Diocèse de Como
HISTOIRE
I - Le origini
La Chiesa di Como deve la propria nascita al grande Ambrogio di Milano (374-397), che inviò sulle rive del Lario il vescovo Felice, da lui ordinato il primo giorno di novembre di un anno che allo stato attuale degli studi non è possibile ulteriormente precisare.Protomartiri della Chiesa locale sono considerati, per tradizione unanime, Carpoforo e compagni, un gruppo di soldati della guardia imperiale di Massimiano, fuggiti da Milano e giustiziati alle porte di Como in una data collocabile fra il 303 e il 305; uno di essi, Fedele, venne martirizzato in una località posta alla sommità settentrionale del Lario, allo sbocco delle valli dell’Adda e della Mera.
Alla metà del V sec., il quarto vescovo di Como, Abbondio, fu scelto da papa Leone Magno come legato a Costantinopoli, al fine di predisporre le condizioni politico-ecclesiastiche per la convocazione del concilio di Calcedonia (451) e la recezione della dottrina cristologica esposta nel Tomus ad Flavianum, indirizzato dal medesimo papa Leone al patriarca di Costantinopoli.
I primi edifici di culto eretti a Como furono le basiliche di San Carpoforo (IV-V sec.), nella quale trovarono sepoltura i protomartiri e lo stesso primo vescovo Felice, e quella di Sant’Abbondio, già dei Santi Apostoli, dove venne sepolto il quarto vescovo e patrono della Chiesa locale.
La prima cattedrale fu invece la basilica di Sant’Eufemia (quindi di San Fedele, dopo la traslazione in essa delle spoglie del martire, nel 964) al centro della città, fronteggiata da un battistero databile al V . All’inizio del VII sec., con il vescovo Agrippino (607- 617 ca), proveniente da Aquileia, si attuò il passaggio della Chiesa di Como dalla originaria dipendenza ecclesiastica ambrosiana a quella aquileiese.
Per comprenderne il motivo, occorre rifarsi alla cosiddetta «questione tricapitolina », iniziata fin dal 554-555, quando l’imperatore Giustiniano (527-565), nel tentativo di riagganciare alla fedeltà verso l’impero la vasta componente monofisita, aveva condannato, in modalità diverse, le posizioni di tre teologi di opposte concezioni e vicini alle dottrine del concilio di Calcedonia.
La recezione di tale condanna imperiale da parte del II concilio di Costantinopoli (553), nonché l’approvazione estorta con violenza a papa Vigilio, avevano fatto insorgere molte Chiese d’Occidente.
La discesa in Italia dei longobardi, nel 569, complicò ulteriormente la situazione.
Se, nel caso di Milano, la fuga dell’arcivescovo a Genova – ossia in territorio bizantino – aveva propiziato la fine dello scisma, nelle regioni venete la presenza longobarda favorì il distacco dalla tutela imperiale delle Chiese locali, in nome della sancta fides di Calcedonia.
I tentativi papali per piegare la resistenza aquileiese provocarono la scissione all’interno di quella Chiesa dove, nel 607, al vescovo sostenuto da Roma, Candidiano, si affiancò un altro patriarca, Giovanni.
Fu proprio costui ad accogliere la richiesta del clero e del popolo comense di inviare loro un vescovo, non volendo essi riceverlo da Milano, dopo che questa Chiesa aveva accettato i deliberati tricapitolini che apparivano ai comaschi come un’aperta contrapposizione al concilio di Calcedonia e dunque anche all’operato del loro antico vescovo e patrono Abbondio.
II - Epoca medievale
Nei secoli dell’alto Medioevo la giurisdizione del vescovo di Como venne essenzialmente a coincidere con quella dell’antico municipium romano che controllava le principali vie di accesso ai passi alpini, collocati rispettivamente al culmine delle valli dell’Adda (attuale Valtellina, con Bormio), della Mera (attuale Valchiavenna) e del Ticino (attuale cantone elvetico, eccettuate la pieve di Biasca e le località di Brissago e Tesserete appartenenti alla diocesi di Milano).Tale ampia giurisdizione territoriale assegnò alla sede comense una primaria importanza strategica e un caratteristico legame con gli ambienti imperiali d’Oltralpe, come attestato anche dai numerosi privilegi ottenuti.
D’altro canto, quella stessa importanza strategica fu la causa di una variegata presenza sul territorio di proprietà monastiche e vescovili extradiocesane che si sovrapposero alla giurisdizione del vescovo locale.
Particolarmente significativo per la Chiesa di Como fu l’XI sec., caratterizzato da una lunga serie di vescovi riformatori.
Tra essi va menzionato Rainaldo (1063-1084), vicino allo stesso papa Gregorio VII, per il quale svolse un ruolo di mediazione con gli ambienti imperiali, grazie anche ai suoi buoni rapporti con la madre di Enrico IV, Agnese, a sua volta legata, come Rainaldo, alla cerchia spirituale di san Pier Damiani.
I vescovi comensi dell’XI . favorirono anche il rinnovamento monastico, caratterizzato sia da fondazioni locali, come le abbazie sorte presso le antiche basiliche cittadine di Sant’Abbondio (1010) e di San Carpoforo (1040), sia dalla diffusione sul territorio di alcuni priorati cluniacensi: a Vallate (1078), Vertemate (1084), Cernobbio, Piona.
Anche il clero fu coinvolto nell’azione riformatrice, soprattutto con la realizzazione di «canoniche» per la vita comune.
Verso la fine dell’episcopato di Rainaldo fu eretta la nuova cattedrale di Santa Maria Maggiore.
La nascita dell’istituzione comunale nella città lariana, sul finire di quello stesso secolo, venne a scontrarsi con gli interessi di Milano che temeva di vedersi sbarrate le strade verso settentrione: si giunse così a una guerra decennale tra le due città (1118-1127).
Como poté risollevarsi dalla sconfitta e dalla distruzione inflittele dalla potente rivale grazie all’appoggio dell’imperatore Federico I Barbarossa (1152-1190).
La costante fedeltà della città lariana al medesimo sovrano portò al coinvolgimento della sede comense nello scisma che contrappose l’antipapa Vittore IV (1154) ad Alessandro III.
All’interno della città, le fazioni cittadine dei Vittani (guelfi) e dei Rusca (ghibellini) si contesero, tra XII e XIII sec., sia il potere comunale sia la cattedra episcopale.
Nel frattempo, si procedeva al pieno ricupero della giurisdizione episcopale sul territorio diocesano, parallelamente all’estensione dell’autorità cittadina sul contado.
Il pesante coinvolgimento della Chiesa locale in contese di parte favorì, per reazione, una diffusa esigenza di spiritualità.
Fin dalla prima metà del XII . comparvero in città gli umiliati che ebbero in Como una delle principali sedi di Lombardia, per diffondersi poi in molti luoghi della diocesi.
All’inizio del secolo successivo è attestata in città anche la presenza di eretici catari.
Prima della metà del Duecento giungono a Como francescani e domenicani, mentre gli agostiniani compariranno solo all’inizio del secolo successivo.
All’interno o nelle immediate vicinanze della città sorsero anche numerose fondazioni religiose femminili.
III - Epoca moderna
Tra il Quattro e il Cinquecento si diffonde anche nella diocesi comense una nuova esigenza di religiosità più partecipata, ben espressa dalle confraternite laicali sorte un po’ ovunque, e dall’intensa attività di edificazione o rifacimento degli edifici di culto delle comunità locali.Particolarmente sentita fu la devozione mariana, dalla quale trassero origine molti santuari, tra i quali quelli di Locarno (nell’attuale Canton Ticino), di Gallivaggio (in alta Valchiavenna), di Tirano (in Valtellina), tutti e tre a seguito di un’apparizione della Vergine (rispettivamente nel 1480, 1492, 1504).
L’insorgere della riforma protestante colse la diocesi di Como in un momento particolarmente difficile.
Nel 1512 la Valtellina e i limitrofi contadi di Chiavenna e Bormio erano stati annessi alla Repubblica delle Tre Leghe (attuale Canton Grigioni).
L’adesione alla Riforma nella versione zwingliana da parte di circa due terzi dei comuni componenti le Tre Leghe fece sì che il vescovo di Como si trovasse di fatto ampiamente impedito a esercitare la propria azione pastorale in una parte consistente del territorio soggetto alla sua giurisdizione.
I fondamentali interessi grigioni sul controllo dei valichi, grazie ai quali quel piccolo Stato alpino poteva tenere in scacco le grandi potenze europee, apparivano pericolosamente insidiati dall’appartenenza ecclesiastica di Valtellina e Valchiavenna alla sede vescovile di Como, collocata, dalla metà del Trecento, all’interno del Ducato di Milano, dalla metà del Cinquecento soggetto alla Spagna.
Inoltre, anche in Valtellina e Valchiavenna si costituirono una serie di comunità riformate, composte e guidate per lo più da riformati (o ritenuti tali) esuli dall’Italia.
Pur essendo di infima consistenza numerica, esse godevano della parità confessionale stabilita dalla dieta grigiona nel 1526.
La fortissima tensione accumulatasi soprattutto a livello politico internazionale portò allo scontro violento del 1620, allorché parte della popolazione cattolica di Valtellina, sostenuta segretamente dal governo di Milano, diede luogo alla strage dei riformati locali.
L’insurrezione faceva seguito all’eliminazione violenta di alcuni dei sospetti sostenitori della Spagna, tra i quali il mite ed esemplare arciprete di Sondrio, Nicolò Rusca, ucciso sotto tortura nel 1618.
Con il capitolato di Milano, stipulato tra i Grigioni e la Spagna nel 1639, Valtellina, Chiavenna e Bormio furono ricondotte sotto il dominio delle Tre Leghe, a condizione che vi si potesse legittimamente esercitare la sola confessione cattolica e fosse pienamente reintegrata la giurisdizione del vescovo di Como.
Fu così possibile attuare in tutta la diocesi le riforme prescritte dal concilio di Trento, avviate dai tre grandi vescovi di fine Cinquecento: Giovanni Antonio Volpi (1559- 1588), che partecipò all’ultimo periodo dell’assemblea conciliare e celebrò due sinodi locali (1561, 1579); il domenicano Feliciano Ninguarda (1588-1592), già riformatore nel Salisburghese e nunzio papale in Germania; Filippo Archinti (1595- 1621), nipote dell’omonimo arcivescovo di Milano, promotore di altri due sinodi locali (1598, 1618).
Durante l’episcopato di Filippo Archinti, il primo e unico sinodo provinciale del patriarcato aquileiese (1596) pose fine al «rito comense» o patriarchino.
Nel 1751, a seguito della soppressione dello stesso patriarcato di Aquileia, si produsse il distacco definitivo di Como da quella provincia ecclesiastica.
Dopo alcuni anni nei quali venne assegnata alla provincia ecclesiastica di Gorizia, nel 1789 Como tornò alla propria matrice originaria, quale suffraganea di Milano.
Nel frattempo la diocesi, dopo una serie di tentativi falliti nell’immediato postconcilio tridentino, aveva iniziato a dotarsi, nel 1740, di un primo seminario teologico, in attesa di giungere, nel 1812, all’apertura di un istituto pienamente adeguato allo scopo.
IV - Epoca contemporanea
Le acute problematiche economiche e sociali conseguenti alla diffusione su vasta scala della produzione industriale si fecero sentire soprattutto nel Comasco, fortemente interessato alla lavorazione della seta.Sorsero in diversi luoghi della diocesi associazioni di mutuo soccorso tra gli operai, anche di ispirazione cattolica; fu incrementato l’impegno per l’istruzione elementare delle popolazioni, normalmente affidata, durante il dominio austriaco, alle cure dei parroci; alcuni istituti religiosi, maschili e femminili, si fecero carico dell’assistenza alle categorie più disagiate.
Dal seminario diocesano uscirono due protagonisti di una rinnovata attenzione della Chiesa ai problemi sociali: i beati Luigi Guanella (1842–1915) e Giovanni Battista Scalabrini (1839-1905).
Il primo, originario della Valchiavenna, fondò opere di assistenza per i minorati fisici e mentali e per gli anziani.
Il secondo, già rettore del seminario minore e parroco, quindi vescovo di Piacenza, prese a cuore il grandioso problema dell’emigrazione di massa dall’Italia verso le Americhe.
Entrambi fondarono due congregazioni (guanelliani, scalabriniani), ognuna rispettivamente con un ramo maschile e uno femminile.
Mentre, nel 1789, con la fine del dominio grigione e il passaggio alla Cisalpina, le valli dell’Adda e della Mera erano tornate all’unità anche politica con il centro e la gran parte del territorio della diocesi, la nuova mentalità liberale mise in questione la giurisdizione comasca (e milanese) sui territori ticinesi, soprattutto dopo la loro elevazione al rango di cantone, al fine di eliminare la presenza di giurisdizioni ecclesiastiche straniere.
Si giunse pertanto, nel 1884, al distacco delle parrocchie ticinesi dalla sede di Como (analogamente avvenne per quelle dipendenti da Milano), e alla successiva istituzione dell’amministrazione apostolica ticinese; similmente, le due parrocchie della val Poschiavo, in territorio grigione (Poschiavo e Brusio), erano state separate da Como, nel 1869, e assegnate alla diocesi di Coira.
Il clima anticlericale che caratterizzò i primi decenni successivi all’unità d’Italia condizionò l’autorità dei vescovi di Como, spesso impossibilitati, in assenza di placet governativo, a esercitare pienamente le proprie funzioni, e ne ostacolò talora la stessa nomina, causando ripetute vacanze della cattedra episcopale.
In questo clima difficile la diocesi si dotò, nel 1879, di un proprio giornale, «L’Ordine», che verrà pubblicato fino al 1984.
Il Novecento si caratterizzò, anche a Como, per un crescente impegno dei laici, sia nell’Azione cattolica, avviata localmente nel 1907, sia direttamente in ambienti sociali e politici.
Como può vantare, in merito, la figura di Achille Grandi (1883-1946), segretario generale della Confederazione italiana dei lavoratori, tra i fondatori, nel 1919, del Partito popolare.
Le successive «prove del fuoco», costituite dal fascismo e dalla Resistenza, videro molti laici e preti della diocesi impegnati nella riconquista della libertà, come pure nell’assistere, a rischio della propria incolumità o dell’esilio, ebrei o altri perseguitati politici in fuga verso il vicino confine svizzero.
Anche da queste esperienze si sviluppò in molti cattolici locali la consapevolezza dell’importanza di un diretto e competente impegno politico nella nuova Repubblica nata dopo la guerra.
Tra i cattolici attivi nella delicata fase della ricostruzione economica e politica dell’Italia democratica va ricordato Ezio Vanoni (1903-1956), ministro con De Gasperi, protagonista della riforma tributaria.
Il concilio Vaticano II (1962-1965), al quale partecipò il vescovo Felice Bonomini (1947-1974), diede inizio a un rinnovamento delle strutture e della pastorale diocesana, in parte ancora in corso, in un clima di prudente e serena pacatezza, anche per l’opportunità di affiancarsi, senza potersi completamente sostituire, alle antiche tradizioni religiose ancora radicate in buona parte del territorio.
Bibliographie
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La visita pastorale di Gerardo Landriani alla diocesi di Como (1444- 1445), a c. e intr. di E. Canobbio, Milano 2001.
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SOURCE
Le diocesi d'Italia, a cura di L. Mezzadri, M. Tagliaferri, E. Guerriero, Torino, San Paolo edizioni, 2007-2008, 3 volumi.