Diocèse de Otranto
HISTOIRE
I - Dalla prima evangelizzazione all’avvento dei normanni
Nell’antica Calabria romana – così era denominata l’attuale penisola salentina –, le prime attestazioni di presenza cristiana sono dell’inizio del IV . ed è verosimile pensare che le comunità di Gallipoli, Lupiae e Otranto fossero già sedi vescovili.Bisogna però attendere il VI . per avere notizia certa della presenza di un vescovo nell’antico e florido centro commerciale di Hydruntum: in seguito alle devastazioni della guerra greco-gotica e alla invasione longobarda, Gregorio Magno indirizzò al vescovo locale Pietro due lettere (595 e 599) nelle quali domandò che visitasse le chiese di Gallipoli, Lecce e Brindisi rimaste prive di pastori.
Da quel momento in poi diverse sono le testimonianze sui vescovi e sull’importanza della sede salentina: il vescovo Andrea partecipò al concilio antimonotelita del Laterano (649); troviamo poi a Costantinopoli per la celebrazione dei concili i vescovi Giovanni nel 680 e Marco nell’879.
Sul finire del IX sec., con la «seconda colonizzazione» bizantina e con la ristrutturazione amministrativa ed ecclesiale della penisola salentina attuate dagli imperatori Basilio I e Leone VI, Otranto diventò arcivescovato autocefalo alle dipendenze del patriarca di Costantinopoli e, nel 968, sede metropolitana con le diocesi suffraganee di Acerenza, Tursi, Gravina, Matera e Tricarico.
La chiesetta a croce greca di San Pietro a Otranto (fine IX-metà X sec.) è tra le testimonianze più belle del periodo bizantino in tutta l’Italia meridionale, mentre le numerose chiese rupestri esistenti, bizantine sia nell’impostazione architettonica sia nella decorazione pittorica, non sono il segno di una società monastica, come una certa storiografia passata ha voluto far intendere, ma elementi di un fenomeno insediativo più ampio che, negli ultimi decenni, è stato definito «civiltà rupestre», fenomeno peraltro comune anche alla fascia baresebrindisina e alla zona materano-tarantina.
Degne di menzione la cripta delle Sante Marina e Cristina a Carpignano con affreschi datati al 959 e al 1020 e quella dei Santi Stefani a Vaste con affreschi dell’XI sec.
II - Dall’avvento dei normanni al 1480
Con l’avvento dei normanni e con la conseguente caduta del dominio bizantino (1064), Otranto passò all’obbedienza romana: da quel momento in poi i vescovi che guidarono la diocesi furono latini.Nel 1088, alla presenza dei duchi normanni e di alcuni vescovi pugliesi, fu consacrata la nuova cattedrale, che poi tra il 1163 e il 1165 venne arricchita dell’eccezionale mosaico pavimentale, unico per ampiezza e per i temi rappresentati.
Sono del XII . le prime notizie certe di Gallipoli, Castro, Lecce, Ugento e Alessano-Leuca come nuove suffraganee della metropolia idruntina, segno della ridefinizione amministrativa normanna.
Seppure fosse ormai definita l’appartenenza della diocesi alla sfera di influenza romana, ancora nel 1098-1099 fu fondato, per volontà del principe Boemondo di Taranto e della madre Costanza, il monastero greco di San Nicola di Casole nei pressi di Otranto, il cui abate Nicola-Nettario si rese famoso all’inizio del XIII . per la vasta opera culturale e diplomatica svolta per incarico di Innocenzo III e di Federico II a favore della causa dell’unione tra greci e latini.
Le conseguenze dello scisma d’Occidente (1378-1417) si fecero sentire anche a Otranto: la doppia gerarchia si risolse di fatto a vantaggio dei candidati avignonesi almeno fino al 1399, anno in cui il nuovo principe di Taranto, Raimondello del Balzo Orsini, si impegnò a ristabilire l’obbedienza romana in tutti i suoi domini.
Sempre lo stesso principe ottenne da papa Urbano VI la facoltà di costruire il complesso di Santa Caterina in Galatina (chiesa, convento, ospedale) che, libero dalla giurisdizione dell’arcivescovo di Otranto, nel giro di poco tempo si affermò in Terra d’Otranto per il numero dei suoi feudi e per la loro oculata gestione, tanto da essere definito «Staterello feudale di Santa Caterina».
Meritevoli di segnalazione sono i cicli di affreschi della suddetta basilica orsiniana (prima metà del XV sec.), mirabile sintesi di maestranze napoletane, umbro- marchigiane e bizantine e summa del pensiero filosofico-teologico dei francescani dell’osservanza di Bosnia ai quali la chiesa era affidata.
I fatti del 1480 si pongono in un quadro politico più ampio.
Dopo la caduta di Costantinopoli del 1453, Maometto II si rivolse a occidente e, nell’agosto del 1480, l’armata turca comandata da Achmet Pascià, presi previamente contatti con i veneziani, assediò, devastò e conquistò Otranto.
Nell’eccidio, oltre a numerosi cittadini, morì anche il vescovo Stefano Pendinelli e circa in 800, guidati da Antonio Primaldo, si opposero al nemico e subirono il martirio: furono beatificati nel 1771 da papa Clemente XIV.
All’evento assistettero pressoché inermi Ferrante d’Aragona, re di Napoli, e gli Stati italiani, denotando così la loro debolezza politica; molto lentamente si organizzarono e, nel settembre 1481, riuscirono a eliminare questa enclave turca in territorio italiano.
Il vescovo francescano Serafino da Squillace si trovò a dover ritessere le trame di una città e di una diocesi profondamente segnata dall’eccidio: si prodigò per alleviare la situazione dei molti centri devastati dagli invasori e rese nuovamente praticabile la cattedrale.
L’epopea idruntina assurse presto a modello della lotta cristiana contro il pericolo turco a tal punto da rimanere impressa nell’immaginario collettivo salentino, anche grazie alle numerose cronache che, sebbene oscillanti tra racconto storico ed esaltazione apologetica, ne hanno comunque tramandato la memoria.
III - Dal XV sec. al 1818
Il Cinquecento è il secolo che segnò la svolta decisiva per il regno di Napoli: periferia del vicereame spagnolo, anche la Terra d’Otranto ne respirò il clima culturale che si tradusse in strutture amministrative e sistemi religiosi propri.Dal punto di vista ecclesiale, l’assise tridentina connotò in senso moderno l’identità della diocesi e delle parrocchie, incentrando attorno alla figura del vescovo la riforma pastorale.
Indicativo è a riguardo l’evidente cambiamento di prospettiva che si nota nell’attuazione delle visite pastorali nella diocesi di Otranto: da quella del vescovo Fabrizio de Capua (1522) a quelle del nipote Pietro Antonio de Capua (1538-1540 e 1567) e di Pietro de Corderos (1584) si nota un graduale passaggio da finalità giuridicoamministrative (ispezione della chiesa e dell’arredo liturgico, controllo dei benefici) a prospettive più pastorali (riforma dei costumi del clero, promozione della vita sacramentale dei cristiani).
In particolare fu Pietro Antonio de Capua il vescovo che partecipò attivamente al concilio di Trento e nel 1567 convocò il sinodo provinciale di Terra d’Otranto per l’attuazione dello stesso.
Sull’onda della latinizzazione posttridentina, in questi anni si assistette anche al definitivo tramonto del rito greco nel Salento: a seguito delle pressioni dei papi e dell’istituzione della Congregazione dei Greci, nel sinodo del 1583 Pietro de Corderos procedette decisamente alla diffusione del rito latino tanto che, pochi anni dopo, le parrocchie della diocesi officiate da preti greci erano solo dodici su quaranta.
Con il XVII-XVIII sec., come in tutto il Mezzogiorno d’Italia, anche in Terra d’Otranto si assistette a un massiccio radicamento spagnolo nel territorio, ottenuto con il controllo regio delle nomine episcopali.
Dei quattordici vescovi otrantini di questi due secoli, nove provenivano dal Napoletano, 2 da Madrid e uno da Lisbona; molti avevano origini nobili e più di qualcuno si distinse per cultura.
Considerevole anche il numero di coloro che giungevano dalle file dei religiosi: troviamo un agostiniano, un mercedario, due benedettini e quattro teatini.
Sono questi gli anni in cui effettivamente il tridentino giunge a maturazione, specialmente sotto gli episcopati di Marcello Acquaviva (1586- 1606), Gabriele Adarzo de Santander (1657-1674), Francesco Maria de Aste (1690-1719), Michele Orsi (1722-1752), Nicolò Caracciolo (1754-1766).
Del loro operato sono testimonianza, oltre ai lavori di restauro e di abbellimento della cattedrale secondo il gusto barocco, gli atti, custoditi nell’archivio diocesano, delle visite ad limina, delle visite pastorali e dei sinodi diocesani celebrati, con monsignor Orsi, a scadenza annuale.
Da questi documenti scaturisce il quadro di una realtà diocesana difficile da governare a causa della forte frammentazione (solo quattro parrocchie su quaranta superano i 2000 abitanti), ma che senza dubbio si riconosceva nella societas cristiana, attorno a un ceto clericale particolarmente numeroso, che lentamente arrivò ad assimilare l’ideale tridentino di prete in cura d’anime.
Come in altre diocesi salentine, per difficoltà economiche, il seminario non venne istituito subito: solo nel 1750 nacque a Galatina una congregatio clericorum che, sotto la guida di un gesuita, si assunse il compito della formazione al sacerdozio e finalmente nel 1755 fu aperto a Otranto il seminario vescovile.
Spesso la cura animarum era assicurata dalla presenza nel territorio diocesano dei religiosi, che giungevano alle masse grazie alle missioni popolari e agli strumenti della devozione popolare; il XVI è il secolo in cui molte congregazioni aprirono nella diocesi i loro conventi: francescani di diverse obbedienze, minimi, domenicani, carmelitani, agostiniani, olivetani e alcantarini; nel XVII . le clarisse aprono a Galatina e a Soleto.
Anche le ottantuno confraternite citate nella visita ad limina del 1676 assicuravano al popolo quella vita di fede di cui necessitava: gli impegni di pietà, di carità e di suffragio strutturavano la vita del popolo credente attorno ai punti vitali della Controriforma, ossia la pietà eucaristica e mariana.
Dopo un lungo periodo di vacanza (1784-1792), segno delle tensioni rivoluzionarie francesi, fu eletto il teatino Vincenzo Maria Morelli (1792-1812); quando nel 1799 scoppiò nel Regno di Napoli la rivoluzione giacobina, contrastata poi dalla «controrivoluzione» del cardinale Ruffo, egli seppe mantenersi equidistante da entrambi gli eccessi.
Con la conquista francese del Regno di Napoli, anche per Otranto si aprì un decennio difficile: furono soppressi molti conventi, ma il vicario capitolare Giuseppe Maria Giovene, eletto alla morte di Morelli, riuscì comunque a ben governare la diocesi.
Con il concordato di Terracina del 1818, la diocesi di Castro fu soppressa e il suo territorio assegnato a Otranto.
IV - Dall’unità d’Italia alla chiesa del Vaticano II
I vescovi post-unitari si distinsero per zelo e santità di vita; il loro impegno si concretizzò nella cura per la formazione di una coscienza apostolica nei sacerdoti e nell’incentivo delle forme religiosi tradizionali, scelte che però di fatto confermarono l’atteggiamento difensivo assunto dalle chiese nei confronti dello stato liberale.Monsignor Gaetano Caporali (1890-1911) seppe cogliere e promuovere le esigenze del movimento cattolico, che nel sud stentava a decollare, sostenendo l’opera del galatinese Ruggero Rizzelli, direttore del giornale «La Provincia Cattolica di Terra d’Otranto», voce delle diocesi salentine dal 1900 al 1909, e istituendo il seppur debole comitato diocesano dell’Opera dei congressi.
Gli episcopati di Carmelo Patanè (1918- 1930), del cappuccino Cornelio Sebastiano Cuccarollo (1930-1952) e di Raffaele Calabrìa (1952-1960), nella linea tracciata dall’intero episcopato pugliese, promossero la formazione di presbiteri educatori di coscienze e di un laicato cattolico chiamato sempre più a impegnarsi in opere di apostolato.
Comuni a tutta la Chiesa italiana erano gli strumenti utilizzati per raggiungere tali obiettivi: l’Azione cattolica e il bollettino ufficiale «L’eco idruntina», entrambi nati nel 1920, la cura per i seminari regionale di Molfetta e diocesano di Otranto, le visite pastorali, la diffusione del catechismo.
Con Gaetano Pollio (1960-1969), missionario del Pime in Cina, con Nicola Riezzo (1969-1981) e Vincenzo Franco (1981- 1993), la Chiesa otrantina si collocò nel solco della stagione del Vaticano II.
Il quinto centenario dei beati Martiri Idruntini del 1980 fu celebrato solennemente: Giovanni Paolo II, pellegrino a Otranto per l’occasione, richiamò l’intenso scambio con l’Oriente e la testimonianza eroica dei martiri come due fattori caratterizzanti la diocesi salentina, tanto da definirne l’identità e stimolarne la missione.
Oltre ai Martiri Idruntini, si venera il servo di Dio Vincenzo Maria Morelli (1741-1812), vescovo diocesano.
Tra i tanti personaggi degni di menzione originari della diocesi, si ricorda, oltre al citato igumeno del monastero di San Nicola di Casole Nicola-Nettario (1150/1160-1235), il teatino Lorenzo Scupoli (1529-1610), collaboratore del Borromeo nella riforma della diocesi di Milano e autore dell’opera ascetica Il combattimento spirituale, tradotta in diverse lingue.
L’arcidiocesi di Otranto comprende 41 comuni e 15 frazioni ed è suddivisa in 80 parrocchie; i 10 santuari sparsi nel territorio diocesano sono tutti mariani.
La sede idruntina dal 1980 è suffraganea della metropolia di Lecce.
Bibliographie
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A. Antonaci, Otranto, Galatina 1992;
P. Mele, L’arcidiocesi di Otranto nella prima metà del ’700. L’episcopato di Mons. Orsi (1722- 1752), in Arcidiocesi di Otranto, Istituto di Scienze Religiose Giovanni Paolo II. Vent’anni di presenza nella chiesa locale. 1892-2002, Galatina 2003, 145-208.
Seuls sont visualisés les édifices pour lesquels on dispose d'une géoréférenciation exacte×
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Diocèse de Otranto
Chiesa di Maria Santissima Annunziata
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La facciata della cattedrale dell’ Assunta ad Otranto -
Veduta dell’aula dall’ingresso. In primo piano il pavimento musivo del 1163 - 1165, dove è raffigurato l’albero della... -
La cappella ottagonale dei Martiri; ogni lato è coperto da teche che racchiudono le ossa degli ottocento martiri del...
Diocèse
SOURCE
Le diocesi d'Italia, a cura di L. Mezzadri, M. Tagliaferri, E. Guerriero, Torino, San Paolo edizioni, 2007-2008, 3 volumi.