non basta conservare, bisogna sviluppare, rinnovare [...] l’apostolato ».
Alla morte di Chelucci (1967), la diocesi fu affidata al vescovo di Chiusi e Pienza, Baldini.
Alla morte di questi, nel 1970, l’arcivescovo di Siena fu nominato prima amministratore apostolico e poi, dal 1978, vescovo titolare, fino alla fusione con Siena e Colle nel 1986.
Bibliographie
G. De Caro, Borghese, Camillo, voce in DBI XII, 1970, 584-585;I. Polverini Fosi, La diocesi di Pienza e Montalcino fra privilegio e riforme, in La Val d’Orcia nel medioevo e nei primi secoli dell’età moderna, Convegno internazionale di studi storici, Pienza, 15-18 settembre 1988, Roma 1990, 411-446;
A. Mirizio, I buoni senesi. Cattolici e società in provincia di Siena dall’Unità al Fascismo, Brescia 1993;
L. Carle, La patria locale. L’identità dei Montalcinesi dal XVI al XX secolo, Venezia 1996;
M. Sangalli (a c. di), Chiesa e cultura nel Novecento. Un sacerdote, un vescovo, una biblioteca. Ireneo Chelucci tra Pistoia e Montalcino (1882-1970), Roma 2002;
A. Mirizio, Per la religione e la patria. Chiesa e cattolici a Siena dalla Conciliazione al Centrismo, Siena 2003.
Diözese von Montalcino
Chiesa di San Salvatore
Diözesen
QUELLE
Le diocesi d'Italia, a cura di L. Mezzadri, M. Tagliaferri, E. Guerriero, Torino, San Paolo edizioni, 2007-2008, 3 volumi.