L’archivio conventuale conserva la documentazione prodotta dall’ordine religioso di appartenenza, in genere da un ordine mendicante. I membri di questi ordini mendicanti, che a partire dagli inizi del XIII secolo si aggiungono ai monaci, prendono il nome della povertà corporativa che completa la povertà individuale e comporta l’incapacità di possedere anche come corpo sociale. Oltre a questo severo carattere della povertà, al quale per quasi tutti gli ordini fu poi, per le circostanze dei tempi, più o meno ampiamente derogato, i Mendicanti hanno un altro carattere comune, cioè l’unione della vita regolare al ministero sacerdotale, apostolico, missionario, o caritativo in diverse forme. È inoltre carattere comune ai Mendicanti, da essi introdotto e poi trasmesso alle forme religiose posteriori, la centralizzazione del regime che fa capo a un superiore supremo con pieni poteri, e l’organizzazione in province territoriali. Mentre i mendicanti di sesso maschile hanno introdotto e accentuata l’attività apostolica, le religiose appartenenti agli ordini mendicanti hanno conservato i caratteri claustari dell’organizzazione monastica.
La documentazione prodotta dai mendicanti, risalente al XIII secolo per i conventi di più antica fondazione, è particolarmente interessante sia per la vita religiosa attestata da questi ordini sia per la vita civile, ritrovandosi in genere i conventi degli ordini mendicanti in contesti urbani, diversamente da ciò che avveniva per i monasteri, costruiti per lo più lontano dai centri abitati.
Attualmente, dopo alcune riorganizzazioni di età moderna promosse dalla stessa autorità ecclesiastica (soppressione innocenziana) e le cosiddette “leggi eversive” ottocentesche, non sono molti gli archivi conventuali rimasti integri nelle sedi originarie. In maggioranza, infatti, sono depositati presso gli archivi di Stato, spesso smembrati per la distinzione tra fondi pergamenacei e fondi cartacei. Fanno eccezione alcuni pochi stabilimenti ecclesiastici dichiarati monumenti nazionali con la legge 7 luglio 1866, n. 3096, che all’art. 33 prevedeva per il governo l’obbligo della conservazione di alcuni complessi monumentali e, all’art. 18, comma 7, escludeva dalla devoluzione al demanio e dalla conversione tali complessi. Oggi, in genere, presso i conventi esistono archivi costituitisi dalla fine del XIX secolo, ma spesso con tracce dell’antico patrimonio archivistico o scampato all’incameramento o recuperato sul mercato antiquario.
DOCUMENTAZIONE CONSERVATA
Ridurre a schema generale la struttura di un fondo archivistico e proporlo come prototipo di ordinamento di un determinato ente è sempre un’operazione azzardata. Ogni archivio possiede caratteristiche proprie in relazione al processo di sedimentazione, di conservazione, di riordino delle carte e ciò vale soprattutto per gli Archivi conventuali, difficilmente riconducibili ad unum per la molteplicità degli ordini con Regole e statuti diversi, amministrati gerarchicamente in modo differenziato. Per dare un’idea delle carte prodotte da questi archivi si offre qui un elenco per categorie possibili, sicuramente non esaustivo dell’effettiva natura e struttura di ciascun archivio.
Documenti prodotti relativi a:
- atti fondativi con statuto, regola, facoltà e privilegi, diritti di proprietà, libri campioni sulle origini del convento e regesti degli atti più antichi;
- patrimonio e amministrazione: registri del partitario, dell’amministratore o procuratore (economo) e del depositario, registri della questua, inventari di beni immobili (platee e cabrei), donazioni, testamenti;
- capitoli e definitori: verbali, registri dei definitori;
- curia provinciale: corrispondenza;
- curia generalizia: corrispondenza;
- curia diocesana: atti delle visite canoniche, corrispondenza;
- Santa Sede: corrispondenza, esenzioni, privilegi, facoltà, dispense, cause;
- autorità civili: corrispondenza, cause;
- persone ecclesiastiche: registri delle vestizioni e professioni, doti monacali, cause di canonizzazione e beatificazione, registri dei casi di coscienza, biografie, carteggi, prediche e discorsi;
- attività di culto: registri di messe, elenchi delle reliquie;
- attività assistenziali, formative, missionarie: scritti e studi di teologia, filosofia, metafisica, retorica, filologia e linguistica, storia, testi manoscritti.
- patrimonio e amministrazione: registri del partitario, dell’amministratore o procuratore (economo) e del depositario, registri della questua, inventari di beni immobili (platee e cabrei), donazioni, testamenti;
STORIA
Gli ordini mendicanti sorsero nel XIII secolo, mentre rifioriva in Europa la vita delle città e gli antichi ordini monastici vivevano una stagione di crisi.
Con l’espressione ordini mendicanti si designano oggi alcuni ordini religiosi e precisamente, nell'ordine cronologico della loro fondazione, i Frati predicatori; le tre diramazioni dell'ordine francescano (Minori, Conventuali e Cappuccini); gli Agostiniani (eremitani, recolletti e romitani scalzi); i Carmelitani (carmelitani dell'antica osservanza e carmelitani scalzi); l'ordine della SS.ma Trinità; i Mercedarî; i Serviti; i Frati minimi; i Fatebenefratelli e l'Ordine della penitenza di Gesù Nazareno.
La ragione storica del sorgere dei primi due grandi ordini mendicanti va ricercata nella grave situazione venuta a maturarsi nel Trecento a seguito alla propaganda dei vari movimenti pauperistici. Domenicani e Francescani, che, pur rimanendo nei ranghi della Chiesa, rivendicavano anch'essi il più illimitato proposito di povertà, raggiunsero quegli obiettivi di rinnovata vitalità ecclesiale non raggiunti dalle varie riforme sorte in seno all'ordine benedetttino e dallo stesso clero secolare. Il privilegio di essere annoverati fra gli ordini mendicanti fu esteso ai Carmelitani da Innocenzo IV (1245), agli Eremiti agostiniani da Alessandro IV (1256) ai Serviti da Martino V e Innocenzo VIII e ai Gesuiti da S. Pio V (1571). Il concilio di Trento (Sessione XXV, cap. 3) concesse a tutti gli ordini mendicanti - a eccezione di Frati minori e Cappuccini - facoltà di possedere in comune.
Come gli ordini monastici, anche i mendicanti ebbero a cuore la buona tenuta dei loro archivi, benché non tutti gli istituti coltivassero in ugual misura l’impegno dello studio e dell’istruzione. Nel 1588 Sisto V ordinò la compilazione dell’inventario dei beni. Nel 1727 Benedetto XIII, con la costituzione Maxima vigilantia, impose l’istituzione dell’archivio anche per monasteri e conventi, indicando quali documenti vi si dovessero necessariamente conservare: atti di fondazione con le facoltà apostoliche relative, il breve apostolico per la clausura femminile, il registro di ingresso e di professione di novizi e novizie, l’esemplare delle Regole e degli Statuti, il libro delle risoluzioni capitolari, inventari di beni e diritti del convento erano le carte indispensabili alla vita della comunità religiosa.
Con l’istituzione dell’annalista, o cronista dell’Ordine, responsabile della compilazione delle memorie storiche, l’archivio conventuale assunse in età moderna l’ulteriore funzione della custodia e diffusione della memoria storica dell’istituto attraverso una letteratura storico-documentaria presente praticamente in ogni ordine e rappresentata da Annales, Chronicon, Chronologium, Historiae, nonché Bullaria, contenenti la trascrizione di bolle, brevi pontefici e altri documenti relativi alla vita dell’ordine.
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