Diözese von Cosenza - Bisignano
GESCHICHTE
I - Le origini
Non si hanno notizie documentate sull’inizio dell’evangelizzazione di Cosenza, ma, data la sua posizione nella rete stradale, si può ipotizzare che essa sia avvenuta nella seconda metà del I . da persone provenienti dalla Campania e che, secondo l’uso del tempo, fin dagli inizi sia stata costituita in città una piccola comunità guidata da un vescovo.La tradizione, formatasi molti secoli più tardi, attribuisce alla città due vescovi nel corso del primo secolo: Suera (o Sueda) e san Pancrazio, ma per ambedue vi sono forti dubbi.
Suera sarebbe stato compagno di apostolato e di martirio di santo Stefano di Nicea, il quale a sua volta sarebbe stato lasciato a Reggio da san Paolo.
Suera è conteso come primo vescovo anche da Bova, Locri, Turio ecc., ma sia lui sia santo Stefano sono personaggi sui quali non si sa nulla di certo.
Come secondo vescovo di Cosenza, o addirittura come primo, viene indicato san Pancrazio, che sarebbe stato anche vescovo di Taormina, dove sarebbe morto martire.
Anche san Pancrazio vescovo è un personaggio leggendario, mentre tale non è il giovinetto dello stesso nome, martirizzato a Roma sulla via Aurelia.
Alcuni hanno ritenuto che il nome Pancrazio, dato al colle su cui è situato il castello di Cosenza, sia derivato dal nome di questo vescovo, ma il nome trova piuttosto la sua spiegazione etimologica in Pan Chratis (tutto il Crati) perché da esso si gode la visione di tutta la valle del Crati.
Per i tre secoli successivi la tradizione tace, ma un documento del 342 accenna ai vescovi della regione senza riportare alcun nome.
Per il V . la tradizione riporta due nomi: Severo e Sereno.
Il primo nome è tratto da una decretale del papa Innocenzo I che la diresse nel 416 a Massimo e Severo «episcopos per Bruttios».
La dizione «Bruttios» ha indotto alcuni autori a ritenere che almeno uno dei due appartenesse a Cosenza, che era la metropoli dei Bruzi, ma sulla sola base di questa dizione non è assolutamente possibile stabilire chi dei due fosse di Cosenza, o se veramente uno dei due lo fosse.
Il secondo nome del V sec., Sereno, è tratto anch’esso da una decretale pontificia.
Nel 496, infatti, papa Gelasio I diresse cinque decretali ad alcuni vescovi della regione nominando esplicitamente Maiorico, Sereno e Giovanni «episcopi Bruttiorum».
Di queste decretali due sono dirette a Giovanni «episcopo Vibonensi»; un’altra a «Maiorico et Iohanni episcopis», affidando loro il compito di visitare Squillace; un’altra riporta il nome di Sereno senza alcuna indicazione topografica.
Ovviamente su questa base non è possibile né affermare, né escludere che Sereno sia stato vescovo di Cosenza.
Per il VI . lo storico cosentino Davide Andreotti riporta i nomi di due vescovi: Teodoro Savelli e Vitaliano, ma di essi manca qualsiasi documento storico, per cui sono probabilmente sue invenzioni.
Alla fine del VI . appare finalmente il primo nome documentato.
Nel 598, infatti, san Gregorio Magno scrisse al vescovo di Messina accennando a Palumbo, già arcidiacono di Cosenza e allora vescovo della città; nell’aprile dell’anno successivo lo stesso papa scrisse al suddiacono Sabino, che amministrava il patrimonio della Chiesa romana nel Bruzio, e gli chiese di adoperarsi con il vescovo Palumbo di Cosenza e altri vescovi per comporre i dissidi sorti all’interno della diocesi di Reggio tra il clero e il vescovo Bonifacio.
Contemporaneamente, scrisse anche a Sabino perché esortasse Palumbo ad agire con minore negligenza nell’adempimento del suo dovere pastorale.
Nel 602 Palumbo era già morto, perché sempre papa san Gregorio Magno scrisse al popolo e al clero di Cosenza perché ubbidissero al vescovo di Vibona inviato in città come visitatore.
Ottanta anni dopo appare il nome di un altro vescovo di Cosenza, Giuliano (Iulianus), che nel 679 intervenne al sinodo romano di papa Agatone e l’anno successivo partecipò al concilio ecumenico di Costantinopoli sottoscrivendo gli atti in latino, mentre tutti gli altri vescovi della regione firmarono in greco.
Nell’VIII . si ha ancora un solo nome, quello di Pelagio, di cui si sa soltanto che nel 743 intervenne al sinodo romano di papa Zaccaria.
Il nome di questo vescovo, tuttavia, è stato confuso da molti con quello di Roffrido, che invece era vescovo di Taranto.
Insieme a Pelagio partecipò al sinodo romano del 743 anche Anteramo di Bisignano, il primo vescovo di questa diocesi di cui si ha notizia certa.
Per il IX . la tradizione riporta tre vescovi (Odelberto Squillaiani, Gherardo e Godelberto), quasi certamente inventati, e per il X altri tre vescovi (Iselgrimo, Sigismondo Buglione Gallo e Ugone di Alfione).
Ma mentre è certo che Iselgrimo resse la diocesi in un periodo compreso tra il 902 e il 920, perché in quel periodo permutò un terreno con l’abate benedettino del monastero di San Vincenzo al Volturno, gli altri due sono molto probabilmente nomi inventati.
II - Dal Medioevo al concilio di Trento
La prima notizia relativa al titolo arcivescovile di Cosenza è riferita da Lupo Protospata il quale scrisse laconicamente che nel 1056 «morì Pietro, arcivescovo di Cosenza».Su questa breve frase nulla si può dire con certezza, perché manca qualsiasi altro documento.
Sembra certo, tuttavia, che non vi fu il consenso dei bizantini, che allora dominavano la Calabria, perché le notizie di fonte greca degli anni successivi continuano ad assegnare Cosenza alla metropolia greca di Reggio; non vi fu nemmeno il consenso di Roma, perché due anni dopo papa Stefano IX riconosceva ancora la soggezione di Cosenza alla metropolia di Salerno.
Non resta che ipotizzare un tentativo autonomo di Pietro o di un suo ignoto predecessore.
Finora non è stato rinvenuto l’atto ufficiale pontificio che successivamente conferì o riconobbe al vescovo di Cosenza il titolo arcivescovile; tuttavia, mentre il decreto sinodale di Nicolò II sull’elezione del papa, emanato il 13 aprile 1059, fu firmato da Arnolfo, con il titolo di «episcopus Cusentinus», nel concilio di Melfi del 13 agosto dello stesso anno egli fu definito «archiepiscopo Cusentino», facendo fondatamente supporre che nel frattempo sia stata emanata la sanzione pontificia.
Il riconoscimento del titolo di arcivescovo sottrasse Cosenza alla dipendenza da Reggio e da Salerno e lo pose nella immediata soggezione da Roma.
Dopo il primo riconoscimento del 1059 altri ne seguirono.
In un diploma dell’arcivescovo di Acerenza del 1060 il vescovo di Cosenza è nuovamente qualificato come arcivescovo, e con tale titolo nel 1063 presiedette un sinodo a Bari per incarico di papa Alessandro II.
Il titolo di arcivescovo fu poi utilizzato nel 1077 per Ruffo e nel diploma del 1093 del duca Ruggiero per confermare ad Arnolfo il possesso feudale della contea di San Lucido.
Nel 1098 Urbano II confermò i diritti metropolitani di Salerno su Acerenza e Conza, ma non incluse Cosenza, ovviamente perché ormai autonoma.
Il titolo di metropolita fu conferito in seguito all’arcivescovo di Cosenza, perché nel concilio del Laterano del 1179 la diocesi di Martirano fu indicata come sua suffraganea mentre prima era suffraganea di Salerno.
Nel corso del XII . sorse in diocesi di Cosenza l’ordine monastico dei florensi, approvato da Celestino III nel 1196 e fondato da Gioacchino da Fiore, ricordato da Dante Alighieri come «il calavrese abate Giovacchino di spirito profetico dotato» (Paradiso, XII, 140-141).
Nato verso il 1130, era entrato prima nell’ordine dei cisterciensi e, autorizzato dal papa Lucio III, aveva scritto varie opere esegetiche ed elaborato una teoria tripartita della storia che avrebbe avuto forte e ampia influenza sulla cultura del Medioevo fino all’epoca contemporanea.
L’ordine florense si diffuse notevolmente ma poi decadde e nel 1570 fu assorbito dai cisterciensi.
Fra gli arcivescovi del Medioevo si distinsero Luca Campano (1201-1224) e Pirro Caracciolo.
Luca Campano, già segretario amanuense di Gioacchino da Fiore, ricostruì la cattedrale di Cosenza, distrutta dal terremoto del 1184, e la riconsacrò nel 1222 alla presenza di Federico II, che donò una splendida croce contenente una reliquia della croce di Cristo.
Ricoprì vari incarichi di fiducia affidatigli da vari pontefici ed emanò vari provvedimenti per l’amministrazione pastorale della diocesi.
A Pirro Caracciolo (1452-1481) si deve, fra l’altro, il primo riconoscimento dell’ordine dei minimi di san Francesco di Paola, la costruzione della chiesa di San Domenico e l’erezione dell’ospedale dell’Annunziata.
Quasi tutti i successivi arcivescovi si occuparono poco di Cosenza e la considerarono più una fonte di reddito che una chiesa da curare.
Dimorarono poco nella diocesi o non vennero nemmeno a prenderne possesso direttamente.
Un problema storiografico, invece, è l’identificazione del «Pastor di Cosenza», ricordato da Dante (Purgatorio, III, 124) come colui che avrebbe disperso le ossa di Manfredi, morto nella battaglia di Benevento del 1266.
Probabilmente era Bartolomeo Pignatelli, ma gli storici non sono d’accordo.
Francesco Russo, tuttavia, mette in dubbio l’esattezza della notizia data da Dante, perché non gli appare coerente che il «Pastor di Cosenza», per non far riposare in un feudo della Chiesa le ossa di Manfredi, le abbia gettate al di là del fiume Verde, cioè proprio all’interno del territorio direttamente appartenente alla stessa Chiesa.
Nel Medioevo sorsero in città e in diocesi numerosi monasteri e conventi, maschili e femminili: benedettini, cisterciensi, florensi, francescani (conventuali, osservanti, riformati, e poi cappuccini nel Cinquecento), domenicani (che vi eressero uno studio generale dell’ordine), clarisse, agostiniani (fra i quali a Cosenza ebbe origine la corrente degli zumpani), carmelitani (nel Cinquecento).
Ai primissimi francescani apparteneva sant’Ugolino da Cerisano, martirizzato nel 1227 a Ceuta insieme con altri sei confratelli.
La gemma più fulgida del periodo è san Francesco di Paola (1416-1507), che costruì vari conventi ispirati a una rigida regola, che comprendeva il rispetto perenne della quaresima per l’alimentazione.
L’ordine dei minimi da lui fondato, dopo l’approvazione del Caracciolo nel 1471, ottenne quella del papa Sisto IV nel 1472 e nel 1474.
A san Francesco sono attribuiti numerosi miracoli e soprattutto la sua grande carità e la difesa del popolo dalle angherie dei potenti.
Su richiesta di Luigi XI di Francia e per ordine del papa si recò in Francia per guarire il re, ma lo esortò invece a prepararsi cristianamente alla morte.
Protetti dai successivi re di Francia, i minimi si diffusero notevolmente in Europa e in America.
III - Dal concilio di Trento al 1818
Durante il concilio di Trento (1545-1563) la diocesi fu affidata prima come amministratore e poi come vescovo a Taddeo Gaddi (1535-1561).Creato cardinale nel 1557, egli non mise mai piede in Cosenza e la governò tramite un vicario.
Durante il suo episcopato, nel giugno del 1561, circa duecento abitanti valdesi di San Sisto e di Guardia furono uccisi per ordine del viceré di Napoli.
La strage fu ordinata per rappresaglia, perché, temendo di essere arrestati dall’inquisitore per eresia, gli abitanti di San Sisto avevano ucciso cinquantatré guardie del duca di Montalto da cui dipendevano.
Gli arcivescovi nominati dopo il concilio di Trento ne attuarono i decreti, e primo fra tutti l’obbligo della residenza in diocesi.
Tommaso Telesio (1565-1569) istituì il seminario diocesano, per il quale Evangelista Pallotta (1587-1591), poi cardinale, costruì una sede stabile.
Fantino Petrignani (1577- 1585) convocò un concilio provinciale; Giovan Battista Costanzo convocò tre sinodi diocesani e un concilio provinciale (1596); altri sinodi furono convocati da Paolo Emilio Santoro (1617-1623), Giulio Antonio Santoro (1624-1639), Antonio Ricciulli (1641-1643), Alfonso Castiglione Morelli (1643-1649), Gennaro Sanfelice (1661- 1694), Andrea Brancaccio (1701-1725), Vincenzo D’Aragona (1725-1743) e Gennaro Clemente Francone (1772-1792).
Inoltre da Costanzo in poi quasi tutti effettuarono la visita pastorale in diocesi, stimolando l’attività pastorale dei parroci.
Tuttavia, nonostante questa attività, sono frequenti nelle relazioni ad limina le denunce della scarsa preparazione del clero e dell’ignoranza religiosa dei fedeli.
Per sollevare le condizioni religiose e morali della popolazione furono chiesti e accolti altri ordini religiosi, fra i quali i gesuiti e i teatini.
I gesuiti, in particolare, diedero un contributo notevole, perché, oltre a compiere varie missioni nei territori abitati dai valdesi, aprirono a Cosenza (1592) e a Paola (1615) due collegi per curare la preparazione culturale dei giovani delle classi più elevate.
Nel Cinquecento Cosenza fu illustrata dal filosofo Bernardino Telesio (1509-1588), che aprì una nuova strada alla filosofia.
L’anticlericalismo dell’Ottocento fece del Telesio un perseguitato dell’Inquisizione, perché la sua opera principale fu posta all’Indice dopo la sua morte, ma in realtà godette di grande stima, perché, pur essendo vedovo e con tre figli, nel 1565 gli fu offerta la nomina ad arcivescovo di Cosenza, che però rifiutò e fu poi conferita al fratello Tommaso (1565-1569).
Dal 1806 al 1818, durante il periodo francese, Cosenza fu retta da un vicario capitolare, perché il contrasto tra la Santa Sede e Napoleone non rese possibile la nomina di un arcivescovo.
IV - Dal 1818 al Vaticano II
Nel 1818, dopo la fine del decennio francese, nel concordato stipulato tra la Santa Sede e il Regno delle Due Sicilie, tra le varie diocesi soppresse rientrò anche Martirano, per cui Cosenza rimase senza suffraganea ma continuò a mantenere il titolo di sede metropolitana.La situazione si presentava molto difficile, sia perché erano stati soppressi tutti i conventi e i monasteri, sia perché la diocesi era politicamente agitata.
Tuttavia, grazie all’opera dei due arcivescovi Domenico Narni Mancinelli (1818-1832) e Lorenzo Pontillo (1833-1874), la vita religiosa ritornò alla normalità e alcuni ordini religiosi riuscirono a riprendere la loro opera.
L’intervento personale di Pontillo, dopo la repressione della rivolta di Cosenza del giugno-luglio 1848, risparmiò gravi danni alla città.
Monsignor Pontillo celebrò un sinodo diocesano nel 1859, ma non riuscì a terminarlo a causa dei sommovimenti politici che portarono alla creazione del Regno d’Italia.
Nel 1867 il Parlamento italiano soppresse nuovamente ordini e congregazioni religiose, incamerò i loro beni e quelli delle parrocchie e del capitolo, e tentò di sottoporre alla giurisdizione civile anche il seminario, che per alcuni anni dovette interrompere la sua attività.
La situazione religiosa precipitò notevolmente, anche perché in città si sviluppò un notevole anticlericalismo.
L’arcivescovo Camillo Sorgente (1874- 1911) trovò al suo ingresso il seminario chiuso e soltanto alcuni frati e poche suore che tentavano di sopravvivere in appartamenti privati.
Riaprì il seminario e riuscì ad affidarlo a sacerdoti di valore.
L’apertura del seminario regionale di Catanzaro nel 1912, voluta da Pio X, diede poi un contributo determinante alla formazione di un clero colto e religiosamente ben preparato.
Contemporaneamente, grazie a un mezzo secolo d’impegno, la presenza dei religiosi ritornò a offrire alla vita pastorale un prezioso servizio.
A essa si aggiunse l’opera dell’Azione cattolica, fortemente favorita da monsignor Sorgente.
Questi, infatti, nel 1895 chiamò dalla diocesi di Cassano Ionio il giovane sacerdote Carlo De Cardona (1871-1958), appena ordinato, il quale superò le difficoltà frapposte dall’anticlericalismo e dallo stesso clero, e s’impegno nella creazione delle organizzazioni cattoliche del tempo.
Per combattere l’usura e favorire lo sviluppo sociale dei contadini don Carlo promosse l’istituzione di leghe del lavoro e soprattutto di casse rurali: ben centouno nella sola diocesi di Cosenza e numerose altre nel resto della regione.
I successori di monsignor Sorgente si impegnarono nella stessa direzione.
Tommaso Trussoni (1912-1934) curò il seminario, l’aggiornamento del clero e l’Azione cattolica, attuando le indicazioni pastorali di Pio XI.
Roberto Nogara (1934-1940) indisse il sinodo diocesano e promosse un’intensa opera pastorale nelle parrocchie.
Aniello Calcara (1940-1961) affrontò con decisione e ampiezza di visione la guerra e la ripresa della vita democratica in Italia; indisse anche il sinodo diocesano.
Domenico Picchinenna (1961-1970) partecipò al Vaticano II e attuò immediatamente la riforma liturgica e la costituzione degli organismi di partecipazione.
V - Dal Vaticano II in poi
I successori di monsignor Picchinenna continuarono nell’opera di rinnovamento decisa dal Vaticano II.In particolare Enea Selis (1971-1979) istituì otto nuove parrocchie in città e altre nel territorio della diocesi per assicurare una cura pastorale adeguata al tumultuoso sviluppo urbanistico del dopoguerra.
Curò, inoltre, vari convegni di studio sui problemi culturali e pastorali, in sintonia con quanto promosso dalla Conferenza episcopale italiana.
Durante il suo episcopato due sacerdoti cosentini e un religioso furono consacrati vescovi; a un altro, già vescovo, Giuseppe Maria Sensi, fu concessa la porpora cardinalizia.
Dino Trabalzini (1980-1998) promosse un ulteriore sviluppo in varie direzioni: la costruzione di un nuovo seminario con annessa casa del clero per i sacerdoti soli o anziani, la costruzione di un auditorium intitolato a Giovanni Paolo II a ricordo della sua visita nel 1984, la celebrazione del sinodo diocesano, l’attuazione della revisione concordataria con l’Italia e del nuovo codice di diritto canonico ecc.
Giuseppe Agostino (1998-2005) curò in modo particolare l’evangelizzazione della società civile e promosse l’inizio del processo canonico per Gioacchino da Fiore.
Contemporaneamente sostenne l’iter di altri processi già in corso o allo stato iniziale.
Il territorio della diocesi di Cosenza, rimasto inalterato per mille anni, ha subito molte variazioni dal Vaticano II in poi.
Nel 1963 sono state staccate dalla diocesi di Tropea e aggregate a quella di Cosenza le parrocchie che ricadono nella provincia civile di Cosenza.
Nel 1973 sono state staccate dalla diocesi di Nicastro e aggregate a quella di Cosenza alcune parrocchie che fino al 1818 avevano fatto parte della diocesi di Martirano.
Nel 1979 la diocesi di Bisignano è stata staccata dalla diocesi di San Marco Argentano, a cui era unita aeque principaliter dal 27 giugno 1918, ed è stata unita allo stesso titolo a quella di Cosenza; nel 1987 le due diocesi sono state fuse e hanno assunto la denominazione di arcidiocesi di Cosenza-Bisignano.
Nel 2001, infine, nel quadro del riordino generale della Calabria, l’arcidiocesi di Cosenza-Bisignano è stata elevata alla dignità di Metropolia con le diocesi di Cassano Ionio, Rossano e San Marco-Scalea come suffraganee.
Le due diocesi di Cosenza e di Bisignano avevano come patrono rispettivamente San Francesco di Paola e il Beato Umile; in seguito, con decreto pontificio del 6 marzo 1989, Maria Santissima del Pilerio è stata nominata patrona dell’arcidiocesi unificata di Cosenza-Bisignano.
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Diözese von Cosenza - Bisignano
Chiesa di Santa Maria Assunta
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La facciata principale della cattedrale di Santa Maria Assunta in Cielo a Cosenza -
Il presbiterio -
La cappella dedicata alla Madonna del Pilerio, con la miracolosa icona bizantina del XII sec. -
Veduta dell’aula dall’ingresso -
Frammenti del pavimento originario di fattura normanna sec. XIII -
La Stauroteca, un reliquario della Santa Croce, dono di Federico II per la consacrazione della cattedrale
Diözesen
QUELLE
Le diocesi d'Italia, a cura di L. Mezzadri, M. Tagliaferri, E. Guerriero, Torino, San Paolo edizioni, 2007-2008, 3 volumi.