Diözese von Isernia - Venafro
GESCHICHTE
I - Dalle origini a Trento
La diocesi di Isernia-Venafro è nata il 30 settembre 1986 dalla fusione delle due antiche sedi episcopali di Isernia (Aesernia, V sec.?) e Venafro (Venafrum, V sec.), nel contesto del riassetto della cartina delle diocesi italiane auspicato dopo il concilio Vaticano II e attuato a seguito degli accordi di revisione (1984) del concordato lateranense del 1929 dalla Congregazione per i vescovi.Nonostante la tradizione locale additi nel vescovo san Poltino, discepolo di san Pietro apostolo, il primo evangelizzatore di Isernia, e ponga i nomi di san Vindonio e san Benedetto quali iniziatori della successione episcopale, bisognerebbe attendere il 465 d.C. per avere la prima attestazione storica della diocesi.
In questo anno, infatti, il vescovo Eutodio apporrebbe la sua firma agli atti del sinodo che papa Ilaro (461-468) tenne a Roma in Santa Maria Maggiore.
Nel 499 e nel 501 sarebbero rispettivamente i vescovi Mario e Innocenzo a firmare gli atti dei sinodi romani indetti da papa Simmaco (498-514).
Alla fine del V . risalgono anche le notizie riguardanti la diocesi di Venafro: nel 492 papa Gelasio I (492-496) scrisse a Costantino, vescovo di Venafro, perché questi, assieme ai vescovi Siracusio e Lorenzo, vagliasse e dirimesse la questione sorta tra l’ebreo Giuda e il suo schiavo: quest’ultimo, rifugiatosi a Venafro, si professava cristiano accusando il padrone di averlo sottoposto a circoncisione.
Nel 499 anche Costantino firmò gli atti del sinodo romano indetto da Simmaco per lo scisma dell’antipapa Lorenzo, e così è chiarito ogni dubbio sull’origine istituzionale di una comunità cristiana che già nella testimonianza dei martiri Nicandro, Marciano e Daria (303/304), vittime della persecuzione dioclezianea, ha ricevuto il sigillo della fede.
Dal 500 fino all’877, anno in cui il vescovo Odelgario partecipò a un sinodo radunato a Ravenna dall’arcivescovo Giovanni, non si hanno notizie certe sui presuli che ressero la diocesi isernina.
Analogamente, dopo Costantino, nella sede venafrana per multa saecula desiderantur episcopi.
Emblematiche le parole di san Gregorio Magno che, a seguito delle invasioni barbariche, annota: «depopulatae urbes, eversa castra, concrematae ecclesiae, destructa monasteria … in solitudine vacat terra» (Dial. III, 38).
Il quadro è desolante! Scrivendo ad Antemio suddiacono, il santo pontefice si lamenta di Opilione e Crescenzio «chierici della chiesa di Venafro» i quali, dimentichi del giudizio divino, hanno venduto a un ebreo sacre suppellettili, mentre a Fortunato, vescovo di Napoli, scrive di voler accogliere nella sua chiesa il diacono Graziano, impossibilitato a svolgere in Venafro il sacro ministero a motivo della temperie barbarica.
Nel 595 i longobardi di Arechi presero Venafro.
Ma il grande vuoto nella successione episcopale non fu solo per Venafro.
Dai tempi del vescovo Innocenzo, soltanto nel 595 troviamo a Isernia un tale Sebastiano e nel 760 Mario e nell’847 un innominato vescovo isernino fu vittima del terribile terremoto di cui ci informa una nota del Chronicon vulturnense.
Ancora nell’867 i feroci saraceni di Saugdan espugnarono Venafro, per transitarvi nuovamente nell’881 diretti a far strage di quanti dimoravano nella vicina abbazia di San Vincenzo al Volturno.
Mentre a Isernia, nel 964, è documentato il vescovo Arderico, a Venafro il vuoto episcopale perdura fino agli inizi del Mille.
Nel 968, per volere del principe longobardo Pandolfo Capodiferro, un nuovo riassetto fu dato alle circoscrizioni ecclesiastiche, sulla base di quelle amministrative civili: a Capua, divenuta sede metropolitana arcivescovile, furono assegnate come suffraganee Isernia, Venafro, Teano, Gaeta e Fondi e se nel Mille i documenti della cronotassi episcopale iserniense riportano il nome di Lando, a Venafro nel 1004 sedeva Costantino II.
Nel 1032 (o 1048?) l’arcivescovo Atenolfo di Capua consacrò vescovo tale Gerardo e pose sotto il suo pastorale le diocesi di Isernia, Venafro, Boiano e San Vincenzo al Volturno.
Una tale situazione durò fino al tempo di papa Niccolò II il quale nel 1059, dopo brevi soste a San Vincenzo e a Venafro, nel prosieguo del viaggio alla volta di Melfi, consacrò vescovo di Isernia e Venafro il monaco cassinese Pietro di Ravenna, lo stesso che nel 1071, alla cerimonia di dedicazione della basilica desideriana di Montecassino, si sottoscrisse in calce alla bolla di Alessandro II: ego Petrus Venafranus Episcopus.
Se l’Ughelli non sbaglia nel porre al 1080 l’ultima notizia di questo vescovo, bisognerà allora circoscrivere l’episcopato di Pietro nell’arco di un ventennio, quando il territorio delle due diocesi altomolisane fu teatro delle lotte fra Gregorio VII e Roberto il Guiscardo, con l’attiva partecipazione dei conti di Venafro e di Sangro.
A questo periodo appartengono ricostruzioni e modifiche apportate nelle cattedrali di Isernia e Venafro, che si ispirano ai canoni dell’architettura desideriana.
Nel 1090 le due diocesi furono rette da Leone, che nel novembre di questo stesso anno partecipò alla consacrazione della chiesa di San Martino in Montecassino e due anni dopo è citato in un documento con cui Rodolfo di Molise, conte di Boiano, offriva alla medesima Badia il convento e la chiesa di Santa Croce in Isernia, con il castello di Balneo e le sue pertinenze.
A Leone, morto secondo l’Ughelli durante il pontificato di Pasquale II (1099-1118), successe, certamente prima del 1105, l’amalfitano Mauro, già abate di San Vincenzo al Volturno.
Nel settembre dello stesso anno questi, assieme a Bernardo vescovo di Boiano, fu testimone dell’atto con cui Ugone I di Molise offrì a Oderisio di Montecassino il castello di Viticuso, la chiesa di San Benedetto in Monteroduni e quella di San Pietro in Sesto Campano.
Dopo la morte di Mauro l’episcopato delle due diocesi, nel 1145, fu assunto da Dario: sotto di lui in terra di Isernia, nel 1210, nacque Pietro Angelerio, meglio conosciuto come l’eremita Pietro del Morrone e papa Celestino V (†1296).
Ma nel 1179 a Venafro sedeva Rainaldo; è a lui che il papa Alessandro III (1159-1181), il 20 dicembre 1172, inviò la bolla Cum ex iniuncto, con il riconoscimento dei diritti e dei privilegi della Chiesa venafrana unitamente alla ridefinizione del patrimonio e dei confini della diocesi.
Dal 1207 le due sedi, spesso in lotta tra di loro, per disposizione di Innocenzo III (1198-1216), che invano tentò mediazioni di conciliazione, ebbero vescovi distinti.
Realizzatasi l’unità politica del meridione d’Italia a opera dei normanni, Isernia mostrò a più riprese il volto di città fedele.
Se nell’ottennato della lotta tra l’antipapa Anacleto II (1130-1138) e il papa Innocenzo II (1130-1143), città e diocesi si schierarono a favore del legittimo pontefice, nelle lotte tra l’imperatore Arrigo VI e Tancredi di Lecce per la successione al trono di Napoli Isernia è dalla parte dell’imperatore, nonostante papa Clemente III si fosse schierato a favore del suo avversario: mai la città concesse agli svevi il proprio favore, a motivo della politica antipapale di costoro, legandosi invece alla casata dei da Celano, paladini del papato in Abruzzo e Molise, dalla quale fu ricambiata con benevolenza e protezione.
Durante la dominazione longobarda e normanna il monachesimo benedettino ramificò nel territorio di Isernia e Venafro.
Oltre a San Vincenzo al Volturno, ricorderemo per Isernia l’abbazia femminile di Santa Maria delle Monache e quella di San Vito della Valle, l’abbazia di Sant’Agapito in Valle, San Marco e San Martino a Carpinone, Santa Croce a Pesche (Santa Croce a Sernia), San Benedetto a Monteroduni, Santa Maria in Altissimis a Fornelli, Santi Giovanni e Paolo a Pizzone, San Benedetto a Roccasicura, San Pietro de Itria a Scapoli, San Benedetto a Sessano del Molise, mentre per il circondario di Venafro troviamo Santa Croce iuxta muros Venafri, San Benedetto de Benafro, San Benedetto Piccolo (Piczolu, Pizuli, S.
Venditto, S.
Benedicti minoris), Santa Cristina, Santi Maria e Benedetto, San Nazario de Rocca de Piperoczu (Roccapipirozzi), San Pietro di Sesto Campano.
Fondazioni alle quali, ovviamente, non si possono disgiungere quelle dei monaci celestini legate a Pietro del Morrone: Santo Spirito di Isernia, Santa Maria della Maiella e Santo Spirito a Venafro (S.
Petri de Magella), San Giovanni a Cerro al Volturno, Santo Spirito in Volturno a Monteroduni.
L’epoca sveva inaugurò la penetrazione del francescanesimo a Isernia: a Francesco di Assisi è attribuita la fondazione del convento di Santo Stefano a Isernia, a ricordo della sua visita alla città nella Pasqua del 1222.
Durante l’epoca angioina una seconda casa francescana – questa volta per monache – fu fondata dal nobile isernino Alferio nel 1275 e il 1° ottobre 1289 il vescovo Roberto approvava l’associazione laicale della Fraterna, che ispirava la sua opera caritativa e sociale all’insegnamento e agli esempi del grande concittadino Pietro del Morrone, segno di quello spirito associazionistico sentito anche tra il clero secolare: nel 1224 Onorio III (1216-1227) aveva incaricato i vescovi di Teano e di Alife, con l’abate di Santa Maria della Ferrara, di recarsi in Venafro per valutare la richiesta avanzata da un non meglio precisato vescovo T.
e dai canonici del luogo, i quali chiedevano l’assenso pontificio per l’erezione di una casa (canonicam facere), attigua alla cattedrale, ove condurre vita comune.
Il terribile terremoto del settembre 1349 seminò ovunque distruzione e morte; le vittime si contarono a centinaia.
Insieme alle due città capoluogo di diocesi furono distrutte anche le due cattedrali.
Il triste avvenimento potrebbe, in qualche modo, spiegare l’impiantazione, a Venafro, della confraternita dei Flagellanti, costituitasi con l’approvazione del vescovo Nicola il 1° gennaio del 1387.
Ma il sisma non scalfì i valori profondamente radicati in queste popolazioni: durante le tristi vicende dello scisma d’Occidente, benché Giovanna I di Napoli si fosse schierata per l’antipapa Clemente VII, Isernia e Venafro rimasero fedeli a Urbano VI.
Una tale fedeltà ecclesiale trovò riflesso a livello politico- civile quando, saliti al trono di Napoli gli aragonesi, Isernia mostrò viva devozione ad Alfonso I d’Aragona il quale, vittorioso sul ribelle Antonio Caldora, nella memorabile battaglia del 28 giugno 1442 nell’agro di Carpinone-Sessano, dichiarò l’antica capitale del Sannio pentro civitas fidelissima e città regia in perpetuo.
Ma anche l’epoca aragonese fu segnata da nuovi disastrosi terremoti che durarono dal dicembre 1456 al maggio dell’anno seguente.
Il 4 dicembre 1456 furono funestate città e paesi delle due diocesi.
A Isernia, ove i danni furono più gravi che non a Venafro, il vescovo Giacomo Montaquila venne estratto vivo dalle macerie della cattedrale dopo tre giorni.
II - Da Trento ai nostri giorni
Venuta l’epoca del concilio di Trento, insieme al vescovo di Isernia Antonio Numaio sedettero tra i padri dell’assise ecumenica gli isernini Giovan Tommaso Sanfelice, vescovo di Cava de’ Tirreni, e l’umanista Onorato Fascitello, vescovo di Isola in Calabria, cui dobbiamo uno schema di decreto per l’obbligo della residenza dei curatori di anime, mentre al vescovo Giambattista Lomellino, venuto a Isernia nel 1567 da Guardialfiera, si devono i maggiori decreti di riforma per l’attuazione del concilio.Mezzo secolo di spirito tridentino visse invece nell’opera dei vescovi di Venafro Acquaviva d’Aragona (1558- 1573) – sotto cui, nel 1568, fu istituito il seminario diocesano –, Orazio Caracciolo (1573-1581) e Ladislao d’Aquino (1581- 1621), cardinale, morto nel conclave da cui uscì eletto Gregorio XV.
Se l’impegno del primo si svolse contro l’indisciplina del clero e l’indifferenza religiosa dei fedeli, l’opera pastorale degli altri due fu tesa allo stimolo della pietà religiosa e al recupero culturale, con l’indottrinamento dei fedeli chierici e laici, e con risultati non adeguati all’impegno profuso.
Nondimeno il rafforzarsi della presenza religiosa lascia ben sperare: a Isernia i francescani aprirono nuove case a nord e a sud della città (Santa Maria delle Grazie e Santa Maria degli Angeli), nonché a Forli del Sannio (Santa Maria delle Grazie); i domenicani ristrutturarono il loro convento di Santa Croce; i celestini si trasferirono in città e gli agostiniani si trapiantarono a Monteroduni.
A Venafro agli antichi conventuali si aggiunsero i cappuccini, assieme ad agostiniani, carmelitani, clarisse e alcantarini, per non dire delle congreghe di preti e di laici e dell’architettura sacra che dominava l’urbanistica delle due città.
Una consistente attività sinodale, forte di trentatré sinodi, dal XVII al XX . consente di cogliere in un colpo d’occhio tutto il cammino della Chiesa diocesana dall’epoca post-tridentina ai nostri giorni (1627-1937): il sentiero tracciato da Trento è continuamente ripercorso alla luce delle emergenze pastorali, e se a Venafro, nel 1728, il vescovo Vincenzo Martinelli inaugurò un nuovo seminario introducendovi dodici seminaristi, a Isernia, nello stesso anno, fu eretto il seminario dal vescovo Francesco Saverio De Leone.
All’inizio del XIX . il violento terremoto del 26 luglio 1805 provocò come una battuta d’arresto nella vita ecclesiale, seminando nuova rovina e morte.
A Isernia la cattedrale, abbellita di elegantissimo pronao, fu riaperta al culto dal vescovo Gennaro Saladino nel 1852, lo stesso anno in cui papa Pio IX (1846-1878) restituì Venafro all’antica dignità di cattedra vescovile, dopo la penosa soppressione del 27 giugno 1818, successiva alla morte del vescovo Donato De’ Liguori, unendola aeque principaliter a Isernia: dopo circa sei secoli, i cammini di queste due chiese sorelle si ricongiungevano.
Le nuove ideologie politiche convergenti all’unità d’Italia non trovarono, specie a Isernia, terreno fertile: la massa del popolo amava i Borbone, sentendoli suoi paladini e benefattori.
Il 1860, l’anno della «rivoluzione d’Isernia», fu il momento della prova di questa fedeltà ai Borbone, della quale il vescovo Gennaro Saladino si fece ardente corifeo.
Se propugnò l’attaccamento ai Borbone, il Saladino, però, mai incitò alla violenza e alla criminalità: condannò i fatti di sangue e gridò contro quei contadini che volevano giustificare tali crudeltà con motivazioni politiche o servirsi di queste come copertura di private vendette.
Il tutto Saladino pagò con le percosse dei garibaldini, che lo rinvennero in preghiera davanti al Santissimo in cattedrale (poco mancò che non lo finissero, se un canonico non si fosse gettato sul vescovo languente a terra per proteggerlo), con il saccheggio della sua casa e con l’esilio a Roma, ove chiuse i suoi giorni nel 1871.
Passata la bufera del 1860, mentre l’Italia unita cominciava il suo faticoso cammino, al timone della diocesi di Isernia e Venafro si successero vescovi di notevole statura, ben dieci nel periodo 1872-1986.
Tra essi ricorderemo in modo particolare il napoletano Agnello Renzullo (1880- 1891) morto a Nola in concetto di santità, sotto il quale giunsero a Venafro (1883-1991) e a Isernia (1887-1944) le Figlie della Carità di san Vincenzo de’ Paoli, per svolgervi una impareggiabile opera caritativo-pedagogico-assistenziale; il benemerito Nicola Maria Merola (1893- 1916), cui Venafro intitolò una delle piazze più belle del suo centro storico, autore del primo sinodo interdiocesano (1906); il reggiano Pietro Tesauri (1933-1939), futuro arcivescovo di Lanciano e Ortona, l’uomo inviso tanto alle destre quanto alle sinistre politiche del tempo già dagli anni del ministero sacerdotale, per i successi ottenuti specie nell’impulso dato all’associazionismo cattolico, che nel 1937 celebrò il II sinodo interdiocesano; il salesiano Giovanni Lucato (1948-1962), il vescovo ricostruttore venuto dall’esperienza del vicariato apostolico di Derna in Cirenaica, cui si devono tra l’altro i congressi eucaristico e mariano, e il suo successore Achille Palmerini (1962-1983) che prese parte al concilio ecumenico Vaticano II, attuandone in diocesi le direttive e gli insegnamenti con apostolico ardore, nel solco dell’opera avviata dai suoi predecessori.
Della vasta opera del Palmerini – alle cui cure pastorali, il 21 marzo 1977, furono affidate dalla Congregazione per i vescovi ben quindici parrocchie dell’alto Volturno, fino ad allora poste sotto la giurisdizione di Montecassino – sono da ricordare i restauri e la riapertura al culto delle due cattedrali, l’erezione di nuove parrocchie con la costruzione di chiese e opere parrocchiali, il nuovo impulso dato alle vocazioni ecclesiastiche con il trasferimento e la ristrutturazione del seminario da Venafro a Isernia, la paterna sollecitudine nel seguire la formazione costante dei presbiteri e dei seminaristi, la celebrazione dei congressi liturgico-pastorale, eucaristico e mariano, l’attenzione e l’impulso all’associazionismo e all’apostolato dei laici.
Una consistente eredità, raccolta dai successori e nuovi presuli della diocesi di Isernia- Venafro, nata nel 1986, Ettore Di Filippo (1983-1990), futuro arcivescovo di Campobasso- Boiano, e Andrea Gemma (1990- 2007).
Alla guida della diocesi altomolisana è attualmente il vescovo Salvatore Visco.
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Mappa
Diözese von Isernia - Venafro
Chiesa di San Pietro Apostolo
-
La facciata principale della cattedrale di S. Pietro apostolo ad Isernia -
Veduta dell’aula dall’ingresso -
Il presbiterio
Diözesen
QUELLE
Le diocesi d'Italia, a cura di L. Mezzadri, M. Tagliaferri, E. Guerriero, Torino, San Paolo edizioni, 2007-2008, 3 volumi.