Kirchenregion Lazio
con l’esclusione di un comune nel viterbese, Bolsena, e di due nel reatino, Configni e Vaconeri. La decisiva presenza rappresentata dall’enclave dello Stato della Città del Vaticano fa sì che la sua particolarissima situazione pastorale risenta fortemente sia della centralità della città di Roma come sede della diocesi del papa e dei suoi numerosi dicasteri (curia romana), sia come capitale della Repubblica italiana. L’uso del termine «Lazio», se riferito a periodi storici antecedenti all’unità d’Italia, appare pertanto anacronistico, in quanto indicava all’origine solo l’area dell’antico Latium, costituito dai territori che si estendevano a sud di Roma, per 50 miglia dal Tevere al Circeo. Del resto, ancora oggi il suo territorio include, nella parte meridionale, alcune aree che facevano parte dell’antico Regno di Napoli e che, dopo l’unità, continuarono a far parte della Campania, per poi essere aggregate a quella del Lazio in epoca fascista. Nell’area costiera subì questa sorte tutto il tratto che da Terracina si estende verso Minturno, ove si trova Gaeta, per secoli importante piazzaforte del regno meridionale. Inoltre, nel suo territorio erano e sono tuttora presenti non solo realtà differenti fra loro, ma anche originariamente legate a regioni circostanti (come la Toscana, che influenzò non poco la Tuscia romana, ovvero il Patrimonio di San Pietro), oltre a registrare l’importante presenza delle diocesi suburbicarie e delle abbazie territoriali. Il termine «suburbicario», che nella sua accezione giuridica indicava i distretti limitrofi al territorio di Roma, fu usato anche per indicare le sedi episcopali adiacenti all’Urbe. Anticamente erano sette: Ostia, Santa Rufina, Porto, Sabina, Preneste (Palestrina), Tuscolo e Albano;
per secoli, fino alla riforma di Giovanni XXIII, le diocesi suburbicarie furono governate in modo particolare. Venivano rette dai cardinali del Sacro Collegio, chiamati anche vescovi cardinali assistenti e collaterali al papa, o ebdomadarii lateranensi, in quanto celebravano a turno presso l’altare maggiore della basilica di San Giovanni in Laterano (diocesi di Roma). Nell’anno 1120 Callisto II unì le diocesi di Porto e Santa Rufina, mentre sotto il pontificato di Eugenio III, nel 1150, il territorio di Ostia fu annesso a quello di Velletri, e così le diocesi suburbicarie divennero sei. Su di esse molto importanti sono le informazioni che a partire dal XVI sec. si ricavano dalle periodiche visite ad limina apostolorum Petri et Pauli, come il numero delle chiese, dei conventi e dei monasteri, dei seminari, dei collegi, delle confraternite, degli ospedali e delle pie istituzioni (conservatori, orfanotrofi, monti di pietà, monti frumentari, monte dei morti ecc.). I cardinali, essendo quasi sempre messi a capo di una delle congregazioni vaticane (talvolta anche di due), di conseguenza potevano – dovendo spesso essere presenti nell’Urbe – dedicarvi ben poco tempo;
tra gli ecclesiastici più impegnati nel governo della loro diocesi suburbicaria ricordiamo, per esempio, il cardinale barnabita Luigi Bilio (1826-1884), che fece personalmente diverse visite pastorali alla sua diocesi della Sabina, o il vescovo di Albano, cardinale Ludovico Altieri, che là morì di colera l’11 agosto 1867. L’affiancamento di un vescovo ausiliare non risolse completamente il problema, in quanto il frequente passaggio di un cardinale da una diocesi suburbicaria all’altra causava nel contempo uno scarso potere di governo, oltre alla difficile configurazione del ruolo del suo vescovo ausiliare. Per porre rimedio a questa situazione, Pio X, il 5 maggio 1914, stabilì che i cardinali vescovi restassero stabilmente a capo della diocesi loro assegnata, mentre il problema dello sdoppiamento di potere tra il cardinale e il suo vescovo ausiliare fu risolto da Giovan ni XXIII l’11 aprile 1962, quando decise che questi cardinali conservassero solo il titolo della diocesi suburbicaria, senza alcuna effettiva autorità di governo;
da allora le diocesi suburbicarie godono di un proprio vescovo con piena giurisdizione. La regione ecclesiastica del Lazio ne conta attualmente sette: Albano, Frascati, Ostia (questa diocesi è fra le più piccole al mondo e per antica tradizione il suo cardinale titolare è il decano del collegio cardinalizio;
la sua giurisdizione si limita al sito della città romana e del borgo che circonda il castello di Giulio II, e conta una sola parrocchia: Sant’Aurea), Palestrina, Porto-Santa Rufina, Sabina-Poggio Mirteto e Velletri-Segni. Le attuali tre abbazie territoriali di Mon tecassino, di Santa Maria di Grottaferrata e di Subiaco rappresentano una circoscrizione ecclesiastica particolare, formata da un monastero con il proprio abate e da un territorio al suo intorno, che forma la diocesi;
l’abate rimane al contempo superiore dei propri monaci. L’abbazia di San Paolo fuori le Mura, se dal 24 giugno 2002 perse il governo parrocchiale, in data 7 marzo 2005, essendo stato soppresso il suo carattere e il titolo di circoscrizione «territoriale», ha assunto la denominazione di «abbazia di San Paolo fuori le Mura» (fatte salve le competenze dell’arciprete di San Paolo e quelle proprie dell’abate;
la potestà di giurisdizione pastorale ordinaria sull’intera area extraterritoriale di San Paolo fuori le Mura spetta al cardinale vicario di Roma, il quale la esercita mediante la parrocchia territorialmente competente della diocesi). La straordinaria peculiarità e conseguente complessità della regione ecclesiastica del Lazio traspare anche dalla storia delle sue numerose diocesi scomparse o soppresse nel corso dei secoli, di cui rimane oggi solo il titolo o la memoria storica. Il Lazio risulta, infatti, essere la regione che possedeva più sedi episcopali. Seguendo la ripartizione in vigore nel V sec. d.C., che distingueva il Latium vetus (Roma) – per il Latium novum, vedi oltre – dal Latium adiectum (Ciociaria e Campania), si osserva come nel Latium vetus (a sud di Roma, dai Colli Albani giungeva fino a Terracina) si trovavano le sedi di Subau gustanus (Subaugusta, presso Tor Pignattara, lungo la via Labicana, diocesi soppressa, oggi sede titolare, Centocelle), Labicanus (Labico, Labicum, al 15° miglio della via Labicana, presso Monte Compatri, ora sede titolare, Frascati), Gabinus (Gabi, Gabii, diocesi soppressa lungo la via Prenestina, oggi sede titolare Castiglione), Treba Augusta (alle sorgenti dell’Annio, Trevi), Nomentanus (Nomento, Nomentanum, diocesi soppressa, oggi sede titolare, Mentana), Fidenas (Ficulea, La Cesarina lungo la via Nomentana, pretesa diocesi antica). Invece il Latium adiectum (dalle valli del Sacco ancora più a sud fino al bacino del Garigliano), attraversato dalla via Appia e dalla via Latina, comprendeva le sedi di Antiatensis (Anzio, Antium, diocesi soppressa, oggi sede titolare, Anzio), Tres Tabernae (Trium Tabernarum, nei pressi di Cisterna, diocesi soppressa, oggi sede titolare, Tre Taverne), Fundi (Fundana, diocesi soppressa, oggi sede titolare, Fondi), Formiae (Formianus, diocesi soppressa, oggi sede titolare, Formia), Menturnum (Minturnensis, diocesi soppressa, oggi sede titolare, Minturno), Casinum (San Germano), Frusinum (Frusino, Frosinone, pretesa diocesi antica, Frosinone-Veroli-Ferentino), Athinae (Atina, Montecassino). Nell’Etruria si trovavano le sedi di Loriensis (Lorium, nei pressi di Castel Guido, oggi sede titolare, Santa Rufina), Caere (Cerveteri), Aquivivensis (Aquaviva, presso Civita Castellana, diocesi soppressa, oggi sede titolare, Acquaviva);
Faleritanus (Faleri, Falerii, ora sede titolare, Civita Castellana), Volsinium (Bolsena), Ferentiensis (Ferento, Ferentium, diocesi soppressa, ora sede titolare, Ferento), Forum Clodii (Monterano). La parte nord-ovest di Roma faceva parte della Tuscia, con Bieda (Bleranus, diocesi soppressa, oggi sede titolare, Blera), Volsiniensis (Volsinium, diocesi soppressa, oggi sede titolare, Bolsena, cfr. la regione ecclesiastica dell’Umbria), Polymartiensis (Polymartium, Bomarzo), Cures Sabinorum (Passo Corese), Castrensis (Castrum, in Tuscia, diocesi soppressa, oggi sede titolare, Castro). Per le seguenti, vedi le voci corrispondenti: Cassino=Montecassino, Castiglione= Gabi, Corneto Tarquinia (Cornetanus)= Tarquinia, Grottaferrata=Santa Maria di Grottaferrata, Hortanus, Horta=Orte, Manturia=Monterano, Mentana=Nomento, Mola=Formia, Mola di Gaeta=Formia, Mons Faliscus=Montefiascone, Nepeta=Nepi, Piperno=Priverno, Quintana=Labico, San Germano=Montecassino, San Liberato (presso il lago di Bracciano)=Monterano, Selva Candida=Santa Rufina, Tusculum =Frascati. Altre pretese diocesi antiche sono Fidenatensis (Fidene, Fidenae, La Serpentara o Castel Giubileo), ora sede titolare, Vetralla, Vulcia (Volscia, presso Ponte Abbadia, Vt).
GESCHICHTE
I - L’età antica
La crescita dell’insediamento del cristianesimo nel Lazio si lega indissolubilmente alla storia della Chiesa di Roma, la cui fondazione viene attestata intorno alla prima metà del I sec., venendo poi consacrata dal sangue degli apostoli Pietro e Paolo (diocesi di Roma). Dall’Urbe, culla del cristianesimo e sede della Cattedra di Pietro, nonché capitale dell’Impero romano, si irradiò il Vangelo in tutto il Lazio e in ogni angolo della terra. Benché nessuno scrittore antico abbia scritto sulle origini delle diocesi d’Italia, anche i primi cristiani non si preoccuparono troppo di mettere per iscritto le fatiche sostenute nella diffusione del Vangelo, né di continuare le scarne notizie narrate da san Luca riguardo ai viaggi di Paolo e al suo arrivo a Roma. D’altra parte neppure gli scrittori non cristiani badarono alla diffusione del cristianesimo, particolarmente nei primi secoli, quando esso dovette nascondersi agli occhi dell’Impero come religione proibita dalle leggi, guardata con sospetto e odiata dal popolo come contraria alla morale e al culto pubblico. Il primo storico della Chiesa, Eusebio, vescovo di Cesarea di Palestina (265 ca- 340 ca), riservò solo pochi accenni alla Chiesa di Roma. Durante il Medioevo altri scrittori tentarono di comporre una narrazione dei primordi di alcune Chiese particolari. Ecco le biografie dei papi dei primi sei secoli contenute nel Liber Pontificalis, che contiene informazioni dal pontificato di Pietro a Felice IV (526-530), edite sotto il falso nome di papa Damaso (366-384). Secondo il Duchesne e il Grisar esse risalirebbero al VI sec., mentre da Felice IV a Gregorio I (†604) sarebbero del VI e VII sec. (per il Mommsen invece risalirebbero tutte al VII sec.). Al di là delle diverse tesi sull’origine del potere episcopale nelle chiese primitive, certo è che esse ben presto si dovettero organizzare per fronteggiare le persecuzioni e la diffusione delle sette ereticali. Secondo l’ipotesi del Duchesne, i primi gruppi di cristiani formatisi nel Lazio e nella Campania nel I sec. e in parte del II non costituivano vere diocesi con propri vescovi fissi, ma dipendevano unicamente da Roma, formando con essa una sola grande diocesi. Il papa dirigeva i diversi gruppi attraverso i diaconi, i presbiteri e i vescovi missionari a lui dipendenti. Con l’andare del tempo la crescita delle comunità obbligò il romano pontefice a dotarle di un vescovo residenziale, determinando in tal modo i confini della sua giurisdizione. All’inizio tali diocesi erano molto vaste, ma poi finirono per essere sempre più spezzettate, come risulta chiaramente a partire dal IV sec., quando le loro strade venivano percorse dai pellegrini che si recavano nell’Urbe per visitare le tombe degli apostoli Pietro e Paolo, lungo la via Francigena, che dal nord scendeva verso Roma, attraversando Bolsena, Viterbo e Sutri. Fin dalla seconda metà del II sec. troviamo infatti il governo di ciascuna Chiesa nelle mani del proprio vescovo, che predica, insegna, consacra, ammette nella comunione, ordina i chierici, amministra i suoi beni, ecc., coadiuvato nella sua attività da presbiteri, diaconi, chierici inferiori e «laici» – termine tardo –; questi ultimi concorrevano alla sua elezione e da lui erano chiamati a consiglio, quando era necessario. Un particolare sviluppo dell’organizzazione ecclesiastica si incontra già al tempo di papa Vittore, quando verso l’anno 190 radunò un sinodo di vescovi italiani per decidere sulla controversia pasquale; molti di essi dovevano essere laziali. A motivo della scarsità delle fonti antiche, di molti di questi primi vescovi del Lazio rimane solo il nome, di altri solo la memoria del loro martirio; basti ricordare Ostia – prima colonia romana – i cui primi martiri certi sarebbero Asterio, Aurea, Edisto, Ciriaco e Archelao; o Porto, i cui martiri più sicuri sarebbero Eutropio, Zosima, Bonosa, Aconzio, Ercolano, Taurino e Aristo. Dopo Roma, infatti, il maggior numero di martiri in Italia si riscontra nel Lazio, nella Tuscia suburbicaria, nell’Umbria propriamente detta, nella Sabina e nella Campania: tutte province confinanti con l’Urbe e con essa ben collegate. La diffusione del Vangelo fu notevolmente favorita dall’imponente rete stradale, poiché le principali vie consolari convergevano sulla capitale. Fra tutte, essa era collegata, verso il suo porto di Ostia, dalla Ostiensis e dalla Portuensis; verso nord dall’Aurelia, costruita nel 241 a.C. (Caere, Santa Rufina), dalla Clodia, dalla Cassia (Sutri), dall’Amerina (Civita Castellana, Orte) e dalla Flaminia (Viterbo, Aquaviva); verso est dalla Salaria, dalla Caecilia e dalla Valeria; verso sud dalla Latina (Frascati, Frosinone-Veroli-Ferentino), dall’Appia, costruita nel 312 a.C., che entrava nel Latium adiectum e poi in Campania (Albano, Gaeta, Terracina, Capua), dall’Ardeatina e dalla Severiana. Lungo queste importantissime arterie militari e commerciali si incontravano molte tombe dei martiri e si costituirono pertanto molte sedi episcopali. Questo costante e impetuoso movimento «da e verso» l’Urbe finì per configurare la particolarissima fisionomia del Lazio come «Terra Santa della Latinità» (se non si può ritenere che tutta l’Italia sia stata evangelizzata unicamente da missionari provenienti da Roma, rimane però il fatto che il principale centro d’irradiazione e di diffusione della cristianità in Italia fu la sua Chiesa, la più antica e dotata d’autorità). Il Lazio - Definire i suoi abitanti «laziali» risulta perlomeno impreciso, date le sue innumerevoli vicissitudini storiche che, fino al VI sec. a.C., si identificarono con quelle della città di Alba Longa, prima, e di Roma poi (ancor oggi i suoi abitanti preferiscono chiamarsi romani o viterbesi, ciociari o sabini, braccianesi o velletrani ecc). Il nome Latium (da latus: «territorio aperto ed esteso»), documentato a partire dal VI sec. a.C., indicava inizialmente l’area compresa tra il fiume Tevere, la costa tirrenica, la pianura pontina e i monti Sabini. Essa corrispondeva al territorio originariamente occupato dai latini, a cui si aggiunsero le zone via via conquistate a sud-est di Roma fino al Liri, e abitate da sabini, volsci, aurunci, equi ed ernici (Latium novum). Fra le sue tre matrici storiche – la latina, l’etrusca e la sabina – il Lazio «latino» fu la parte che prese il sopravvento. Al tempo di Cesare Ottaviano Augusto (I sec. a.C.) le regioni dell’Italia antica erano undici e le terre che oggi costituiscono il Lazio facevano parte di tre diversi distretti: la I Regio: Latium, che comprendeva il Lazio meridionale e quasi tutta l’attuale Campania; la IV Regio: Samnium, che comprendeva l’alto Lazio, l’Abruzzo e il Molise; la VII Regio: l’Etruria (partendo dalla sponda destra del Tevere coincideva con il Lazio settentrionale), che comprendeva gran parte dell’Umbria e della Toscana. Il Latium, insieme alla Campania, era pertanto la prima regione (regiones in latino, «rejones» nel Medioevo; termine volgarizzato poi in «rioni» per la capitale), e Roma ne faceva parte. Non avendo a disposizione dati attendibili sul numero delle diocesi esistenti nel III sec., grazie alla Lettera XXX di san Cipriano e alla Storia ecclesiastica di Eusebio (VI, 43) si deduce che esse non dovevano essere poche; per esempio, alla morte di papa Fabiano (†251) i presbiteri e i diaconi di Roma scrissero al vescovo di Cartagine in merito alla questione dei lapsi, seguendo il consiglio dato loro «ab episcopis vicinis »; poco dopo la sua ordinazione papa Cornelio tenne in Roma un concilio sulla questione dei lapsi, al quale avrebbero partecipato – sempre secondo Eusebio – sessanta vescovi, la maggior parte probabilmente del Lazio. Nel secolo successivo la Regio I appare la più ricca di diocesi – come attesta la presenza di diversi vescovi ai sinodi romani presieduti dal romano pontefice –, circa quarantacinque secondo il Lanzoni: undici appartenenti al Latium vetus, quattordici o diciassette al Latium adiectum, diciannove o venti alla Campania. Nel IV sec., infatti, sempre nella I Regio compaiono le diocesi di Porto, Ostia, Quintana, Palestrina, Tivoli, Tres Tabernae, Terracina, Capua, Napoli ecc., mentre nella VII Regio compaiono le diocesi di Civitavecchia, Forum Clodii, Chiusi, Firenze, Lucca, Pisa, e probabilmente Siena e Bolsena. Si ritiene che tutte le altre diocesi, pur comparendo nel V o VI sec., risalgano comunque per la maggior parte alla prima metà del IV. Nella IV Regio si contavano le diocesi di Cures, Forum Novum, Amiternum, Corfinio, Sulmona. Difficile quantificare il dato della presenza dei cristiani al loro interno (cfr. le diverse ipotesi del Grisar, di padre Savio o del Duchesne), anche se dal numero dei martiri si può ipotizzare che essi erano più numerosi proprio nel Latium vetus, nella Campania, nell’Umbria e nella Tuscia su burbicaria. Il nome Latium era destinato a perdere ben presto il suo riferimento originale. Nel II sec., con l’istituzione della prefettura dell’Urbe – grande area metropolitana che si estendeva, in ogni direzione, fino a cento miglia da Roma – il territorio latino smarrì ogni suo antico riferimento storico e geografico a causa della crescita d’importanza della centralità della capitale dell’Impero romano e sede della cristianità. La provincia, con il Lazio e la Campania, fu denominata con il solo nome di Campania, e il nome Latium scomparve dai documenti di carattere ufficiale. Il Lazio latino era diventato il suburbium della Roma imperiale, prendendo il nome di Campagna di Roma, mentre il territorio di Frosinone era indicato semplicemente come Campagna, quello di Velletri come Marittima, e quello di Viterbo (che andava oltre il Lazio attuale fino a Orvieto) come Tuscia romana o suburbicaria. L’unità del Lazio era irrimediabilmente compromessa, mentre si affermavano delle «sub-regioni» (Sabina, Tuscia, Campagna e Marittima), che avrebbero connotato per sempre il suo territorio. Già nel III sec. le mura aureliane sancivano di fatto il confine tra le due realtà: la città dentro e la sua campagna fuori, come appare dalla relativa cartografia urbana piuttosto staccata dal contesto territoriale circostante. La ripartizione territoriale finora descritta fu superata da Diocleziano e da Costantino: fra le quattro prefetture imperiali c’era l’Italica, suddivisa a sua volta in «diocesi», che a loro volta si suddividevano in provinciae e civitates. La «diocesi» d’Italia era organizzata diversamente, essendo stata divisa in due: l’Italia superiore dipendeva dal Vicarius Italiae residente a Milano, mentre l’Italia inferiore dipendeva dal Vicarius urbis Romae (Praefectus Urbis, detto anche «senatore di Roma»). Tale carica era la più alta autorità cittadina a Roma e pertanto la gran parte del Lazio (per comodità d’esposizione si continua ad usare tale termine) dipendeva dalle sue cure. Altri magistrati residenti nell’Urbe si occupavano dell’annona, della manutenzione delle strade e degli acquedotti, del traffico fluviale, e così via, per cui il Lazio – sempre nell’ambito delle cento miglia da Roma – occupava, rispetto al resto della penisola, una posizione almeno formale di privilegio. Se è vero che per diocesi si intende il distretto o la circoscrizione ecclesiastica che comprende un territorio – quindi anche una città, come l’Urbe – sottoposto alla potestà di un vescovo, si deve precisare che questi distretti nei primi tre secoli furono denominati «parrocchie », e che solo a partire dal secolo successivo, anche se non esclusivamente, assunsero la denominazione di «diocesi»: termine già in uso nel mondo greco prima della conquista romana. La Chiesa si dovette uniformare alla suddivisione amministrativa romana, sia prima che soprattutto dopo il suo riconoscimento come religio licita, quando gli imperatori – ora protettori del cristianesimo – esercitarono una vera potestà ecclesiastica (Costantinopoli fu elevata a sede patriarcale dopo essere diventata la sede dell’Impero). La corrispondenza tra la circoscrizione civile ed ecclesiastica era praticamente perfetta, in quanto le subscriptiones dei vescovi, la Notitia dell’imperatore Leone il Sapiente e la Notitia Ecclesiae Romanae dimostrano che le dieci province dipendenti dal Vicarius Urbis erano soggette anche alla diretta potestà metropolitana del vescovo di Roma, e che le rispettive civitates divennero le sedi episcopali, i cui territori dipendenti diventarono diocesi ecclesiastiche (Roma, infatti, estese nel tempo la sua potestà di metropoli su parecchie sedi vescovili anche dell’Italia superiore, come Luni e Sarzana, Mantova e Saluzzo e, per ragioni politiche, successivamente Parma, Piacenza, Ferrara, Borgo San Donnino ecc.). Le riforme dioclezianee e soprattutto il trasferimento della capitale dell’Impero a Costantinopoli (330) incisero profondamente sulla vita economico-sociale del Lazio, che non ospitava più, ormai, il centro dello Stato. Dopo la pax constantiniana dell’editto di Milano del 313, la fine «legale» del paganesimo coincise con la data dell’8 novembre 392, quando gli imperatori cristiani Teodosio, Arcadio e Onorio disposero che «nessuno, in pubblico o in privato, nei templi, nei campi o nella propria casa, potesse venerare idoli, appendere corone agli alberi sacri, elevare altari di zolle di terra, onorare i Lari con il fuoco, i Genii con le libagioni e i Penati con l’incenso » (Cod. Theod., XVI, 10, 12). Le antiche divinità del Lazio riuscirono a sopravvivere solo nei luoghi più impervi e abbandonati, mentre le chiese si moltiplicarono sempre più, e nei sinodi convocati dai papi Giulio (340), Damaso (372) e Siricio (386), molti dei partecipanti erano vescovi del Lazio. A questo periodo risalgono le Chiese di Tivoli (collegata a Roma per mezzo della via Tiburtina), Anzio, Velletri, Segni, Bolsena, Tarquinia ecc. Sia a Roma, da parte dei ceti conservatori, sia nei villaggi laziali, dove era radicato il culto delle antiche divinità, vi furono resistenze che dovettero protrarsi a lungo e in modo occulto, se ancora nel VI sec. Gregorio Magno si lamentava delle superstizioni o culti idolatrici presenti nella diocesi di Terracina, mentre gli abitanti di Montecassino, nella prima metà del VII sec., continuavano a venerare un antico idolo di Apollo. Parallelamente, sempre a partire dal III sec., si rafforzò lo stesso potere primaziale del vescovo di Roma, il papa. Già nel De praescriptione di Tertulliano viene attestata questa sua autorità locale: «Se invece raggiungi l’Italia, hai Roma, la cui autorità offre anche a noi il suo appoggio. Chiesa felice!». All’inizio del IV sec. la potestà dei vescovi fu resa più incisiva dal potere imperiale, e sotto la sua direzione fu affidata ai corepiscopi la sorveglianza dei fedeli che risiedevano fuori delle città, mentre aumentò sempre più il potere degli arcidiaconi (capi dei collegi dei diaconi), addetti all’amministrazione dei beni della Chiesa, che ridussero l’importanza degli arcipreti (capi dei collegi dei preti). In questo periodo furono rilevanti i sinodi o concili, mentre i metropoliti, se inizialmente ebbero un ruolo pressoché onorifico, a partire dal III sec. crebbero d’importanza, anche se dopo il VII sec. l’istituzione dei capitoli – che non solo divennero il senatus del vescovo, ma che lo sostituivano quando era impedito – diminuì la loro influenza. Il V sec. segnò un cambiamento epocale. Caduto l’Impero romano, le sue frontiere tornarono a coincidere con le mura dell’Urbe, mentre nel V e VI sec. le Chiese del Lazio subirono le invasioni barbariche, di cui fu vittima la stessa Roma, con devastazioni senza fine: saccheggiata dai visigoti nel 410 e dai vandali nel 455, essa subì l’invasione e la sovranità ostrogota. Le condizioni socioeconomiche della regione subirono così un lento regresso, nonostante l’intervento dei governanti goti: all’epoca del re Teodorico (454-526), ad esempio, furono eseguiti grandi lavori nella pianura pontina per restituire alla via Appia la sicurezza della circolazione. Particolarmente distruttiva fu la già citata guerra greco-gotica, con la quale l’imperatore bizantino Giustiniano riuscì a riconquistare la penisola italiana ponendo fine al regno dei goti. La Prammatica Sanzione, costituzione imperiale emanata alla fine della guerra, conteneva tra l’altro delle concessioni all’autorità ecclesiastica su alcuni aspetti dell’amministrazione civile. In sostanza segnava l’inizio di un lungo processo che avrebbe comportato il passaggio delle consegne dal potere laico alle autorità ecclesiastiche.II - L’età medievale
Il territorio laziale era posseduto quasi interamente da enti ecclesiastici, come i monasteri – spesso fortificati e dotati di una propria milizia con un patrimonio fondiario immenso –, le chiese, le basiliche, le abbazie, gli oratori ecc. Ad esempio, l’abbazia di Farfa (VI sec.) nella Sabina meridionale – fondata da Lorenzo, che ispirò la sua regola cenobitica ai modelli orientali e che nel tempo raggiunse una grande importanza culturale per il suo scriptorium –, aveva possedimenti che dal Lazio si estendevano fino all’Adriatico. Fra Subiaco e Montecassino prese piede il monachesimo benedettino, che nei secoli dell’alto Medioevo contribuì a cristianizzare l’Europa. E se il Lazio fu la patria della lingua latina, proprio nel X sec. divenne anche la culla di quella italiana. Il Placito Capuano del 960, conservato a Montecassino, costituisce infatti il primo documento scritto contenente un’espressione in volgare. Inoltre, tra i pontificati di Gregorio VII (1073- 1085) e di Onorio III (1216-1227), se a Roma la cultura artistica era radicata nella Renovatio legata alla riforma ecclesiastica e al conflitto tra il papato e l’Impero, nel resto del Lazio si evidenziava una pluralità di differenti tradizioni artistiche, alcune legate all’Urbe, altre alla Renovatio, che faceva perno proprio sull’abbazia di Montecassino, altre ancora in relazione alle culture delle regioni circostanti. Il monachesimo produsse infatti tutto un fiorire di abbazie, la cui architettura si arricchì nel tempo (vedi l’abbazia di Grottaferrata, l’abbazia di Casamari a Veroli (Frosinone), l’abbazia di Valvisciolo a Sermoneta (Latina), l’abbazia di Farfa a Fara Sabina. Tali abbazie esercitarono una grande influenza durante il periodo dell’iconoclastia e dello scisma. Oltre a queste, fra le più celebri si annotano quelle di San Silvestro al Monte Soratte, di Casamari e di Fossanova. Importanti anche i così detti monasteri urbani, come quello dei Santi Quat tro Coronati a Roma. Il Ducato di Roma - Nell’anno 574 il Lazio aveva in gran parte cambiato amministrazione: ai bizantini erano subentrati definitivamente i longobardi, penetrati in Italia nel 568 senza che Bisanzio riuscisse ad arrestarne l’avanzata. Abbandonato a se stesso e bisognoso di protezione e di stabilità, per forza di cose il suo territorio si assoggettò sempre più al vescovo di Roma, che già nella regione aveva ampi possedimenti. Dal 590, data dell’elezione a romano pontefice di un prefetto dell’Urbe, Gregorio Magno, i pontefici avevano iniziato a cimentarsi con le prime esperienze di potere temporale di quella che sarebbe divenuta la «Roma dei papi». Essa era destinata ad avere ripercussioni enormi in tutto il Lazio, specie del nord, presto conglobato in quello che sarà chiamato Patrimonium Sancti Petri, accentrato attorno alle grandi diocesi di Tuscania e di Viterbo. Nel 593 lo stesso Gregorio Magno intervenne nelle trattative con il re longobardo Agilulfo, riuscendo a scongiurare l’assedio di Roma. I servizi di pubblico interesse erano già passati dalla competenza del Praefectus Urbis alla giurisdizione pontificia. Successivamente i bizantini riuscirono a recuperare almeno in parte il terreno perduto e a riorganizzare la regione come Ducato di Roma (593), con il quale, seppur formalmente sottomesso a Bisanzio, si ritorna a parlare di Lazio. Tale ducato, infatti, era svincolato da controlli, in quanto l’esercito bizantino si trovava impegnato più a nord, nell’Esarcato che faceva capo a Ravenna, dove fronteggiava i longobardi. Proprio a motivo della debolezza dell’autorità del governo d’Oriente, il governo di Roma fu retto dalle sue antiche famiglie aristocratiche e dalla Chiesa. La dispersione del potere era tale che ormai le vie consolari che da Roma si irradiavano nel Lazio non erano più sicure, né la loro manutenzione garantita. Particolarmente i piccoli centri urbani risentivano della precarietà della situazione politico-economica. La restituzione delle insegne imperiali a Bisanzio e la deposizione dell’ultimo imperatore Romolo Augustolo furono soltanto atti formali pressoché irrilevanti in una situazione che, di fatto, era completamente cambiata; il vecchio Impero da tempo non esisteva più. Una volta caduto l’Impero d’Occidente, la Chiesa si trovò nella condizione di essere l’erede naturale della potestà civile, e il vescovo di Roma divenne un’indiscussa autorità morale. I confini del Ducato arrivavano a nord fino a Orte e ad Amelia e a sud fino al fiume Garigliano. All’inizio del VII sec. il Lazio contava circa trenta diocesi costituite e la situazione si era ormai stabilizzata, anche se il Ducato di Roma si trovava quasi isolato tra i ducati longobardi che lo circondavano da nord a sud; ma tutta l’Italia era divisa tra longobardi e bizantini, i quali seguivano una politica di esoso sfruttamento delle risorse locali, incontrando spesso l’opposizione dei sudditi e anche quella ecclesiastica. Il Patrimonio di San Pietro - La lenta ma progressiva formazione del Patrimonio di San Pietro coinvolse direttamente la complessa articolazione del territorio laziale fin dalle origini della Chiesa. I beni materiali delle prime comunità cristiane romane, non potendo godere queste ultime di una propria personalità giuridica a motivo delle persecuzioni, furono attribuiti ai loro membri più autorevoli (diocesi di Roma). Nella corrispondenza dei romani pontefici Gelasio I (492-496) e Pelagio I (556-561), già si trovano riferimenti al patrimonio della Chiesa, benché con il pontificato di Gregorio Magno il termine patrimonium non indicasse ancora l’insieme dei suoi domini, ma solo un gruppo importante di proprietà situate in una determinata regione, per cui in tutto il territorio laziale i possedimenti fondiari ecclesiastici furono accorpati nei vasti comprensori che presero il nome di patrimonium («Appiae et Lavicanense vel Tiburtinum, Sabinense et Tusciae, Portus et Ostia [quest’ultima famosa per le sue saline impiantate già in epoca romana e attive fino al 1798] ecc.»). Lungo il corso dei secoli successivi tale patrimonio continuò ad estendersi, ma il dominio della Santa Sede non poteva dirsi completo a causa dei conflitti con l’Impero e le signorie locali. Nel Lazio i possedimenti signorili continuavano infatti a frammentare l’unità territoriale: le grandi famiglie aristocratiche, con i loro castelli inaccessibili e le loro truppe private, si combattevano non solo per il predominio nelle campagne, ma anche nella stessa città di Roma e addirittura per il controllo della sede apostolica. Le discese degli imperatori tedeschi – a volte favorevoli, a volte avversi ai romani pontefici (cfr. la lotta per le investiture) – portarono a nuovi saccheggi e a un lungo periodo d’instabilità. Nell’VIII sec. la situazione si aggravò particolarmente quando la legislazione iconoclastica bizantina suscitò la reazione del papato, al quale ben volentieri si associò il longobardo Liutprando, che riu - scì a conquistare Ravenna, sede dell’Esarcato d’Italia. Risale a questo periodo (728) la sua cosiddetta «donazione» della cittadina di Sutri, nella Tuscia, a papa Gregorio II (e poi di Bomarzo, Amelia e Orte a papa Zaccaria nel 742). Tale episodio fu considerato da diversi storici come l’atto di nascita del dominio temporale dei papi. Il Liber Pontificalis recita: «donationem beatissimis apostolis Petro et Paolo antefatus emittens Langobardorum rex restituit atque donavit». In realtà si trattò soltanto della restituzione di uno dei quattro «castra » (con Bieda, Orte e Bomarzo) che Liutprando aveva occupato nell’alto Lazio ai danni della Chiesa. Un ulteriore passo in avanti, nel Lazio oramai proprietà quasi esclusiva della Chiesa, fu compiuto dai papi Zaccaria (741-752) e Adriano I (772-795), quando, reagendo alla confisca bizantina che li aveva privati dei patrimoni fondiari esistenti fuori della regione romana, crearono delle aziende agricole: dodici domuscultae nella campagna romana, quasi tutte in un raggio di 20 km intorno a Roma, destinate a far fronte alle sue necessità alimentari. Al tempo di Adriano I esisteva la domusculta Sant’Edisto, che si trovava a 16 km da Roma lungo la via Ardeatina; altre si trovavano lungo la via Flaminia (San Leuci) o lungo la via Tiburtina (Cecilia), e così via. Si trattava, più che di semplici fattorie, di nuclei abitati autonomi dotati di vasti appezzamenti di terreno, in cui lavoravano i coloni organizzati militarmente. La domusculta, luogo abitato (domus) e coltivato (cultus) – azienda agricola – veniva gestita direttamente da funzionari ecclesiastici alle dipendenze del romano pontefice. Anche questo contribuì al primo sviluppo del potere temporale della Chiesa, legalizzato con la famosa donazione di Costantino a papa Silvestro – scoperta da Stefano II nel 753 –, la quale dichiarava che il vescovo di Roma era l’erede del potere imperiale; sarà successivamente riconosciuta come falsa, in quanto redatta probabilmente nella cancelleria papale durante il pontificato di Paolo I (757-767). Proprio il Patrimonio di San Pietro in Tuscia costituì, per tutto il periodo medievale e rinascimentale, la più ricca e importante provincia pontificia dell’area laziale. Gli abitanti del Lazio erano diventati il populus peculiaris della Chiesa e di San Pietro. Per far fronte al pericolo imminente costituito dai longobardi, il papato chiese aiuto alla nazione franca. I bizantini, infatti, distratti a Oriente dalla crescente potenza dei musulmani, stavano cedendo del tutto, mentre i longobardi – i cui ducati si estendevano dalle Alpi alla Calabria – minacciavano la stessa esistenza del Patrimonio di San Pietro. Tra il Ducato di Roma e il Patrimonio di San Pietro non si faceva più alcuna distinzione, al punto che il papa trattò direttamente con il duca longobardo di Spoleto per l’acquisto del castrum di Gallese nell’alto Lazio, che era stato sottratto al Ducato di Roma, e stipulò trattati con il duca di Benevento per «la santa Chiesa di Dio ed il suo popolo peculiare». Sempre papa Zaccaria, sanzionando la legittimità della dinastia franca dei pipinidi, pose le basi dell’alleanza tra il papato e i franchi. Benché l’imperatore bizantino Costantino V nominasse papa Stefano III (752-757) suo rappresentante nelle trattative con il re longobardo Astolfo, ben più gravido di conseguenze fu il viaggio compiuto dallo stesso pontefice in Francia per incontrare il re dei franchi Pipino III («forse il più importante viaggio papale di tutti i tempi», secondo lo storico Girolamo Arnaldi). Gli incontri che seguirono tra Pipino III e il papa si conclusero a Quierzy-sur-Oise il 14 aprile 754 ed ebbero come risultato la cosiddetta Promissio Carisiaca: patto che conteneva la donazione a favore della Chiesa non solo del territorio laziale, ma di buona parte dell’Italia, stando alle dichiarazioni pontificie, mentre da parte del papato si sostenevano le pretese dei franchi in Italia contro i longobardi. Il pontefice dunque, e non l’aristocrazia militare romana, avrebbe trovato ascolto presso i franchi. Questa «promessa di donazione» costituì la base giuridica della nascita dello Stato pontificio. Per quanto riguarda specificamente il Lazio, sul finire dell’VIII sec. spettò a Carlo Magno disporre l’annessione al Patrimonio di San Pietro di parte della Sabina (vedi le ricerche di Pierre Toubert), della zona settentrionale della regione fino a Soana, di Viterbo, Bagnoregio, Marta, Grosseto e Populonia, mentre a sud venivano incluse Sora, Arpino, Arce e Aquino. Sconfitto Desiderio nel 774, Carlo Magno fu proclamato imperatore da Leone III (800). I confini del Lazio, ormai parte dell’Impero carolingio, non subirono variazioni nel corso del IX sec.; esso costituiva la marca meridionale dell’Impero. La definitiva determinazione dei confini territoriali, che a vario titolo rientravano nei possessi pontifici, risale pertanto all’età carolingia. I longobardi si erano stanziati a nord di Roma nella Valeria, la conca di Rie ti, mentre la Tuscia era divisa tra Tuscia romana, ancora bizantina, e Tuscia langobardorum. La Tuscia romana era situata a nord tra il Tirreno e il Tevere, il cui confine settentrionale era segnato dalle diocesi di Blera e di Sutri. L’espansione verso nord dei territori occupati dal pontefice – ad esempio, Adriano IV (1154-1159) riuscì ad affermare le proprie pretese su Radicofani – portò a una nuova organizzazione della diocesi di Tuscania, che alla fine dell’XI sec. incorporò quella di Blera e di Centumcellae, determinando poi il trasferimento della sede vescovile da Tuscania a Viterbo (1192). A sud di Roma i territori longobardi erano arrivati alle sponde del Liri (Ducato di Benevento), mentre il territorio della Campagna comprendeva l’attuale Ciociaria e la diocesi di Tivoli; il confine meridionale era segnato fin dall’VIII sec. dalla contrapposizione tra le diocesi «romane » di Ceccano e Alatri e quelle longobardo-beneventane di Sora e Aquino. A est i papi furono ripagati dalle perdite territoriali grazie alla spartizione carolingia della Sabina – con l’annessione del reatino al Ducato di Spoleto –, che si dimostrò un’ottima difesa per il vescovato di Sabina. Gli Appennini rappresentavano poi una ben definita divisione rispetto ai territori abruzzesi, mentre sulla costa – rinunciata ogni pretesa sul Ducato di Gaeta-Terracina – costituiva il confine meridionale della Marittima (tale provincia, stretta tra i monti Lepini e il mare, si estendeva verso nord fino a Velletri). Il territorio continuava ad essere percorso dai pellegrini diretti a Roma o che ne ritornavano con qualche preziosa reliquia. I suoi confini politici variavano continuamente a motivo dell’abbandono di intere aree geografiche minacciate dai predoni. Contro questi ultimi i sovrani carolingi emanarono una serie di leggi severissime (il capitolare pavese di Ludovico II dell’850 prevedeva che i funzionari pubblici potessero mettere a morte un bandito senza processo). La facilità di spostamento agevolò i diversi flussi migratori degli ebrei, in gran parte provenienti da Roma, e che si diffondevano nel Patrimonio di San Pietro in Tuscia, nella Sabina e nelle province del sud della Campagna e della Marittima e nell’area dei Castelli romani (all’incirca le attuali province di Viterbo, Rieti, Frosinone, Latina e Roma), soprattutto dopo che numerose comunità ebraiche furono espulse nel XIII sec. dal Regno di Napoli. Nell’817 il diploma di Ludovico I il Pio (814-840) assicurò ai pontefici l’incondizionata sovranità sulle terre delle Donazioni; nell’824 si assiste alla capitolare Constitutio Romana di Lotario I (840-855), e nel 962 e 1020 seguirono i diplomi di Ottone I (961-972) e di Enrico II (1002-1024). Intanto cresceva nel Lazio il Patrimonio di San Pietro, ancora genericamente definito fino all’XI sec. terra Sancti Petri o con il termine ancora più vago di regalia et possessiones, costituito da un insieme di territori che con Roma dipendevano dal papa. Di fatto essi divennero i veri amministratori del Lazio: tra l’VIII e il XII sec. quello che era in origine il Patrimonium Sancti Petri, cioè il complesso delle proprietà fondiarie in mano al vescovo di Roma, si trasformò nello Stato della Chiesa: organizzazione politica autonoma e sempre più spesso ostile a Bisanzio, anche per motivi teologici. Dal secondo decennio del secolo – la prima incursione ebbe per destinazione Cen - tumcellae, ovvero Civitavecchia, nell’813 – sul territorio laziale apparvero i saraceni, gruppi di predoni di origine africana, che si dedicavano, spesso appoggiati dai governanti dell’Italia meridionale, al lucroso commercio degli schiavi. Nell’846 i saraceni giunsero a saccheggiare le basiliche di San Pietro e di San Paolo, che si trovano al di fuori delle mura cittadine. La guerriglia saracena si protrasse per oltre un secolo. Le zone isolate, soprattutto quelle costiere e pertanto più esposte agli sbarchi degli africani, vennero abbandonate, mentre venivano fortificate cittadine come Portus (Fiumicino) e Ostia (Gregoriopoli), nonché le basiliche di San Pietro (Città Leonina) e di San Paolo (Giovannipoli). Da Giovanni VIII (872-882) a Giovanni X (914-928) i papi, di fronte all’inerzia del potere imperiale, fecero ricorso a tutti i possibili mezzi diplomatici e militari pur di difendere il proprio territorio. Dopo un terzo tentativo andato a vuoto nell’estate dell’849, i saraceni – che avevano le loro basi a Centumcellae, a Terracina e alla foce del Garigliano – furono sterminati nel 916 da una crociata cristiana promossa da Giovanni X. La battaglia del Garigliano (916), che vide la distruzione del più importante insediamento saraceno in Italia, liberò il Lazio dall’incubo della schiavitù. Mentre le scorrerie saracene stavano per diventare un ricordo, si profilava la nuova minaccia degli ungari provenienti dal nord, che in tre diverse occasioni (927, 937 e 942) compirono disa strose incursioni nel territorio laziale. Tra l’altro a Roma, dopo la morte nell’888 di Carlo il Grosso, ultimo sovrano carolingio, si era creato un clima di accentuata precarietà politica tra i sovrani stranieri, che avanzavano pretese imperiali, e le famiglie patrizie romane, che si disputavano la tiara pontificia e la ripristinata carica di «senatore». Dopo un lungo periodo di stasi e di decremento demografico, nel X sec. nel Lazio si profilò un’inversione di tendenza che, in concomitanza con una serie di fattori economici ed amministrativi, diede vita allo sviluppo del cosiddetto «incastellamento »: una ridistribuzione degli insediamenti abitativi sul territorio. Abbandonate le posizioni di pianura, gli abitanti si andavano aggregando nel castrum – villaggio chiuso – situato in una posizione elevata e ben difendibile, accanto al castello signorile, entro una sicura cinta di mura. Il fenomeno si protrasse per secoli e riguardò anche altre regioni. I castra, situati sulle sommità di colline spesso strette a valle dal corso di un torrente, ben controllavano le circostanti terre coltivate. Questa fu la tipica posizione delle antiche città etrusche di Veio, Civita Castellana, Cerveteri, Nepi e Blera, ma anche di altre località situate sul lato opposto del Tevere, come Labico, Valmontone e Gallicano (cfr. gli studi del Toubert). Tale fenomeno segnò fortemente il paesaggio laziale, tanto che ancora oggi, nonostante i rapidi mutamenti sopraggiunti negli ultimi anni, tali villaggi fortificati danno un’impronta caratteristica alla regione. In questo scenario sono da evidenziare almeno due delle radicali trasformazioni avvenute nell’organizzazione ecclesiastica e legate alla riforma, che prese l’avvio dai grandi centri del monachesimo cluniacense e il cui inizio coincise con il pontificato di Leone IX (1049-1054): 1) il ruolo decisivo assunto dal collegio cardinalizio; 2) l’istituzione della Camera domini Papae, e quindi del camerario, nuovo strumento per l’amministrazione finanziaria. Sarà la riforma – mossa anche dalla competizione con l’Impero – ad avviare la trasformazione giuridica della base territoriale della Chiesa: terrae Sancti Petri. Il diverso stato giuridico acquisito dai possedimenti papali, che trovò espressione nel nuovo termine di Patrimonium Sancti Petri, e la decadenza del potere imperiale – legata alla morte di Enrico VII nel 1197 – permisero a Innocenzo III di creare un vero e proprio «stato ecclesiastico », che dal Lazio, passando per il Ducato di Spoleto e le Marche, si congiungeva con i territori dell’Esarcato. Pochi anni dopo l’importante insediamento dei cisterciensi nell’abbazia delle Tre Fontane, avvenuto nel 1140, in controtendenza nel 1143 (in quello stesso anno ci fu la rivolta di Roma, che portò alla formazione di un governo laico, sostenuto da Arnaldo da Brescia) si affacciò il nuovo protagonista della vita cittadina, il comune di Roma, costituito dall’insieme dei mercanti, degli artigiani, dei professionisti della piccola nobiltà tesa ad assumere il governo dell’Urbe, opponendosi da una parte all’aristocrazia armata e dall’altra ai pontefici. Definitosi significativamente Senatus, pose la sua sede sull’arce capitolina e ben presto dimostrò la sua politica aggressiva nei confronti delle città vicine, come contro Albano nel 1168. Per difendersi, i centri minacciati cominciarono a rivolgersi ai papi, chiedendo protezione e favorendo così l’estensione del loro potere in tutta la regione, sfruttando anche la rivalità tra Roma e le altre città laziali, come Tivoli, Tuscolo o Viterbo. Nel 1177 gli atti della pace di Venezia riconoscevano alla Santa Sede la sovranità sui territori compresi fra Acquapendente e Ceprano. Nel 1201 l’imperatore Ottone IV (1198-1215) riconosceva il dominio della Chiesa sui territori tra Radicofani e Ceprano, sull’Esarcato e la Pentapoli, sulla marca anconitana, il Ducato spoletino, i beni «matildini» (lasciati in eredità dalla contessa Matilde di Canossa), il comitato di Bertinoro e il Regno di Sicilia, di cui i romani pontefici avevano concesso ai normanni l’investitura. Sotto il pontificato di Innocenzo III (1198-1216) si giunse a una precisa delimitazione del territorio soggetto all’autorità del pontefice e si procedette a un suo riordino amministrativo. Era questa la situazione del territorio laziale alla vigilia del feudalesimo, dopo che nel corso dei secoli altomedievali aveva subito un lungo e travagliato percorso storico: da latifondo senatoriale a Ducato bizantino, a patrimonio ecclesiastico, ridotto infine a una serie di minuscole realtà locali che sembravano non avere più nulla in comune tra di loro. Infatti, benché verso la fine del secolo Clemente III (1187-1191) avesse ottenuto un accordo con il senato romano, che gli garantiva la fedeltà del comune, solo Innocenzo III riuscì a ristabilire l’autorità papale: i feudatari e le città laziali gli giurarono fedeltà e Roma rinunciò alla propria autonomia. Con questo pontefice prese dunque forma lo Stato della Chiesa e il territorio latino si confuse con quello dello Stato pontificio, che la divise in due legazioni: la provincia della Campagna e la provincia della Marittima, dominata da forze feudali. Cercò altresì di estendere il suo potere territoriale sulla provincia della Tuscia, tentando di abbattere la potenza della famiglia Colonna. Gregorio IX nel 1234 decretò che alcuni castelli latini (Ostia, Ariccia, Ninfa, Cori, Cisterna, Terracina), importanti dal punto di vista strategico per la difesa del territorio, facessero parte del demanio speciale della Chiesa di Roma. Dal basso Medioevo fino alla fine del XV sec. altre prestigiose famiglie – come gli Annibaldi, gli Orsini, i Caetani, i Savelli ecc., detentrici di grandi possedimenti terrieri – erano entrate in conflitto con il vescovo di Roma e con i liberi comuni (Viterbo, Rieti, Tivoli, Terracina ecc.). Dei tre grandi «principati» monastici di Montecassino, Subiaco e Farfa, solo quest’ultima abbazia imperiale costituì spesso un significativo centro di coa - gulazione di forze antipapali, destinato a scemare solo a partire dal XII sec. Tale situazione rimase invariata quando la sede papale si trasferì ad Avignone (1305-1376), determinando però l’inizio delle competizioni locali nei territori dello Stato pontificio. Nel XIV sec. il comune romano assistette alla tragica conclusione dell’avventura del discusso tribuno dell’Urbe Cola di Rienzo, con il quale aveva inutilmente cercato di affermarsi come antagonista del potere ecclesiastico. Il legato papale, cardinale Albornoz, inviato da Innocenzo VI nel 1353, assoggettò di nuovo il Lazio e il resto dei possedimenti pontifici alla Chiesa di Roma, procedendo a un loro riordino amministrativo e legislativo. Successivamente Eugenio IV (1431- 1447) e Nicolò V (1447-1455) posero fine al disordine seguito allo scisma d’Occidente e al concilio di Costanza. Nel XVI sec. Giulio II (1503-1513) riconquistò la Romagna, e Pio V (1566-1572) il 29 marzo 1567 vietò la vendita delle terre della Santa Sede. Infine Sisto V (1585-1590) rior ganizzò lo Stato pontificio su basi moderne. Gregorio X (1271-1276) divise la regione in province, sottoposte a un rettore; il romano pontefice aveva il diritto d’intervenire come ultimo arbitro. Bonifacio VIII accrebbe ulteriormente il potere della Chiesa riorganizzando le terre dipendenti dalla curia romana. Il dominio dei papi intorno a Roma fu consolidato dai possedimenti dei monasteri con il controllo strategico dei castelli, e le vie Ostiense, Portuense, Ardeatina, Laurentina, Appia furono sorvegliate da torri per segnalare l’arrivo dei predoni islamici. Durante il XII-XIV sec. le varie città del Lazio – quali Anagni, Viterbo ecc. – accolsero i romani pontefici che le abbellirono e le fortificarono, mentre le bolle di indizione degli anni santi, a partire dal primo giubileo di Bonifacio VIII del 1300, attirarono nel territorio migliaia di pellegrini, che accorrevano anche ai suoi santuari più importanti, come la Madonna del Buon Consiglio a Genazzano, il Cristo di Sutri, la Santissima Trinità al Monte Autore, Santa Maria alla Quercia, Santa Maria Capodacqua, oltre naturalmente alla basilica di Santa Maria Maggiore in Roma. Un gruppo a parte formano i santuari francescani della valle reatina (Greccio, Fontecolombo, Poggiobustone, La Foresta), e naturalmente la storia legata alla presenza di diversi santi, tra i quali san Bonaventura di Bagnoregio, san Tommaso d’Aquino, santa Rosa da Viterbo, san Bruno vescovo di Segni; più tardi santa Giacinta Marescotti, e nei secoli più recenti san Carlo da Sezze, san Tommaso da Cori, santa Lucia Filippini, san Crispino da Viterbo, san Giuseppe da Leonessa, san Felice da Cantalice, san Paolo della Croce, santa Maria Goretti ecc.III - L’età moderna
La grande frammentazione presente nel territorio causava continue trasformazioni alle circoscrizioni diocesane. Ad esempio, all’inizio del XIV sec. le diocesi del Lazio settentrionale erano undici: Porto e Santa Rufina (anticamente Porto era il porto di Ostia e formava con essa un’unica città), Viterbo-Toscanella (Tuscania), Castro, Bagnoregio, Orvieto, Sutri, Nepi, Sabina, Rieti, e poi Montefiascone. Nel XV sec., precisamente nel 1435, si ricostituì la diocesi di Tarquinia, fino ad allora chiamata Corneto, che fu unita a quella di Montefiascone sino al 1818 nonostante l’assenza di contiguità territoriale, e furono riunite le diocesi di Sutri e di Nepi (1435). Nel 1437 la diocesi di Orte e quella di Civita Castellana vennero anch’esse riunite. Verso la fine del XV sec. le coste laziali furono particolarmente bersagliate dalle incursioni dei corsari turchi, che, come i saraceni, provenivano dal Maghreb. Nel 1533 Solimano il Magnifico affidò il comando supremo della flotta ottomana a Khair ed-Din, detto il Barbarossa, che cominciò a imperversare, tanto che nel 1534 tentò di rapire a Fondi Giulia Gonzaga; dopo di lui, lasciarono tristi ricordi Dragut, Occhialì il Rognoso, Hasan Aghà. Pio V nel 1567 ordinò pertanto di fortificare la costa laziale attraverso la costruzione di numerose torri litoranee, per di più concentrate nella sua parte meridionale, nel tratto che va da Anzio a Terracina. Vero pilastro difensivo dello Stato pontificio fu il forte di Nettuno, seguito da altri castelli o torri, come Santa Marinella, Santa Severa, Astura, San Lorenzo, Gregoriana, Fiumicino, Epitaffio ecc. Anche se la battaglia di Lepanto del 7 ottobre 1571 pose fine alla supremazia turca nel Mediterraneo (il romano pontefice vi partecipò con dodici galere al comando di Marcantonio Colonna), le incursioni dei barbareschi in Italia e nel Lazio continuarono fino alla presa di Algeri (1830) da parte dei francesi. Il processo di rafforzamento dello Stato pontificio giunse alla sua conclusione solo nel XVI sec., anche se restavano irrisolti i tristi fenomeni del banditismo (cfr. Sisto V), della palude che portava carestia e pestilenze nella campagna (vedi lo straordinario sforzo economico e tecnico di risanamento di vaste aree del territorio voluto da Pio VI a partire dal 1777 e coronato da successo dopo un ventennio) e dei pirati. Erano mutati gli stessi equilibri europei anche in virtù della Riforma protestante, e l’immagine dell’inviolabilità dell’Urbe era definitivamente tramontata in seguito al saccheggio compiuto dai lanzichenecchi nel 1527. Nel XVII sec. la diocesi di Castro fu soppressa in occasione della distruzione della città dopo l’assassinio a Monterosi del vescovo barnabita monsignor Cristoforo Giarda, avvenuto il 18 marzo 1649. Lo Stato pontificio - Dalla metà del XVI sec. in poi, con l’affermazione definitiva del potere pontificio, la storia della regione Lazio perse di nuovo la sua autonomia confondendosi definitivamente con quella degli Stati pontifici, all’interno dei quali essa formava le province del Patrimonio di San Pietro (con un governatore a Viterbo), di Marittima e di Campagna (con un governatore a Frosinone). La sua organizzazione territoriale presentava una complicata tipologia di poteri: governi di prelati, di breve, di consulta, di cappa nera e di cappa corta. Nello Stato pontificio si avevano dunque questi tipi di governo: 1) legazioni e presidenze (per esempio, Campagna e Marittima, Patrimonio); 2) governi di prelati (governi con a capo un prelato curiale, quasi sempre un referendario di ambedue le segnature – dal XVI sec. fino alla prima metà del XVII si trovano anche molti vescovi residenziali impegnati come governatori: vera eccezione rispetto a quanto è sancito dal concilio di Trento, ma accettata pur di vantare un importante dignitario nella propria città –; un esempio di governo di prelati è dato proprio da Roma, dove l’incarico veniva generalmente conferito a un chierico di Camera uditore di Rota o altro prelato di rango elevato); 3) governi di prelati, ma di rango inferiore (dottori laici, o abati; per esempio, Tivoli e nella Sabina); 4) governi di dottori e abati nominati con breve o con patente dalla Sacra Consulta (per esempio, Anagni, Civita Castellana, Ferentino, Terracina); 5) governi di breve (variamente dipendenti da Roma; per esempio, Nepi e Sutri). A questo proposito, la Nota de’ Governatori di monsignor Borgia, del 1769, fornisce tutta una serie di precise informazioni sui territori loro soggetti. Nel periodo rinascimentale i geografi umanisti e i letterati iniziarono a riscoprire il Lazio antico attraverso le pagine di importanti scrittori latini, come Tito Livio, Virgilio, Plinio il Vecchio. Flavio Biondo nel 1543 indicò come «Terra olim latina » il territorio a sud di Roma, dando nuovo impulso alla ricerca topografica, che portò Leandro Alberti, Girolamo Bellarmato, Eufrosino della Volpaia, Gerardo Mercatore a indicare di nuovo il Latium su una carta geografica. Tali ricerche sul Latium vetus furono portate avanti da importanti studiosi, come Athanasius Kircher e Giuseppe Volpi, anche se il termine «Lazio » veniva usato in senso classico per indicare la regione che si trovava subito a sud del Tevere, denominata variamente come agro romano, o campagna romana, o distretto di Roma (a nord andava da Roma fino alla linea Civitavecchia-Oriolo- Monterosi-Monterotondo esclusa). La necessità di conoscere il territorio, anche per motivi fiscali, portò all’importante censimento effettuato nel 1660 del catasto detto alessandrino (dal nome di Alessandro VII, che ne ordinò l’esecuzione) a cura della magistratura della Presidenza delle strade; esso rappresenta, tenuta per tenuta, la terra latina nel XVII sec., grazie a 424 particolareggiate mappe catastali rilevate con metodo geometrico. Alla fine del Settecento l’opera di riforma di Pio VI proseguì durante l’occupazione napoleonica. Infatti, dopo la breve parentesi della Repubblica romana, Roma e il Lazio furono sottratte al dominio pontificio dai francesi di Napoleone I con le occupazioni del 1798 e del 1808; quest’ultima durò ben cinque anni, trasformando l’Urbe e la regione nella «Prefettura del Tevere», assorbita nell’Impero francese; significativo fu in questo periodo l’ammodernamento dell’amministrazione. Una volta caduto il Bonaparte, Pio VII poté far ritorno a Roma e, anche se il progetto di riforma del cardinale Consalvi non fu realizzato, il Lazio tornò a fare parte degli Stati pontifici. Con il suo motu proprio del 6 luglio 1816, il papa gli conferì un nuovo ordinamento amministrativo, che divise il suo territorio nella «comarca di Roma»: il distretto di Roma, che comprendeva il governo distrettuale di Tivoli, il governo distrettuale di Subiaco, e il governo di Castel Gandolfo; la provincia della Sabina, che nella delegazione di Rieti comprendeva il governo distrettuale di Rieti e il governo distrettuale di Poggio Mirteto; la provincia del Patrimonio, che nella delegazione di Viterbo comprendeva il governo distrettuale di Viterbo e il governo distrettuale di Orvieto; nella delegazione di Civitavecchia il governo di Civitavecchia e del suo territorio. All’interno di questi territori venivano a formare delle vere e proprie isole all’interno di una provincia, anche per l’autonomia amministrativa e giudiziaria di cui godevano, per esempio, il feudo dell’ospedale di Santo Spirito (che andava dal mar Tirreno alle porte di Roma, ai confini con la Toscana, e a Manziana nell’interno), il principato Orsini (intorno al lago di Bracciano), il Ducato di Castro e la Contea di Ronciglione (dei Farnese), lo «stato» di Montelibretti in Sabina (sempre degli Orsini), il territorio dell’abbazia di Farfa (in Sabina) e di San Giorgio Maggiore (nel Reatino), quello dell’abbazia delle Tre Fontane e quello dell’abbazia di San Paolo, tra la via Cassia e la via Teverina, e quello dell’abbazia di San Martino al Cimino. Una grande varietà di situazioni giuridiche, amministrative, fiscali.IV - L’età contemporanea
Tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX sec. esplose una vera e propria passione per le terre lontane e deserte, come quelle che circondavano Roma: «Da secoli Roma era abituata a considerarsi un’isola in mezzo a un deserto e le sue mura formavano una vera frontiera, oltre la quale esisteva solo una regione sconfinata, brulla e ostile, disertata da ogni essere umano ed alla quale si guardava con vera repulsione» (cfr. lo studio del Quilici). Il fascino delle sue rovine sparse nella campagna romana spinse numerosi viaggiatori stranieri, come lo svizzero Victor De Bonstetten, che giunse fino a Lavinium (oggi Pratica di Mare) e ad Ardea, alla ricerca dei luoghi descritti da Virgilio nell’Eneide; tra gli altri, Goethe, Stendhal, Andersen, Chateaubriand, Boissier, Gregorovius, Carcopino, Boethius, Tylli. Nel 1841 nella Sabina, con i territori appartenuti all’abbazia di San Salvatore Maggiore e di Farfa alla diocesi della Sabina, fu costituita la diocesi di Poggio Mirteto, che più avanti sarà unita a quella della Sabina. Nel XIX sec. fu ricostituita la diocesi di Civitavecchia, che sarà unita a Porto e Santa Rufina e poi a Corneto. Agli inizi del XIX sec. il territorio era diviso in circondari (durante il periodo napoleonico furono chiamati arrondissements), che comprendevano: 1) il circondario di Roma (i territori dell’antico «Lazio », comprendente parte delle diocesi di Roma, di Ostia, di Porto, delle Tre Fontane, di Albano, di Frascati, di Palestrina, dell’abbazia di Subiaco, di Tivoli, di Nepi, di Sutri e di Viterbo. Includeva i territori di Roma, Civitavecchia, Tolfa, Allumiere, Bracciano, Anguillara, Canale Monteranno, Manziana, Trevignano, Mazzano, Morlupo, Castelnuovo di Porto, Sacrofano, Capena, Fiano, Formello, Campagnano, Riano, Frascati, Montecompatri, Monteporzio, Rocca Priora, Colonna, Marino, Rocca di Papa); 2) il circondario di Rieti (comprendeva parte dei comuni della diocesi di Magliano); 3) il circondario di Viterbo (comprendeva l’antico territorio del Patrimonio della Tuscia; 4) il circondario di Tivoli (comprendeva parte dei comuni delle diocesi di Tivoli, Subiaco, Anagni e Palestrina); 5) il circondario di Velletri (abbracciava i territori di Marittima e Campagna inclusi nelle diocesi di Alatri, Albano, Farfa, Ferentino, Segni, Terracina, Velletri e Veroli). Ufficialmente la provincia di Roma, all’interno dello Stato pontificio, nacque in seguito all’editto di Gregorio XVI del 1831, che stabiliva la nascita delle delegazioni (circoscrizioni territoriali e amministrative), in particolare quella della delegazione di Roma e Comarca. Il litorale pontificio (circa 200 km compresi tra Montalto di Castro e Terracina) era diviso in quattro circondari marittimi chiamati Circondario del Mediterraneo; Primo, Secondo e Terzo Circondario dell’Adriatico. Agli inizi dell’Ottocento gli scali del Circondario del Mediterraneo erano rappresentati da Civitavecchia, Anzio, Fiumicino e Terracina. Ad essi si aggiungevano alcuni approdi minori, come il Porto Clementino presso le saline di Corneto e il Porto Baldino presso Terracina e il Circeo. Si incrementò anche la navigazione fluviale lungo il Tevere (da tempo via privilegiata di collegamento di Roma con il mare, grazie al canale tratto da un braccio artificiale del fiume: il cosiddetto Fiumicino, per collegare il Tevere al mare a ridosso dell’importante porto di Ostia), dove dal 1842 furono introdotti i rivoluzionari «vaporetti», che sostituivano il tradizionale sistema di barconi movimentati grazie all’impiego di grossi bufali lungo le sponde del fiume. Nonostante questi progressi, nel XIX sec. il territorio intorno a Roma – ancora sotto il governo pontificio – continuava semplicemente a chiamarsi comarca. Dopo l’abbandono delle truppe francesi, con l’occupazione di Roma avvenuta il 20 settembre 1870 da parte dei piemontesi, essa era diventata la capitale del Regno d’Italia, e il mito romantico della campagna romana fu infranto dai dati statistici degli economisti, che ne diedero un quadro impietoso: la parte latina dell’agro romano si presentava come un vasto territorio che, aggirando Anzio e Nettuno, arrivava fino al lago di Fogliano, nell’agro pontino (cfr. le mappe del catasto gregoriano della prima metà del XIX sec.). Le proprietà, divise in varie tenute, erano immense: ogni latifondista (baroni romani, enti ecclesiastici, borghesi nobilitati) possedevano in media 10 km2 di terreno. Gli abitanti stabili nel 1871 erano poco più di 3000 (mentre si contavano 450.000 pecore) e dieci anni dopo furono censiti soltanto 761 edifici abitati (uno ogni tre km2). La superficie coltivata nel 1883 corrispondeva alla decima parte del territorio. I primi programmi di bonifica previsti per l’agro romano arrivarono con le leggi del 1878 e del 1883, soprattutto per dare una maggior dignità a coloro che si recavano nella capitale d’Italia, che avrebbero dovuto attraversare un deserto impregnato di miasmi e di malaria (cfr. la carta geologica della campagna romana realizzata nel 1878 dall’ufficio geologico di Roma, che ben evidenzia l’area delle paludi pontine). La lunga lotta contro la palude si concluse solo negli anni Trenta del XX sec., con la «bonifica integrale», che portò alla creazione di nuove città (Littoria, Sabaudia, Pontinia, Pomezia), e al ripopolamento, grazie soprattutto all’immigrazione veneta. Dal punto di vista territoriale, dopo la breccia di Porta Pia la provincia di Roma si estendeva oltre il territorio della prima delegazione di Roma e comarca, inglobando anche le delegazioni di Velletri, Civitavecchia, Viterbo, Rieti e Frosinone. In tal modo Roma era l’unico capoluogo di provincia in una regione mutilata: infatti, la Sabina con Rieti andò a far parte dell’Umbria, mentre alcune località meridionali passarono alla Campania. Il nuovo governo cercò subito di ridurre il numero delle diocesi giudicato eccessivo, ma inutilmente, vista l’indisponibilità della Santa Sede. Dopo la prima guerra mondiale il Lazio divenne un «compartimento » che corrispondeva a una sola provincia, quella di Roma. Dopo il 1920, staccatesi le province di Rieti e di Frosinone e creatasi la nuova provincia di Latina, prese forma l’attuale assetto territoriale della provincia di Roma. Tra il 1923 e il 1928 fu il regime fascista a delineare i confini della futura regione Lazio, sottraendo territori all’Umbria (Perugia), all’Abruzzo (Aquila), alla Campania (Caserta). La provincia di Roma nel 1923 fu ampliata con l’aggregazione del circondario di Rieti, distaccato dalla provincia di Perugia, e allargandosi dall’altra parte fino al Garigliano. Nel 1925 fu istituito il governatorato di Roma e un anno dopo, il 6 dicembre 1926, il Consiglio dei ministri deliberò l’istituzione delle tre province di Viterbo, Rieti e Frosinone, mentre l’abolizione della provincia di Caserta riportò i confini del Lazio, a sud di Terracina, fino al Garigliano. Alle province di Viterbo e di Frosinone nel 1927 fu tolta la fascia costiera, perché tutto il litorale da Montalto di Castro a Minturno doveva essere «romano» (Viterbo nel 1928 ottenne nuovamente lo sbocco al mare). La quinta provincia del Lazio fu istituita nel 1932 con capoluogo a Littoria (oggi Latina), la prima delle cinque città nuove fondate da Benito Mussolini nell’agro pontino e nell’agro romano. Le altre furono: Sabaudia (1933), Pontinia (1934), Aprilia (1936), Pomezia (1938); quest’ultima, a solo pochi chilometri dall’Eur (Esposizione universale romana), era considerata la «porta dell’agro romano redento». Nel 1929 la stipula del concordato prevedeva una revisione delle circoscrizioni delle diocesi, per renderle il più possibile corrispondenti a quelle delle province dello Stato. Lo sviluppo della regione fu poi particolarmente compromesso dagli sconquassi avvenuti durante le due guerre mondiali; in particolare la seconda, che causò al Lazio pesanti danni (vedi il bombardamento dell’abbazia di Montecassino e le devastazioni provocate dai combattimenti ad Anzio). Dopo il 1945 si sviluppò l’opera di ricostruzione anche grazie alla Cassa per il Mezzogiorno, mentre esplodeva il fenomeno drammatico della crescita della popolazione, della disoccupazione e delle nuove borgate. Dal 1971 il Lazio fu una delle regioni italiane a statuto ordinario. Il concilio Vaticano II dettò nuove disposizioni circa la revisione delle circoscrizioni diocesane (cfr. Christus Dominus, nn. 22-24 e le norme di attuazione del motu proprio Ecclesiae Sanctae del 6 agosto 1966, I, n. 12, § 1). Nel 1966 Paolo VI affidò alla Conferenza episcopale italiana il compito di progettare una vera riforma delle diocesi in Italia, ed essa si sforzò di assicurare la maggior coincidenza possibile tra i confini delle regioni ecclesiastiche istituite da Leone XIII nel 1889, e quelli delle regioni civili, unendo le piccole diocesi – man mano che si rendevano vacanti – sotto l’amministrazione apostolica o nella persona del vescovo di una diocesi vicina. Il nuovo concordato del 1984 pose le basi per il riordino attuato nel 1986, che concede alle diocesi laziali la personalità giuridica agli effetti civili. Oggi si distinguono tre grandi aree nella regione ecclesiastica Lazio: 1) Roma con la fascia suburbicaria; 2) l’alto Lazio o Lazio settentrionale, a nord e nord-est dell’attuale diocesi di Roma: province di Viterbo, di Rieti e parte di quella di Terni (il circondario di Orvieto); nel 1986, nel quadro del riordino delle diocesi italiane, quelle del Lazio settentrionale furono ridotte a sette: Porto e Santa Rufina, Civitavecchia-Tarquinia, Viterbo (che unificò le diocesi di Tuscania, Acquapendente, Montefiascone, Bagnoregio, e il territorio dell’abbazia di San Martino al Cimino), Orvieto-Todi, Civita Castellana (che unificò le diocesi di Civita Castellana, Orte, Gallese, Sutri, Nepi e i territori delle abbazie di San Paolo fuori le Mura e dei Santi Vincenzo e Anastasio alle Tre Fontane), Sabina-Poggio Mirteto, Rieti; 3) il basso Lazio o Lazio meridionale (province di Frosinone e Latina).Bibliographie
Anche se si sono compiuti notevoli progressi rispetto ai primi volumi dedicati a ogni singola regione dall’unità a oggi nella Storia d’Italia einaudiana, la storia del Lazio contemporaneo è ancora in buona parte da scrivere (oggi può comunque contare sulla «Rivista storica del Lazio» e sul crescente interessamento da parte della storiografia regionale, ultimamente concretizzatosi, ad esempio, nel convegno «Il Lazio contemporaneo e la storia regionale in Italia», tenuto a Cassino dal 28 al 30 settembre 2005). Per il Lazio meridionale occorre fare riferimento all’Istituto di Storia e di Arte del Lazio meridionale con sede ad Anagni, promotore di diverse pubblicazioni specialistiche. Per una agevole introduzione alla storia del Lazio vedi G. Auletta, Lazio Latino. La Terra Santa della Latinità, Roma 2001. Per il Patrimonio di San Pietro vedi M. Moresco, Il Patrimonio di San Pietro. Studio storico- giuridico sulle istituzioni finanziarie della S. Sede, Milano- Torino-Roma 1916;Ministero del Tesoro, Istituzioni finanziarie contabili e di controllo dello Stato Pontificio. Dalle origini al 1870, Roma 1961. Per lo Stato Pontificio vedi Legati e Governatori dello Stato Pontificio (1550- 1809), a c. di C. Weber, Roma 1994;
M. Gattoni, Leone X e la geo-politica dello Stato Pontificio (1513-1521), Città del Vaticano 2000;
M. Gattoni, Clemente VII e la geo-politica dello Stato Pontificio (1523-1534), Città del Vaticano 2002. Sulle diocesi suburbicarie vedi M. Chiabò-C. Ranieri-L. Roberti, Le diocesi suburbicarie nelle “Visitae ad limina” dell’Archivio Segreto Vaticano, Città del Vaticano 1988. Sui giubilei vedi: Istituto Patristico Augustinianum, I Giubilei nella storia della Chiesa, Atti del Congresso Internazionale, Roma 23-26 giugno 1999, Città del Vaticano 2001. Sulla campagna romana vedi L. Quilici, La campagna romana come suburbio di Roma antica, «La parola del Passato», 1974. Sull’aspetto artistico del Lazio e di Roma vedi la collana «Patrimonio Artistico Italiano» edita dalla Jaca Book. Sempre fondamentali le opere: Lanzoni;
RDI Latium;
Ughelli.
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QUELLE
Le diocesi d'Italia, a cura di L. Mezzadri, M. Tagliaferri, E. Guerriero, Torino, San Paolo edizioni, 2007-2008, 3 volumi.