È una piccola diocesi incuneata tra il mare Jonio, l’Aspromonte e le diocesi di Reggio e di Locri-Gerace. I suoi abitanti oggi sono poco meno di 20.000. La sua origine è da collocarsi intorno al 1051, tra la fine del dominio bizantino in Calabria e l’inizio di quello normanno. In quel tempo, gli arabi distrussero le sedi diocesane di Tauriana e di Vibo, per cui a posto di quelle si vollero creare due nuove sedi suffraganee: Oppido e Bova. Un certo tempo dopo, i normanni organizzarono la nuova diocesi di Mileto sul territorio delle diocesi di Vibo e di Tauriana. La diocesi di Bova si dimostrò opportuna perché poté mitigare la crisi sorta tra i fedeli greci a causa della nomina da parte dei normanni di un arcivescovo latino a Reggio, in sostituzione di quello greco. Allora «Luca vescovo di Bova», oltre che «amministratore della grande sede metropolitana di Reggio» divenne di fatto «vescovo di tutto l’Aspromonte, da Bova fino a Nicotera e a Rossano e per tutta la Sicilia ». Oltre al testamento, di Luca ci rimangono tre lettere pastorali e un discorso. Siamo probabilmente negli anni della reggenza di Adelaide del Vasto, vedova del gran conte Ruggero e madre di re Ruggero II (1101-1112), quando «la chiesa greca della Calabria e della Sicilia passò dalla tolleranza di Ruggero alla benevolenza di Adelasia» (Pontieri). Dai cennati documenti di Luca appare che, in quel tempo, la popolazione di Bova era fedele alla pratica religiosa. Così come quella di Nicotera e di Reggio, città per la quale Luca esprime tutta la sua ammirazione: «E più di tutto lodo ed esalto sopra ogni altra città, e sopra tutti gli altri cittadini di stirpe latina o greca, Reggio, l’elevata e illustre città madre». Però non mancano i difetti e i vizi, tra cui la prostituzione, i costumi pagani, il pettegolezzo; nei funerali «le strida e le lamentazioni come fanno i seguaci di Maometto »; nei matrimoni, gozzoviglie, declamazione di versi pieni di volgarità, l’«inghirlandarsi cinti di spada o di coltelli ». Luca raccomanda la confessione sacramentale, la frequenza alle chiese, in cui bisogna stare «non con superbia, loquacità, impudenza, appoggiati sui bastoni con aria di disprezzo», ma come conviene «nel cielo terrestre qual è la chiesa». Raccomanda di soccorrere i poveri, i sacerdoti nel bisogno, esorta alla santa comunione con pietà. Nel «discorso per coloro che muoiono» afferma che bisogna rallegrarsi e non piangere sui morti, come fanno i figli di Agar: «vi supplico, cessi d’imperversare l’emozione, il lamento, il pianto, le grida, se colui che muore è dei nostri». Nel testamento Luca afferma ancora che lui non è «né grammatico, né retore né filosofo », ma solo un pastore di anime: «per 45 anni, lo dico con vergogna, mi sono affaticato a parlare nelle adunanze e nelle feste, e la mia gola si è logorata nel continuo affannarmi a togliere di mezzo a voi usi e costumi dei Greci e dei figli di Agar». Allora erano assai numerosi i monasteri di spiritualità orientale, «basiliani». San Leo, protettore di Bova, era un monaco basiliano, grande per la sua spiritualità e la devozione alla Santa Croce. In tempi di miseria e di pestilenza, san Leo da monaco si trasformò in commerciante di resina, che raccoglieva tra i pini dell’Aspromonte e andava poi a vendere ai mercanti delle grandi repubbliche marinare, nel porto di Messina. Provvedeva così il pane alla gente del suo Aspromonte. Nella vita civile i normanni introdussero le contee. L’arcivescovo di Reggio divenne così conte di Bova. Ma la confusione tra i poteri civili e religiosi nella persona dell’arcivescovo spesso determinò incomprensioni tra le due diocesi e anche ribellioni. Nel 1573 il vescovo di Bova Giulio Stauriano, un domenicano proveniente da Cipro, soppresse il rito greco nella sua diocesi, tra le proteste generali. Tuttavia, il rito e ancor più la lingua greca continuarono in quei paesi interni e isolati dell’Aspromonte ancora per lungo tempo. Nel corso del 1700, tante iniziative benefiche sorsero nella diocesi di Bova: monti frumentari, monti pecuniari, monti dei pegni. Ai primi del Novecento, san Luigi Orione e sant’Annibale Maria di Francia, anche a Bova, suscitarono iniziative a favore degli orfani, e sorsero pure società cooperative. L’8 gennaio 1940, in seguito alla rinunzia del vescovo Giuseppe Cognata, Bova fu unita ad personam all’arcivescovo di Reggio. Il 30 settembre 1986 la Congregazione per i vescovi la unificò all’arcidiocesi di Reggio. Per effetto dello stesso decreto Instantibus votis la nuova diocesi oggi viene ufficialmente denominata arcidiocesi di Reggio-Bova, la cattedrale mantiene il titolo di concattedrale, san Leo è compatrono della nuova circoscrizione diocesana.