Historische Diözese von Tropea
GESCHICHTE
I - Le origini
Nel 1857 un crollo della torre mastra del castello mise in luce un cimitero paleocristiano con trentacinque epigrafi che rivelarono una numerosa comunità cristiana a Tropea fin dal IV sec.: il cristianesimo fu portato dai viaggiatori che qui approdavano provenendo soprattutto dall’Africa settentrionale.Una serie di villae appartenenti all’oligarchia romana caratterizzò il territorio durante il basso impero.
Furono queste a formare la Massa tropeana dopo il IV sec., come testimonia una iscrizione sepolcrale nella quale una certa Irene viene ricordata come conductrix massae trapeianae (sic).
Il 6 luglio la chiesa tropeana venera per antica tradizione come protettrice santa Domenica vergine e martire, uccisa nella persecuzione di Diocleziano.
Il testo della Passio è contenuto nel ms Ambros. GR D 92 sup. F 184 r, di provenienza dall’Italia meridionale, nella tipica scrittura «niliana» dell’XI . In realtà però si tratta di Ciriaca, una santa della Siria.
Altri documenti importanti sono una epigrafe opistrofica che porta la data consolare del 360, e una lettera di papa Gregorio Magno del 591 diretta al suo delegato, il notaio Pietro, perché soccorra materialmente i monaci del monastero di San Michele Arcangelo sulla collina a ridosso della città, che vivevano in ristrettezze economiche.
Ma, pur manifestando le fonti una vivace comunità cristiana, la presenza di un vescovo è documentata solo nel 649, quando Giovanni partecipò al concilio Lateranense indetto da papa Martino I.
II - Periodo bizantino
Con la dominazione bizantina a partire dall’VIII sec. e con i processi che ne seguirono la Chiesa tropeana venne assoggettata alla Chiesa metropolitana di Reggio Calabria e passò dalla obbedienza al papa di Roma all’obbedienza al patriarca di Costantinopoli, accogliendo la liturgia, la lingua e le norme della Chiesa bizantina.La chiesa cattedrale sorgeva allora sul luogo di un antico tempio di Marte, dove i gesuiti hanno costruito il collegio e la chiesa nel 1630.
Il territorio della diocesi, che si estende sulla punta estrema del promontorio di Capo Vaticano, è stato frequentato da numerosi eremiti italo-greci, provenienti dalle regioni che l’islam andava rapidamente invadendo.
Essi dimoravano prevalentemente in grotte naturali, ma costruirono nel territorio anche otto monasteri.
Sorsero in questo periodo quasi tutti i borghi che si trovano attorno a Tropea lungo la fascia costiera e che ancora oggi portano nomi patronimici greci che manifestano la loro origine sociale e politica.
I musulmani, o saraceni, sbarcarono spesso su queste coste che i bizantini non riuscirono sempre a proteggere e anche Tropea ebbe periodi di dominazione: nell’840 e poi nel 946.
Ma nel IX sec., in coincidenza con la persecuzione delle immagini a opera di Leone Isaurico, giunse a Tropea una nave greca.
Una antichissima narrazione riferisce, arricchito di fantasia e di fede, il prodigioso sbarco di una icona della Vergine, venerata con il titolo di Maria Santissima di Romania, nella quale tutta la tradizione religiosa di questa terra si riconosce.
L’icona originale venne perduta e quella attuale è del XV sec., di scuola giottesca.
III - Periodo normanno
L’ultimo vescovo greco fu Kalochiro, nominato da Roberto il Guiscardo nel 1066, al quale successe Giustino, il primo vescovo della nuova serie romana nel 1094.Lo stesso anno, il 10 dicembre 1094, il duca Ruggero Borsa, figlio di Roberto il Guiscardo, unì a Tropea la diocesi di Amantea.
Era però iniziata l’opera di rilatinizzazione compiuta dai normanni e che coinvolse anche Tropea.
Si tramanda che la chiesa cattedrale nel nuovo stile architettonico, edificata nei pressi della Porta di mare, fu un dono di Sickelgaita, la giovane longobarda moglie del conte Ruggero, ma l’edificazione del duomo ebbe inizio solo durante l’episcopato di Coridone (1179- 1194).
La politica ecclesiastica, oltre a ridurre notevolmente le presenze grecofone, favorì le istituzioni della Chiesa romana e gli ordini religiosi latini (certosini, benedettini, florensi), che beneficiarono del patrimonio delle istituzioni bizantine, le quali tuttavia conservarono a Tropea una presenza fino alla seconda metà del XIV sec., come attesta il copista Giorgio Taurozes che ha prodotto eucologi e copie di testi biblici giunti fino a noi.
All’ordine benedettino fu donata l’Isola, lo scoglio nel mare di fronte alla rupe su cui sorge la città, con la chiesa e il monastero che da allora e fino a oggi sono proprietà benedettina.
IV - Periodo delle dominazioni
Nel secondo millennio dell’era cristiana la diocesi di Tropea è composta dal territorio originario di Tropea e dintorni, denominato «diocesi superiore», e dal territorio di Amantea, denominato «diocesi inferiore » e che comprendeva la fascia costiera tra Lamezia e Paola, nettamente separati.Il vescovo poteva raggiungere il territorio amanteano via mare.
Il trapasso dai normanni alla casa sveva ebbe ripercussioni forti anche nella politica ecclesiastica e negli ultimi anni di Federico II anche Tropea subì una lunga vacanza, in conseguenza del conflitto che si era aperto fra trono e altare.
Va notato il significato politico e religioso della fondazione nel 1201 del monastero florense di Fontelaureato nel territorio di Fiumefreddo, approvato e sostenuto da Federico II e da Innocenzo III.
All’indomani della rivoluzione del Vespro (1282), Tropea fu al centro delle operazioni di battaglia tra le forze angioine e la flotta aragonese.
Il porto di Tropea assunse una rilevante funzione strategica e nella seconda metà del XIV . fu uno dei porti più frequentati del Tirreno e uno scalo assai qualificato del mare Mediterraneo per vastità di scambi.
Nel 1296 i frati minori si stabilirono anche a Tropea.
Quando nel 1410 la diocesi venne data in commenda, la dominazione angioina era ormai in declino.
Si risolse definitivamente la questione amanteana e Tropea diede consistenza alle sue prerogative demaniali richiamate orgogliosamente anche dal motto Sola Tropea in fidelitate remansit: dai sovrani aragonesi ottenne il titolo di città, ma anche la condizione di demanialità, che non sarebbe mai più venuta meno.
V - Periodo moderno
Tropea viene considerata una delle migliori zone agrarie della Calabria e la campagna costituì la base effettiva della fortuna del patriziato locale, che già in età angioina contava sessanta famiglie.La città costituiva assieme ai suoi ventiquattro casali una sola università e, quindi, una sola entità e amministrazione municipale.
Ciò fino al 1806, quando il decreto Championet dava l’autonomia ai liberi comuni di Drapia, Parghelia, Zambrone, Spilinga, Ricadi e Tropea nei quali veniva diviso tutto il territorio.
Il ceto patrizio esercitava una funzione egemone, con un «sedile» al quale successivamente si affiancò quello degli «onorati del popolo».
Il sistema fiscale colpiva soprattutto le popolazioni dei casali, tanto che nel territorio di Capo Vaticano nel 1561 insorse una protesta contro la gabella del grano, perché le imposizioni gravavano «gli poveri… li quali comprano il pane in piacza et non li ricchi li quali non comprano il pane».
I nobili tropeani e la Chiesa locale possedevano la maggior parte dei propri beni nel territorio dei casali.
Il conflitto sociale si andò acuendo per tutto il periodo del viceregno ed esplose in numerose rivolte nel 1643, nel 1721 e nel 1799 e fino al 1922.
L’opera della Chiesa locale conobbe fasi di grande decadimento e anche episodi di attenzione e sostegno al mondo contadino.
Dal 1221 e fino al 1556 quasi nessun vescovo risiedette nella sede episcopale prima di Giovan Matteo De Luca, che cercò di porre riparo ai disordini nella vita del clero.
Ma il suo successore, Pompeo Piccolomini d’Aragona, che fu trasferito dalla sede vescovile di Lanciano a quella di Tropea e prese parte al concilio di Trento, non venne mai in sede.
Solo con Gerolamo de Rusticis, che fu vescovo per ventitré anni a partire dal 1570, la chiesa tropeana cominciò a manifestare un reale dinamismo.
Molti ordini religiosi fondarono conventi a Tropea: i cappuccini (1590), i minimi di san Francesco di Paola (1543), i domenicani (nel 1581 ampliarono il convento eretto nel 1480), i carmelitani a Ricadi nel Capo Vaticano (1564).
A questi si aggiungeranno, a opera del vescovo Tommaso Calvo, succeduto nel 1593, un monastero di Santa Domenica in Tropea, tre di clarisse nel territorio di Amantea e i gesuiti nel 1600.
Durante il suo episcopato questo vescovo incise positivamente nella vita della diocesi, che visitò più volte, fondò monti di pietà ad Amantea, Fiumefreddo e Nocera e migliorò quello istituito a Tropea dal nobile Scipione Galluppi.
L’attuazione dei decreti del concilio di Trento fu opera soprattutto del vescovo Fabrizio Caracciolo che indisse il primo sinodo nel 1618 e fondò il seminario diocesano.
Nel corso del XVII sec. si inasprì la conflittualità tra il potere religioso e il potere politico.
La presenza di un numeroso clero diocesano e di tanti religiosi, ai quali nel 1618 si aggiunsero gli agostiniani scalzi, giovò certamente a dare forza all’istituzione ecclesiastica e favorì a Tropea lo sviluppo di un clima culturale che ha visto fiorire i fratelli Pietro e Roberto Bojano, ritenuti i fondatori della chirurgia plastica, il filosofo Quinzio Bongiovanni, il vescovo Teofilo Galluppi e il cardinale Vincenzo Lauro, oltre a numerosi rappresentanti dell’Accademia degli Affaticati.
In questo clima operò il vescovo Ambrogio Cordova (1633-1638), rinomato per la sua pietà e per la devozione mariana: nel 1636 celebrò un sinodo diocesano, ma la sua memoria è legata alla istituzione della festa della Madonna di Romania il 27 marzo, per ricordare la particolare protezione della Vergine che ha scampato Tropea da un disastroso terremoto nel 1638.
Con lui ebbe inizio la serie di vescovi spagnoli che si concluse con Lorenzo Ibañez (1697-1726).
Questi fu un vescovo molto attento a migliorare le condizioni della Chiesa diocesana e celebrò un sinodo che fu l’ultimo fino alla seconda metà del XIX . Gli ultimi vescovi, prima del concordato del 1818, sono quasi tutti napoletani.
Si distinse Felice Paù (1751-1782) di Terlizzi per una intensa attività rivolta alla formazione del clero per il quale dotò il seminario di docenti aperti alle novità del pensiero filosofico e politico europeo e ottenne l’antico monastero di San Michele Arcangelo che trasformò in seminario estivo e costruì Villa Felice come residenza vescovile in cima alla collina di Tropea.
Il successore, Giovan Vincenzo Manforte (1786-1798), dovette far fronte ai gravi danni materiali causati dal terremoto del 1783 e ai danni culturali e spirituali causati dalla cacciata dei gesuiti e dalla ventata rivoluzionaria che coinvolse anche Tropea con l’innalzamento dell’albero della libertà e con un attentato all’episcopio, che indussero il vescovo ad abbandonare la sede.
Quando nel 1798 il nuovo vescovo Gerardo Gregorio Mele (1798-1817) prese possesso, si rese conto della ingovernabilità e soccombette alla tristizia dei tempi che nel decennio francese si aprivano alle novità, tra forti contrasti civili e religiosi che generarono anarchia e brigantaggio.
Morì ad Amantea, mentre andava a rifugiarsi a Napoli.
Con lui finiva la serie dei vescovi di Tropea e con il concordato del 1818 venivano unite aeque principaliter la diocesi di Nicotera, resasi frattanto vacante, con quella di Tropea, e il nuovo vescovo della diocesi di Nicotera e Tropea fu Giovanni Tomasuolo (1818-1824).
Tra le figure più significative di questo periodo per importanza culturale vanno ricordati i fratelli Antonio e Giuseppe Grimaldi, pittori; Pasquale Galluppi, filosofo; Antonio Jerocades, poligrafo, prete massone, fondatore di molte logge.
Bibliographie
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Diözese von Tropea
Chiesa della Madonna di Romania
Diözesen
QUELLE
Le diocesi d'Italia, a cura di L. Mezzadri, M. Tagliaferri, E. Guerriero, Torino, San Paolo edizioni, 2007-2008, 3 volumi.