Kirchenregion Liguria
GESCHICHTE
I - Dalle origini al X sec.
Il territorio di quella che oggi chiamiamo Liguria costituiva la IX Regio italica dell’impero romano. Era attraversata da importanti strade romane, come la via Aemilia Scauri e la Julia Augusta. Inoltre la via Postumia congiungeva il Tirreno all’Adriatico. Fu questo l’ambiente geografico dell’epoca della prima evangelizzazione. Zona costiera, con diversi porti di facile accesso, è molto probabile che il cristianesimo vi sia giunto presto. Dal territorio di Luni fino a Intemelium, dalla seconda metà del III sec. andarono formandosi le prime comunità cristiane, sia pure con disuguale intensità e formazione. Le prime testimonianze sono iscrizioni tombali cristiane della zona di Finale Ligure. I primi vescovi di cui sono documentati la vita e il servizio pastorale sono i vescovi Diogene di Genova, che partecipò al concilio di Aquileia del 381, Innocenzo di Tortona, Quintius di Albenga (451) e Felice di Luni, che partecipò ai concili romani del 465 e 466. L’eventuale presenza di Martino di Tours nell’isola di Gallinaria farebbe anticipare di un secolo la documentazione della presenza cristiana in territorio ligure. È sufficientemente acquisito per Genova che vi furono dei vescovi almeno dall’inizio del IV sec., tra cui san Siro, a cui la tradizione attribuisce una forte attività di apostolato cristiano. Con le invasioni barbariche, il quadro mutò progressivamente. Il primo inserimento dei longobardi in Italia a partire dal 568 non toccò la fascia costiera e la dorsale appenninica del territorio oggi chiamato Liguria. Il 3 settembre 569, Alboino e i suoi occupavano Milano togliendola ai bizantini: l’arcivescovo Onorato con il clero della cattedrale e alcuni notabili laici valicarono l’Appennino lungo la via Postumia e trovarono rifugio a Genova. Nel 643 il re Rotari, approfittando del fatto che i bizantini erano occupati a contrastare l’espansione araba, conquistò tutta la fascia costiera. L’arcivescovo di Milano Giovanni Buono, residente a Genova, lasciò la città e non senza superare divergenze rientrò nella sede milanese. La Chiesa genovese mantenne il legame con Milano, come sede suffraganea. In epoca carolingia, in Liguria si distinse per zelo e capacità pastorale il vescovo Sabatino, che partecipò al sinodo di Ravenna. Convocato da papa Giovanni VIII, accolse il pontefice a Genova nella primavera dell’878 e fece da collegamento tra il papa e la corte imperiale.II - Dal X al XV sec.
La pressione musulmana si fece sentire con scorrerie lungo tutto l’arco costiero con saccheggi, depredazioni e distruzioni. Particolarmente gravi furono le incursioni del 934-935. Nel X sec. la Chiesa in Liguria prese maggiormente forma e i vescovi diventarono generalmente le figure di spicco e di riferimento nelle città più importanti. Il vescovo Teodolfo resse la Chiesa genovese per circa trentacinque anni. Intorno al 945 restaurò le chiese e riorganizzò la gerarchia ecclesiale curandone anche gli aspetti economici. Progressivamente i vescovi genovesi affermarono l’importanza del loro ruolo nella vita della città. Durante l’episcopato di Teodolfo fu fondato il primo monastero benedettino, alle porte di Genova, intitolato a santo Stefano. Le prime fondazioni monastiche in ambiente ligure furono legate a san Colombano e ai monaci di Bobbio. La riforma ecclesiale, prima e durante il pontificato di Gregorio VII, con le vicende legate alla lotta per le investiture, vide nei vescovi liguri atteggiamenti e prese di posizione differenti. Il vescovo di Genova Oberto prese parte al sinodo lateranense del 1059, in cui vennero trattati importanti argomenti di riforma, ma quando lo scontro tra Gregorio VII ed Enrico IV si fece più netto, il presule genovese si mostrò filoimperiale, mentre quello di Savona parteggiò per il papa. I successori di Oberto si mossero sulla stessa linea. La scomunica colpì i presuli genovesi e molti altri della stessa provincia ecclesiastica nel 1074 e nel 1095 non era ancora stata revocata. Urbano II fece appello anche a Genova per invitarla alla prima crociata fin dal 1096. La risposta fu inizialmente divergente: da un lato vi erano quelli che non volevano alterare i rapporti commerciali esistenti con il mondo islamico, dall’altro quelli che aderivano favorevolmente. Prevalse, infine, la partecipazione. La flotta genovese si affermò come potenza con alcune significative vittorie e partecipò in maniera determinante alla riu scita della prima crociata. Dall’Oriente arrivarono reliquie tuttora conservate, come quelle di san Giovanni Battista (1099), il «Sacro Catino» che secondo la tradizione sarebbe quello dell’ultima cena, e numerose altre, soprattutto quelle della Santa Croce. Tra il X e l’XI sec. la Liguria assistette a un intenso moto di fervore religioso: alla fine del X sec. sorse sul promontorio di Portofino il monastero di San Fruttuoso di Capodimonte. Nel 1007 il vescovo Giovanni favorì l’insediamento di monaci benedettini presso la chiesa di San Siro e altri centri monastici di minore importanza. Vi fu successivamente a Genova e in Liguria l’insediamento di vallombrosani, canonici regolari di Mortara, cisterciensi. Nel 1132 san Bernardo di Chiaravalle visitò Genova. Nei secoli successivi crebbe la presenza, che divenne sempre più importante, degli ordini mendicanti, tra cui francescani e domenicani, che si inserirono in tutte le diocesi liguri. A partire dal XIII sec. si ebbe per tutti i secoli successivi un domenicano come arcivescovo di Genova. La vita monastica femminile fu significativa e vivace sempre a partire dallo stesso periodo, in particolare con le abbazie delle monache cisterciensi. L’arcivescovo di Genova Guido Sette, uomo di grande cultura e spiritualità, sostenne la fondazione di San Gerolamo della Cervara sul promontorio di Portofino, un convento benedettino di stretta osservanza. Nel 1388 gli olivetani si stabilirono a San Gerolamo di Quarto.III - La sede arcivescovile di Genova
Il 20 marzo 1133 con la bolla Justus Dominus datata da Grosseto, il papa Innocenzo II distaccava il vescovado di Genova dalla sede metropolitana di Milano, lo erigeva come sede arcivescovile e promuoveva come arcivescovo Siro II, detto «dei Porcello». Era il riconoscimento di una situazione di prestigio e di forza che toccava diversi aspetti non solo religiosi, ma anche politici ed economici. I motivi per cui Genova venne staccata dalla sede metropolitana milanese vanno considerati nel contesto del tempo, cioè lo scisma del 1130, quando all’elezione di Innocenzo II si contrappose la figura dell’antipapa Anacleto II. Innocenzo II scappò da Roma, si diresse verso Pisa e nell’estate si trovò a Genova, passò in Francia e il 18 novembre 1130 tenne un concilio a Clermont dove inaugurò il suo programma di riforma tramite l’emanazione di canoni concernenti essenzialmente la disciplina ecclesiastica. Genova sosteneva Innocenzo e il pontefice per esaltare la dignità della città e portarla allo stesso livello di Pisa, e specialmente per nuocere a Milano, che era scismatica, eresse in arcidiocesi la diocesi di Genova, riducendo così notevolmente il territorio sottoposto al metropolita milanese. Anche Pisa si vide accresciuta l’estensione dell’arcidiocesi. Alla nuova sede metropolitana erano assegnati come suffraganei i tre vescovadi di Mariana, Nebbio e Accia San Pietro in Corsica, già dipendenti da Pisa, quello di Bobbio, tolto a Milano, e inoltre Brugnato in terraferma: vescovado questo che il papa aveva stabilito di erigere, come di fatto avvenne il 27 maggio 1133 con la bolla Quemadmodum Sedes Apostolica, sopprimendo l’antico monastero benedettino dei Santi Lorenzo e Colombano, esistente nel territorio della diocesi di Luni. Dal 21 gennaio al 25 marzo 1161 Alessandro III soggiornò a Genova e prima di partire confermò solennemente i diritti preesistenti e ne concesse di nuovi. Tra questi, papa Bandinelli attribuiva all’arcivescovo di Genova il titolo di «Legato Transmarino della Sede apostolica», dato il ruolo che Genova aveva e poteva avere in maniera più accresciuta nel Mediterraneo. Un successivo sviluppo vi fu quando Alessandro III volle estendere la giurisdizione di Genova, e con la bolla Superna et inefabilis del 9 aprile 1161 le sottoponeva il vescovado di Albenga, in quel tempo dipendente da Milano, il monastero della Gallinaria, di diritto della Chiesa romana e Ecclesia in Castro et suburbio Portus Veneris, togliendolo dalla giurisdizione di Luni. Clemente III, nel 1187-1188, e Celestino III il 10 marzo 1192 confermarono a loro volta le disposizioni di Innocenzo II e di Alessandro III. Le disposizioni emanate si realizzarono di fatto l’8 luglio 1213, quando Albenga, soltanto dopo un forte richiamo di Innocenzo III, si decise finalmente a passare al metropolita di Genova e a dare esecuzione a quanto stabilito. Nel 1248 Innocenzo IV, genovese, assegnava alla diocesi di Genova le pievi di Montoggio, Gavi, Pastorana, Voltaggio e Borgo Fornari. Nel 1239 Gregorio IX erigeva il vescovado di Noli, smembrando la diocesi di Savona, e lo univa a Brugnato. Genova acquistava così una nuova diocesi suffraganea. Questa unione durò poco tempo, perché nel 1247 Innocenzo IV separava Brugnato da Noli. Quest’ultima diventava così diocesi a sé stante ed essendo insufficienti, per non dire poveri, i beni della mensa episcopale, il papa la univa al monastero di Sant’Eugenio, Insule Ligurie (Bergeggi), e il vescovo assumeva pertanto anche il titolo di abate di Sant’Eugenio in data 6 febbraio 1253.IV - Sinodi provinciali liguri
Durante il servizio episcopale dell’arcivescovo Ottone Ghilini venne indetto un sinodo provinciale che si tenne dal 6 all’8 aprile 1216 «per dare esecuzione ai decreti del concilio ecumenico Lateranense IV» a cui l’arcivescovo aveva partecipato. Vi intervennero i vescovi di Albenga e Brugnato, abati, canonici, arcipreti e altri ecclesiastici. Gli atti sinodali sono andati smarriti, ma dagli annali del tempo sappiamo che tra i vari argomenti si trattò della partecipazione con mezzi e persone alla quinta crociata, predicata poco dopo da Jacques de Vitry e dal cardinale Ugolino di Ostia, che poi divenne papa con il nome di Gregorio IX. Lo stesso arcivescovo presiedette un altro sinodo provinciale che si celebrò il 4 maggio 1237. Vi parteciparono i vescovi di Albenga, Nebbio, Mariana e Accia, i canonici di San Lorenzo, gli abati di San Siro, Santo Stefano e San Fruttuoso di Capodimonte e inoltre numerosi rappresentanti del clero venuti da varie zone della provincia ecclesiastica ligure. Nel 1293 l’arcivescovo da poco nominato, ossia il domenicano Jacopo da Varazze, tenne il concilio provinciale a cui intervennero, direttamente o per procuratore, tutti i vescovi della provincia ecclesiastica a eccezione di Accia, allora vacante. Non ne possediamo gli atti se non parzialmente. Ne ricaviamo che venne ribadita una costituzione del 1289 in cui si trattava della disciplina ecclesiastica. Veniva ricordato ai chierici di portare l’abito clericale con la tonsura, pena la privazione dei privilegi clericali. Il concilio trattò anche della questione riguardante le reliquie di san Siro, vescovo di Genova, ma che non approdò a risultati significativi. Porchetto Spinola, divenuto arcivescovo nel febbraio 1299, indisse un sinodo provinciale per il 5 maggio 1310. Vi parteciparono i vescovi di Noli, di Accia in Corsica, mentre l’abate di Gallinaria rappresentava, come procuratore, i vescovi di Nebbio e Mariana. Parteciparono inoltre il capitolo di San Lorenzo, gli abati di San Siro, Santo Stefano, San Fruttuoso di Capodimonte e numerosa rappresentanza di clero. I padri sinodali rinnovarono «una convenzione con il Comune di Genova» concernente i privilegi del clero. Passarono oltre sessant’anni fino a quan - do l’arcivescovo Andrea Della Torre convocò un nuovo concilio provinciale: si celebrò il 15 maggio 1375 nella cattedrale di San Lorenzo mentre le adunanze di carattere extraliturgico si tennero nel palazzo arcivescovile. Vi parteciparono i vescovi di Albenga, Noli e Brugnato mentre furono assenti quelli della Corsica. Per quanto riguarda i sacramenti fu prescritto di conservare l’eucarestia per i malati con l’obbligo di rinnovare le specie consacrate almeno una volta al mese. A proposito della disciplina penitenziale si stabilì che i confessori dovevano essere approvati dal loro rispettivo ordinario, dovevano prestarsi per questo ministero e, quando ascoltavano le confessioni delle donne, dovevano essere sempre in vista del pubblico. Si trattò anche dei casi riservati ai vescovi e si dichiarò che i religiosi non dovevano essere esclusi dal ministero delle confessioni, eccetto i claustrali. Ai parroci era proibito di ascoltare le confessioni di fedeli non residenti nell’ambito della loro parrocchia. Per quanto riguarda la celebrazione del matrimonio venivano emanate norme per la pubblicazione in chiesa e si ricordava i tempi in cui era proibito solennizzare le nozze. Inoltre vennero date disposizioni riguardanti il digiuno, le feste, gli abusi, le decime, le questue, l’usura. Lo stesso arcivescovo Andrea Della Torre tenne un altro concilio provinciale il 27 aprile 1377.V - Tra scisma e riforme
Gregorio IX, lasciando Avignone, costeggiò la Liguria e si fermò a San Girolamo della Cervara. Dopo la sua morte, si aprì il grande scisma. Genova fu di obbedienza romana: infatti Urbano VI passò oltre un anno nel palazzo della commenda di San Giovanni di Prè. Non mancò successivamente la presenza dell’antipapa Benedetto XIII e predicò a suo favore il domenicano Vincenzo Ferrer. Prima della fine dello scisma, la città passò all’obbedienza pisana. Nel XV sec. il mondo ecclesiale ligure ebbe problemi comuni a tutto il mondo cattolico. Papa Eugenio IV, che desiderava la riforma della Chiesa, cercò di appoggiarsi su uomini fedeli e sensibili. L’ambiente ligure da parte sua fu sordo alle nuove esigenze, ma al tempo stesso offrì figure eminenti per spiritualità e attività: Vincenzo da Finale, Battista da Levanto e Benigno Peri. Anche nella Repubblica di Genova, come costume diffuso ovunque in Italia e in Europa, i governi tendevano a interessarsi delle strutture ecclesiastiche, a controllarle e a servirsene. In questo periodo la Chiesa istituzionale era dominata dal mondo politico, era debole di fronte al governo civile e alla forte ingerenza delle grandi famiglie. Paolo Campofregoso, sostenuto dalla sua potentissima famiglia, fu arcivescovo di Genova dal 1452 al 1498: era tanto inserito nella vita politica da imporsi come doge per ben tre volte. Agli inizi del Quattrocento si insediarono in Genova e dintorni i canonici regolari di san Giorgio in Alga, i serviti, gli eremitani di sant’Agostino, i benedettini di santa Giustina, i francescani dell’osservanza, i minimi di san Francesco da Paola, i canonici lateranensi. A partire dal 1421 la Cervara diventò «il centro propulsore di una piccola congregazione che si estendeva su Liguria e Piemonte» e arrivò a Milano e Parma. Nel genovesato infuse nuova vita a San Benigno di Capodifaro, San Giuliano di Albaro, San Fruttuoso di Capodimonte. Una presenza significativa fu quella di san Bernardino da Siena che sovente passò e predicò per la Liguria nei suoi spostamenti dalla Toscana. Predicò nell’Avvento del 1417 e nella Quaresima del 1418. Bernardino tenne a Genova, quale vicario generale, il capitolo dei francescani osservanti. Una vita religiosa vivace e fervente si manifestò anche negli ambienti laicali, soprattutto nelle confraternite che svilupparono una rete assistenziale e caritativa di notevole interesse. L’arcivescovo di Genova Pileo De Marini fondò l’«Ufficio di Misericordia». Nel 1422 il giurista Bartolomeo Bosco fondò l’ospedale Pammatone, dove qualche decennio dopo svolse il suo apostolato spirituale e il suo servizio assistenziale Caterina Fieschi Adorno (1447-1510) che, con l’aiuto di Ettore Vernazza e di alcuni sacerdoti e laici impegnati, diede vita all’oratorio del Divino Amore e al Ridotto degli Incurabili: aperto nel 1499 fu un modello per tutta la Liguria e l’Italia. L’influsso di Caterina si fece sentire anche nei secoli successivi. La Liguria tra Quattrocento e Cinquecento offrì alla Chiesa quattro papi: Nicolò V di Sarzana, Sisto IV e Giulio II di Savona, Innocenzo VIII di Genova. Inoltre, va ricordato che furono numerosi i cardinali e i prelati liguri che lavorarono nella curia romana, rivestendo diverse cariche di notevole importanza.VI - La Chiesa in Liguria tra Rinascimento e Illuminismo
Per quanto attiene ai cambiamenti relativi alla circoscrizione provinciale, non ne intervennero fino al 1502, quando la sede metropolitana di Genova ebbe come suffraganei i vescovi di Accia, Mariana e Nebbio nell’isola di Corsica, Brugnato, Bobbio, Albenga e Noli in terraferma. Il 24 gennaio 1502 con la traslazione di monsignor Domenico Vacchiero da Noli a Ventimiglia, la sede di Noli venne unita a un’altra diocesi, ma questa volta più ragionevolmente, cioè a Savona. L’8 gennaio 1504 Noli venne nuovamente provvista di vescovo proprio, restando sempre sotto il metropolita genovese. Una permuta di parrocchie avvenne con Leone X: infatti il vescovo di Brugnato, Filippo Sauli, già vicario generale dell’arcivescovo di Genova, Giovanni Maria Sforza, desiderava un lembo di terra diocesana che scendesse al mare per le valli e i monti della sua diocesi. Il papa accondiscese alla richiesta con la bolla Cum sit del 28 gennaio 1518, seguita da una convenzione del 10 maggio 1519 tra lo Sforza e il Sauli. Con essa il papa contentò il Sauli e stabilì che Genova cedesse a Brugnato una quindicina di località, mentre Brugnato cedette alcune località sui monti. Un mutamento toccò alla piccola diocesi di San Pietro d’Accia in Corsica, la quale da Pio IV, il 30 gennaio 1563, era stata unita a Mariana: per conseguenza il vescovo, il carmelitano Giulio de Superchiis di Mantova, venne trasferito alla sede di Caorle. La Chiesa in Liguria non conobbe problemi legati alle adesioni al protestantesimo nelle sue varie espressioni, se non in alcuni nobili e mercanti che simpatizzarono per le idee riformate, ma il tutto ebbe carattere episodico, fatta eccezione per la zona montana della diocesi di Ventimiglia, che era stata sotto la Francia, dove invece la riforma aveva attecchito. Questa situazione tuttavia non la esentava dalla necessità di una forte azione di riforma ecclesiale di cui c’era veramente bisogno. L’attuazione dei decreti del concilio di Trento avvenne subito soprattutto attraverso l’opera di alcuni vescovi che avendo partecipato all’assemblea conciliare ne desideravano l’applicazione. Monsignor Carlo Cicada fu il primo in Liguria a convocare il sinodo diocesano l’8 maggio 1564. Seguì in giugno quello promosso da Carlo Visconti per Ventimiglia. Sempre nello stesso anno ad agosto il vicario generale di Savona convocò il sinodo per ordine del vescovo Giovanni Ambrogio Fieschi, che ne tenne un secondo nel novembre seguente. Si aprirono seminari e si iniziarono le visite pastorali raggiungendo le località più impervie e anche i borghi di poche case. Un punto di forza, sempre per verificare e incrementare l’attuazione dei decreti tridentini, furono le visite apostoliche promosse da Gregorio XIII. Monsignor Francesco Bossi visitò la diocesi di Genova e di Brugnato, monsignor Nicola Mascardi le diocesi di Savona, Noli, Albenga e Ventimiglia, monsignor Girolamo Ragazzoni la diocesi di Tortona e monsignor Angelo Peruzzi la diocesi di Sarzana, all’epoca direttamente soggetta alla Sede apostolica. Le diocesi della Corsica furono anch’esse visitate dal Mascardi. È interessante notare che questi prelati che fecero la visita apostolica erano legati a diverso titolo all’arcivescovo di Milano Carlo Borromeo. Notevole importanza rivestì sempre in quest’ottica il sinodo provinciale che si tenne nel 1574 (l’approvazione da parte degli organismi competenti della curia romana porta la data del 9 novembre 1574). Il testo a stampa è del 1575. Il concilio provinciale venne presieduto dall’arcivescovo Cipriano Pallavicini (arcivescovo dal 1567 al 1586). Vi parteciparono i vescovi suffraganei di Albenga, Accia, Brugnato, Luni, Nebbio, Noli, Sarzana e il procuratore del vescovo di Bobbio. Si trattava di applicare i decreti tridentini alle diocesi liguri. Il lavoro fu nutrito. Il concilio emanò infatti quarantasei decreti che trattavano i temi più svariati: magia, divinazione, incantesimi, superstizione, formazione dei chierici poveri, insegnamento della dottrina cristiana, sacramenti, reliquie, immagini, luoghi sacri, suppellettili di chiesa, altari, cimiteri e immunità. Ancora: norme per l’elezione dei vescovi, vacanza delle sedi episcopali, sepoltura dei vescovi, obbligo del vescovo di risiedere nella sua diocesi, benefici ecclesiastici, cura d’anime, proibizione di accumulare benefici, religiosi e religiose, regole per i sacerdoti e i cappellani che non esercitavano cura d’anime, amministrazione dei beni ecclesiastici, funerali, indulgenze, feste e tribunali diocesani. Tra Cinque e Seicento la Liguria e in particolare la città di Genova ebbero un notevole incremento di comunità religiose maschili e femminili che rappresentarono una presenza vivace e qualificata. Si insediarono i teatini, i gesuiti, i cappuccini, i carmelitani riformati di Teresa d’Avila, cui seguirono i barnabiti, i somaschi, gli scolopi, gli oratoriani di Filippo Neri e i Preti della missione di san Vincenzo de Paoli. Queste numerose comunità si dedicarono alla predicazione, alla direzione spirituale, alla cura dei poveri e dei malati, alla formazione dei giovani, all’insegnamento del catechismo, all’assistenza delle confraternite e delle associazioni laicali. Nel corso del Seicento proseguì l’impegno per l’attuazione della volontà dei padri conciliari di Trento che avevano posto l’attività della Chiesa sotto il segno della pastoralità. La cura animarum nel Seicento divenne sempre più marcatamente una viva e sentita preoccupazione, portata avanti con coraggio e determinazione, nono stante gli ostacoli frapposti. In questo senso, un aspetto rilevante fu la creazione di nuove parrocchie, al fine di assicurare un servizio pastorale adeguato ed efficace. Nelle diocesi liguri si svilupparono i tratti di una vita ecclesiale e di una religiosità popolare, che se potevano avere talvolta tono trionfalistico e apologetico, almeno inizialmente, erano però solide e fecero sentire, per diversi aspetti, il loro influsso fino alle soglie del Vaticano II. Figure di vescovi di sicuro impegno pastorale furono Pier Francesco Costa di Albenga, Stefano Durazzo di Genova e Mauro Promontorio, vescovo di Ventimiglia dal 1654 al 1685.VII - Missioni popolari
Come nella maggior parte dell’Italia, anche in Liguria le missioni popolari o parrocchiali rappresentarono dalla seconda metà del Seicento, per tutto il Settecento e l’Ottocento e per molti aspetti fino alla metà del secolo successivo, la forma pastorale più efficace e sentita. Missionari appartenenti a diverse comunità: francescani, cappuccini, gesuiti, missionari vincenziani e passionisti batterono a tappeto i villaggi rivieraschi e i paesi dell’entroterra per annunciare il Vangelo, condurre opera di pacificazione, suscitare un impegno di carità e di vita cristiana rinnovata. In Liguria, oltre alle comunità di diffusione internazionale sorsero i Missionari urbani o di san Carlo, fondati nel 1653 dal cardinale Stefano Durazzo e i Missionari rurali fondati da Domenico Francesco Olivieri e Francesco Ferralasco. Un altro noto missionario ligure fu Francesco Maria Imperiali (1692-1770). Ammiratore di san Vincenzo, fondò i missionari detti Imperiali, che predicarono missioni in Lazio, Umbria, Marche, Lombardia e Liguria. La loro attività fu così apprezzata che Benedetto XIV diede all’Imperiali e ai suoi collaboratori il titolo di «missionari apostolici ». Numerosi furono i missionari che passarono nelle località della Liguria: ricordiamo i gesuiti Paolo Segneri e Gian Pietro Pinamonti, i lazzaristi Guglielmo Martinengo e Andrea Lavagna. In maniera del tutto particolare va ricordato il francescano Leonardo da Porto Maurizio. Nel corso del Settecento i rapporti tra Stato e Chiesa in Liguria furono ancora più marcatamente segnati dal giurisdizionalismo come già in passato, ma con momenti di altissima tensione. Nel febbraio 1762 veniva votata una legge che limitava i testamenti a favore delle chiese. Si trattava di una delle prime leggi di questo tipo approvate in Italia. Uno scontro ancora più duro era avvenuto nel 1760, quando alla nomina del visitatore apostolico per la Corsica, monsignor Cesare Crescenzio De Angelis (1705-1765), vescovo di Segni, la Repubblica reagì con un editto che prometteva una taglia di «6000 scudi a chi lo avesse catturato e consegnato alle autorità della Serenissima». Clemente XIII, a sua volta, comminò l’interdetto sul territorio della Repubblica. Con il trattato di Versailles del 16 giugno 1768, la Corsica passava dalla Repubblica di Genova al Regno di Francia, mentre l’isola di Capraia, già sotto Genova dal 1507 e forse dal 1430, restava a Genova. Cominciarono già nel 1791 le trattative per la revisione del numero e dei confini delle diocesi della Corsica. La nazione corsa nel 1795, in piena rivoluzione francese, domandava alla Santa Sede: «I Vescovi di Corsica siano liberati dalla suffraganeità degli arcivescovi di Pisa e di Genova e le parrocchie di Bonifacio e suo territorio siano staccate da Genova e unite alla Diocesi di Ajaccio» (art. 6). La Santa Sede il 30 settembre 1795 rispondeva che chi agisce per la nazione corsa deve far parte di ciò al granduca di Toscana e alla Repubblica di Genova e ottenere il consenso degli arcivescovi di Pisa e di Genova. Premesso ciò, la Sede apostolica assicurava di condiscendere all’istanza. Ulteriore mutazione avvenne nella diocesi di Brugnato il 4 luglio 1787: con la bolla di Pio VI In suprema, Brugnato cedeva alla nuova diocesi di Pontremoli tre parrocchie, cioè San Pietro in Pontremoli, Santa Maria di Teglia e San Lorenzo di Zeri. In seguito, con decreto della sacra congregazione concistoriale del 9 agosto 1854, perderà a favore di Pontremoli altre due parrocchie, San Michele di Gotra e Santa Maria di Buzzò. La Repubblica di Genova, pur avendo mantenuto fino a quel momento rapporti buoni con i gesuiti, aderì subito alla soppressione della Compagnia di Gesù. A un mese dalla Dominus ac Redemptor con il decreto del 27 agosto 1773, prima ancora che la notizia fosse notificata dall’arcivescovo, il Senato della Serenissima nominava una deputazione per l’incameramento e la destinazione dei beni appartenenti ai gesuiti su tutto il territorio della Repubblica. La soppressione giunse inaspettata per la maggior parte della popolazione e lasciò un vuoto difficile da colmare, anche perché i gesuiti dirigevano l’università. L’uscita di scena della Compagnia sgombrò il campo e lasciò più libera azione a quanti erano giansenisti o simpatizzavano per questi ultimi. Intanto, idee di sapore illuministico attecchivano sempre più in alcuni ambienti della nobiltà e della borghesia. Il giansenismo ligure aveva preso avvio, nella seconda metà del Settecento, con gli scolopi Martino Natali e Giovanni Battista Molinelli e con Paolo Marcello Del Mare, che erano in contatto con i circoli giansenisti di Roma, di Pavia e della Toscana. L’esponente di maggior spicco, entusiasmo, impegno e influenza fu Eustachio Degola (1761-1824), che oltre a essere in contatto con i giansenisti italiani era anche in collegamento con Henri Grégoire e la Chiesa di Utrecht. Tra i vescovi liguri di sicura adesione al giansenismo, definito addirittura «un giansenista di gran classe», vi fu il domenicano Benedetto Solari (1742-1814) dal 1778 vescovo di Noli. Questi si oppose alla bolla Auctorem fidei che condannava il sinodo di Pistoia del 1786, con uno scritto che ne spiegava i motivi, a cui rispose il cardinale Giacinto Sigismondo Gerdil. Il Solari, spinto dal Degola, lavorò nella commissione incaricata di redigere il progetto di costituzione della Repubblica ligure, ma non giunse all’estremo; infatti rifiutò di partecipare alla consacrazione episcopale di Giovanni Battista Calleri, che il Degola e i suoi seguaci volevano imporre come coadiutore all’anziano arcivescovo di Genova Giovanni Lercari. Un altro vescovo di stampo giansenista fu il domenicano Angelo Vincenzo Dania (1744-1818), dal 1778 vescovo di Albenga: anche in lui si coglie l’adesione all’ecclesiologia gallicana. Favorevole a Napoleone, fu vicesegretario al concilio nazionale di Parigi del 1811. Una volta scoppiata la rivoluzione in Francia, agenti francesi operarono sul territorio della Repubblica «con un intenso lavorio per un trionfo delle idee rivoluzionarie ». Soprattutto in Genova le nuove idee trovarono un terreno favorevole e un’aperta simpatia nella borghesia intellettuale. Il momento culminante dei giansenisti liguri si manifestò durante la Repubblica democratica ligure. Soltanto nei seguaci della rivoluzione i giansenisti potevano sperare aiuto per realizzare una Chiesa nazionale. Secondo alcuni studiosi l’adesione fu più «il frutto di circostanze (ambientali e psicologiche) che di convinzioni, più insipiente che perversa». Il Degola fu in costante contatto con l’ambiente rivoluzionario francese. Fondò gli «Annali politico ecclesiastici», cercò di promuovere i Missionari nazionali e tentò di realizzare una sorta di Chiesa nazionale ligure, applicando la costituzione civile del clero alla Repubblica ligure. I Missionari nazionali avevano il compito di predicare il verbo democratico al popolo dei villaggi, dei paesi, delle vallate e lungo le due riviere. L’occupazione austriaca di Genova nel 1800 pose fine a questi progetti Il successivo ritorno dei francesi non risollevò le sorti del giansenismo ligure, anzi la nuova politica ecclesiastica di Napoleone sbarrò la strada a ogni velleità, perché andava in direzione opposta e cercava nella Chiesa e nel papa un appoggio per costruire una sicura base di consenso.VIII - L’epoca napoleonica
Con l’avvento di Napoleone si ebbe ben presto l’inizio delle trattative tra la Santa Sede e la Francia, che furono laboriose. Il 15 luglio 1801, a Parigi, il cardinale Ercole Consalvi, plenipotenziario di Pio VII, e Giuseppe Bonaparte, plenipotenziario del Primo console, firmavano un concordato, ratificato da Pio VII con bolla Ecclesia Christi in data 15 agosto 1801. Per dar luogo alla nuova circoscrizione delle diocesi voluta dal Primo console, si invitavano i vescovi francesi, con il breve Tam multa del 15 agosto 1801, a rinunziare alle loro sedi. La nuova circoscrizione delle diocesi di Francia veniva stabilita dalla bolla Qui Christi Domini e l’esecuzione affidata al legato pontificio Giovanni Battista Caprara, con decreto del 29 novembre 1801. Con le altre diocesi di Francia furono soppresse Nebbio, Mariana e Accia in Corsica, furono tolti i diritti spettanti alla sede metropolitana di Genova e fu creata l’unica diocesi di Ajaccio, suffraganea di Aix-en-Provence. Il 1° giugno 1803 la bolla Ob extraordinariam rerum exigentiam mutava le circoscrizioni diocesane del Piemonte. L’esecuzione era affidata anche questa volta al Caprara. Con queste mutazioni veniva soppressa la diocesi di Bobbio e cinque parrocchie oltre il passo dei Giovi erano assegnate a diocesi piemontesi. Dopo che Napoleone assunse nel 1805 la corona d’Italia ed estese i suoi domini sui ducati di Parma, Piacenza, Guastalla e anche sulla Liguria, chiese alla Santa Sede di rivedere i confini delle diocesi, in modo che corrispondessero alle circoscrizioni civili e militari. Pio VII accolse la proposta e con la bolla Nonis Aprilis 1806 stabilì che le sedi suddette, a eccezione di Borgo San Donnino, passassero alla sede metropolitana di Genova, mentre Ventimiglia, prima suffraganea di Milano, passò a Aixen- Provence. Questa situazione durò circa dodici anni ed ebbe termine con la caduta di Napoleone. In quegli anni la Liguria fu sotto gli occhi di tutti a causa della prigionia di Pio VII a Savona, nel periodo in cui il contrasto tra il papa e l’imperatore fu più acuto. Ai primi di luglio del 1809 Napoleone aveva fatto arrestare Pio VII che giunse ad agosto a Savona dove rimase fino al 9 giugno 1811. Prelevato da Savona venne trasferito a Fontainebleau, dove arrivò il 19 giugno seguente. Pio VII poté rientrare a Roma soltanto nel maggio del 1814.IX - La pietà mariana
Un aspetto importante della pietà cristiana di tutta la Liguria è la devozione a Maria. La tradizione mariana antichissima ebbe una dimostrazione molto forte quando nel 1637 i serenissimi collegi della Repubblica emanarono un decreto con il quale Maria era dichiarata «regina di Genova e di tutto il dominio». Avevano sostenuto l’iniziativa il cappuccino Zaccaria Boverio da Saluzzo e Virginia Centurione Bracelli. Il 25 marzo dello stesso anno avvenne la solenne incoronazione di una statua della Vergine che teneva lo scettro nella destra e Gesù con un cartiglio recante la scritta Et rege eos. Va inoltre ricordato che l’Immacolata era patrona della Repubblica di Genova. I santuari dedicati alla Santa Vergine sono una sessantina, e alcuni molto antichi. Essi, a partire dall’Ottocento, ebbero un notevole incremento. Molti di questi santuari sono situati sulle cime dei monti che dominano il mare o le vallate interne. Partendo dalla Madonna di Soviore presso Monterosso, ricordiamo il santuario di Montallegro sopra Rapallo, Nostra Signora del Boschetto a Camogli, la Madonna del Monte di Genova, Santa Maria del Garbo di Rivarolo, il santuario di Coronata, quello dell’Acquasanta di Voltri, Nostra Signora della Vittoria ai Giovi, la Madonna del Soccorso a Pietra Ligure e poi i due più celebri: il santuario della Misericordia di Savona e la basilica della Guardia, che dalla seconda metà dell’Ottocento divenne progressivamente «il Santuario principe della ligure terra», secondo la definizione data da Benedetto XV. Va inoltre ricordato che non solo Genova, ma molte altre località e borghi della Liguria hanno numerosissime edicole, agli angoli delle vie o delle piazze, dedicate alla Madre di Dio. Una pietà mariana radicata, sentita e diffusa.X - La Restaurazione
Dopo la caduta di Napoleone, il territorio della Repubblica di Genova entrò a far parte degli Stati sabaudi. Con la Restaurazione si cercò in molti casi di tornare alla situazione quo ante e i vari sovrani italiani si affrettarono a domandare alla Santa Sede di ripristinare le antiche circoscrizioni. L’imperatrice Maria Luigia d’Austria chiese che i vescovi dei suoi stati fossero indipendenti dal metropolita di Genova e venissero dichiarati soggetti immediatamente alla Santa Sede. Pio VII, con la bolla Sollicitudo omnium del 29 marzo 1818, soddisfece le richieste di Maria Luigia e così Parma, Piacenza e Borgo San Donnino vennero nuovamente tolte al metropolita di Genova. Essendo stata soppressa dal congresso di Vienna la Repubblica di Genova, il nuovo sovrano della Liguria, Vittorio Emanuele I re di Sardegna, desiderava che il pontefice disponesse la nuova erezione delle nove diocesi soppresse nel 1803. Vennero ripristinate, con le altre sette diocesi, anche quelle di Bobbio e di Tortona, con la bolla pontificia Beati Petri Apostolorum Principis di Pio VII del 16 agosto 1817. Fu nominato esecutore apostolico il cardinale Paolo Giuseppe Solaro. Bobbio ritornava alla sede metropolitana genovese, alla quale venivano assegnate anche Tortona, prima del 1803 soggetta a Milano, e Nizza, già di Aix-en-Provence. Nello stesso periodo l’isola di Capraia, separata dalla città e dalla diocesi di Ajaccio, ritornava a Genova. Abbiamo pertanto le seguenti suffraganee di Genova: Albenga, Bobbio, Brugnato, Nizza, Noli, Savona e Tortona. Inoltre il re di Sardegna, Vittorio Emanuele I, fece conoscere a Pio VII la convenienza della definitiva unione della diocesi di Brugnato a Sarzana e di quella di Noli a Savona, a causa della poca popolazione e dell’esiguità dei redditi delle mense vescovili. Pio VII, con decreto della concistoriale del 13 agosto 1820, tenendo in considerazione l’esposto, diede incarico all’arcivescovo di Genova, monsignor Luigi Lambruschini, di redigere come delegato apostolico il relativo processo, assumendo le informazioni opportune sulla necessità e sull’utilità di addivenire alle progettate unioni, inviandogli opportuna istruzione. Monsignor Lambruschini eseguì il mandato e il 2 settembre 1820 inviò a Roma la sua relazione, concludendo «che è utile e necessaria l’unione designata; la forma della quale sembrerebbe debba essere con preferenza quella dell’unione aeque principalis». In seguito a questo, Pio VII emanava due bolle, datate 8 dicembre 1820, con le quali Noli restava perpetuo principaliter unita a Savona e Brugnato a Luni-Sarzana. Dal carteggio tra il governo sabaudo e l’autorità ecclesiastica si desume il comune pensiero che Sarzana, immediatamente soggetta alla Santa Sede, e Ventimiglia passassero alla sede metropolitana di Genova. Sempre a riguardo di Ventimiglia, va ricordato che Gregorio XVI, con la bolla Ex iniuncto del 12 luglio 1831, la staccava da Nizza e le univa trentatré parrocchie. Con la cessione di Nizza e Savoia alla Francia, avvenuta nel 1860, Napoleone III pregò il papa Pio IX di staccare la diocesi di Nizza dalla sede metropolitana di Genova e dichiararla suffraganea di Aix-en- Provence. Il pontefice, con lettere apostoliche del 26 luglio 1861, stabilì che la sistemazione avvenisse come era richiesta dall’imperatore dei francesi. Nel 1892 venne eretta la diocesi di Chia - vari, interamente smembrata da Genova e sottoposta a quest’ultima come suffraganea. Per quanto riguarda l’attività pastorale e la lotta contro la mentalità giansenistica, che era ancora presente, anche se non in maniera clamorosa, si impegnarono alcuni sacerdoti santi e di profonda sensibilità pastorale, tra cui Antonio Maria Gianelli e Giuseppe Frassinetti, fratello di santa Paola Frassinetti. Il Gianelli (1789-1846) prestò servizio come vicario nella chiesa di San Matteo, insegnò in seminario, fu in seguito parroco di San Giovanni Battista in Chiavari. In questa città fondò il seminario, fu prefetto degli studi e docente. Istituì la congregazione dei Missionari di sant’Alfonso, con lo scopo di predicare le missioni permanenti e gli esercizi spirituali. Nel 1837 fu nominato vescovo di Bobbio. Il Frassinetti (1804-1868), parroco a Quinto e poi a Santa Sabina, combatté contro i residui del giansenismo e le idee liberali e massoniche dando alle stampe vari opuscoli, libri e catechismi. Fondò nel 1861 i Figli di Santa Maria Immacolata. Dal punto di vista istituzionale, un avvenimento significativo della prima metà dell’Ottocento fu il primo «congresso de’ vescovi della provincia ecclesiastica di Genova » che si tenne presso il santuario della Misericordia di Savona dal 20 al 23 ottobre 1849. Era presieduto dal vescovo di Tortona Giovanni Negri in qualità di decano dei vescovi liguri, essendo Genova vacante dalla morte dell’arcivescovo, cardinale Placido Maria Tadini, avvenuta nel 1847. Vi parteciparono i vescovi di Nizza, Ventimiglia, Albenga, Savona-Noli, Luni- Sarzana e Brugnato, Bobbio e il vicario capitolare di Genova, Giuseppe Carlo Ferrari. Erano tutti vescovi sudditi sabaudi e fedeli agli orientamenti ecclesiali di Pio IX e della Santa Sede. Era il primo tentativo in Liguria, dopo le rivoluzioni del 1830 e 1848, di abbandonare il proprio isolamento diocesano e di stabilire forme di collaborazione che permettessero un’azione efficace e adeguata ai nuovi problemi che la Chiesa doveva affrontare. Il congresso dei vescovi liguri veniva dopo quello dei vescovi della provincia ecclesiastica di Torino a Villanovetta di Saluzzo che si era tenuto alla fine di luglio di quello stesso anno. I temi trattati furono: disciplina del clero, registri parrocchiali, beni ecclesiastici, insegnamento religioso, censura dei libri, concordati e altri aspetti minori. Gli atti sono chiaramente segnati dal «particolare momento storico e fotografano la realtà nei suoi aspetti laceranti». Queste riunioni sorsero non tanto per «delineare un sistema di norme canoniche, quanto per concordare posizioni comuni» di fronte alle novità e ai problemi che stavano emergendo soprattutto a partire dal 1848 e dal diffondersi del liberalismo. L’associazionismo cattolico ebbe in Liguria diffusione e peso notevole con numerosi circoli e associazioni quali la Società di San Vincenzo e le Società operaie di mutuo soccorso. Le conferenze di San Vincenzo, diffuse in maniera capillare, furono punto d’incontro e formazione di un laicato cattolico impegnato non solo nel campo caritativo-assistenziale, ma anche come militanza cattolica di fronte alle associazioni liberali e mazziniane che sostenevano e diffondevano le istanze di laicizzazione della società. Esse fecero da matrice ad altre associazioni cattoliche. Il giornalismo cattolico ligure, espressione del movimento cattolico, ebbe in un territorio non vasto una quarantina di testate, talvolta di non grande livello ma comunque dotate di spirito battagliero se non addirittura rissoso. Uno dei primi e più interessanti organi conciliatoristi furono gli «Annali Cattolici», fondati nel 1862 da Paris Salvago e Manfredo da Passano, su consiglio dell’arcivescovo di Genova Andrea Charvaz. Nel 1873 usciva il primo numero del «Cittadino», diretto dall’avvocato Scala fino al 1884, poi da Ernesto Callegari, uno dei più vivaci polemisti del giornalismo cattolico, e dal 1919 da Filippo Crispolti. Altri giornali liguri, nati tra fine Ottocento e inizi Novecento furono «Il Letimbro» di Savona, «La Liguria del Popolo» e «Il Corriere di Spezia» della città omonima. Tra le figure di spicco che illustrarono il movimento cattolico in Liguria vi furono i sacerdoti Giovanni Semeria, Pietro Balestra, Luigi Orione, Igino Bandi, vescovo di Tortona, Eugenio Badino, Emilio Guano, Giacomo Lercaro, Luigi Pelloux, Giuseppe Siri, Franco Costa. Tra i laici Maurizio Dufour, Antonio Boggiano Pico, che fu per diverso tempo presidente delle Settimane sociali, Luigi Corsanego Merli, presidente del Comitato regionale dell’Opera dei congressi, Lorenzo Ricci, Dionigi Corsi. Queste personalità diedero vita a numerosi servizi in favore del mondo operaio, per l’educazione di bambini e giovani, per la presenza dei cattolici nella vita politica e per l’assistenza ai marittimi.XI - Il Novecento
Nel 1927 venne creata come unica entità la diocesi di Luni- Sarzana e Brugnato, suffraganea di Genova, che nel 1929 divenne poi la diocesi di La Spezia. Durante gli anni della seconda guerra mondiale, alcuni vescovi e sacerdoti si di - stinsero sia per l’impegno nella lotta di liberazione, come avvenne per alcuni sacerdoti delle zone di La Spezia, Sarzana, Brugnato, sia per la tutela della gente affidata alle loro cure. Tra questi ricordiamo monsignor Angelo Cambiaso (1865-1946) vescovo di Albenga dal 1915 fino alla morte, che si distinse per l’attività di mediazione, soccorso e difesa di molte persone e che si offrì anche come ostaggio ai tedeschi. Indimenticabile fu l’azione di aiuto verso gli ebrei del cardinale Pietro Boetto e del suo segretario monsignor Francesco Repetto (1915-1984), a cui per l’opera svolta fu riconosciuto il titolo di Giusto delle Nazioni. Inoltre si adoperarono nell’attività caritativa e di soccorso monsignor Giuseppe Siri, monsignor Giacomo Lercaro, don Carlo Savi, monsignor Aurelio Torrazza e don Franco Costa che garantì i collegamenti con le forze partigiane. Passati gli anni dell’immediato dopoguerra, monsignor Giuseppe Siri, arcivescovo di Genova e metropolita della Liguria, indisse il 19 ottobre 1950 un concilio provinciale, da tenersi nei giorni 23- 25 novembre di quello stesso anno. Sede fu la cattedrale di San Lorenzo in Genova. Intervennero e sottoscrissero gli atti tutti i vescovi della provincia ecclesiastica personalmente, mentre il vescovo di Bobbio, malato, inviò come procuratore monsignor Carlo Angeleri, vescovo titolare di Tolemaide. Intervennero gli abati benedettini di Finalpia e Sant’Andrea di Sestri, i canonici di ogni capitolo cattedrale e i superiori provinciali di ordini e congregazioni religiose con case in Liguria. Il concilio, il primo dopo la promulgazione del codice del 1917, «si preoccupò principalmente dell’adattamento della legislazione locale, cioè delle leggi particolari» alla legislazione della Chiesa allora vigente. Gli atti toccavano i principali punti di un adattamento legislativo alla pastorale moderna. Tra i punti ricordiamo: i sacramenti, i laici, la vita del clero, il magistero ecclesiastico, la catechesi, la stampa cattolica, l’organizzazione della curia diocesana, i seminari. Gli atti furono approvati dalla congregazione del concilio il 30 luglio 1953. Con la nascita della conferenza episcopale italiana e delle conferenze episcopali regionali, i concili provinciali hanno perso molta della loro importanza. Una piccolissima variazione di circoscrizione avvenne a partire dal 1° gennaio 1977, quando l’isola di Capraia passò definitivamente dall’arcidiocesi di Genova alla diocesi di Livorno. Un altro mutamento delle circoscrizioni diocesane avvenne il 30 settembre 1986, quando la sede vescovile di Bobbio venne unita temporaneamente a Genova, ma la scelta non si rivelò felice. Tre anni dopo infatti Bobbio venne staccata da Genova e unita definitivamente a Piacenza.Bibliographie
G. B. Semeria, Secoli Cristiani della Liguria, ossia storia della Metropolitana di Genova, delle diocesi di Sarzana, di Brugnato, Savona, Albenga e Ventimiglia, 2 voll., Torino 1843;I Sinodi Postridentini della provincia Ecclesiastica di Genova, 2 voll., Genova 1986-1997;
M. Porcella, Clero e Società rurale nell’entroterra Appenninico, in Storia d’Italia. Le Regioni dall’Unità a oggi. La Liguria, a c. di A. Gibelli-P. Rugafiori, Torino 1994;
Il cammino della Chiesa genovese dalle origini ai nostri giorni, a c. di D. Puncuh, Genova 1999 (anche in Atti della Società ligure di storia patria, n.s., XXXIX, fasc. II);
San Giovanni Battista nella vita sociale e religiosa a Genova e in Liguria tra medioevo ed età contemporanea, Atti del Convegno di studi, Genova 16-17 giugno 1999, a c. di C. Paolocci, Genova 2000;
V. Polonio, Istituzioni ecclesiastiche della Liguria medievale, Roma 2002;
Storia di Genova. Mediterraneo Europa Atlantico, a c. di D. Puncuh, Genova 2003.
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Le diocesi d'Italia, a cura di L. Mezzadri, M. Tagliaferri, E. Guerriero, Torino, San Paolo edizioni, 2007-2008, 3 volumi.